Le persone prima dei processi

Fabio Salvi, Team Lead People Partner di FlixBus, smonta miti e retoriche del mondo HR: no al controllo e alle etichette vuote, sì a competenza, responsabilità e benessere come leve per trasformare le organizzazioni

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Fabio Salvi, Team Lead People Partner di FlixBus, smonta miti e retoriche del mondo HR

di Annalisa Cerbone | Fabio Salvi, Team Lead People Partner Europe South presso FlixBus, società tedesca di trasporto passeggeri su gomma operativa in tutta Europa, Stati Uniti, Sud America e India, è anche docente di Umane Risorse della Scuderia Formazione di FiordiRisorse e orientatore Asnor.

È convinto che le persone siano il fattore decisivo del successo di ogni organizzazione, rifugge modelli, pensieri e processi che abbiano come focus il controllo e la gerarchia e da anni si batte per creare un ambiente lavorativo incentrato sul rispetto e la responsabilità, in cui le persone possano esprimere al meglio le loro energie e competenze e non appiattirsi su vuote e statiche job title.

L’ambito HR è sempre più sfidante. Quali competenze professionali e quali caratteristiche personali deve possedere chi sceglie questo percorso?

L’ambito delle Risorse Umane dovrebbe essere sempre più sfidante. Se si limita a gestire l’ordinario e ad avere solo un approccio reattivo ai problemi delle organizzazioni, allora è solo un posto comodo dove stare. Basta fare una cosina carina, prendersi qualche riconoscimento prezzolato e bravi tutti. La realtà, basata su esperienza personale e su dati, ci racconta invece di persone sempre più distanti dal mondo del lavoro. Quindi sono convinto che per fare questo lavoro debbano esserci solide basi di competenze, sia di normativa del lavoro (che spesso incredibilmente mancano), sia relazionali e gestionali.

Non è un lavoro che si improvvisa o in cui piazzare il primo junior low cost, armato di entusiasmo, buona volontà e poco altro. Servono competenza, che davvero mediamente manca, e soprattutto un approccio critico verso la realtà, e la volontà di sfidare lo status quo che non funziona. Non si può più fare il vigile urbano dell’organizzazione, come mi diceva il mio capo agli inizi, serve guardare veramente la realtà e trovare soluzioni.

Cosa pensa del ruolo dell’HR manager? Possiamo parlare di una trasformazione che dal fronte amministrativo spinge verso l’attività strategica di coordinatore e abilitatore del cambiamento?

Se ne parla da vent’anni, ma a me non pare che stia cambiando molto. Dove sarebbe questo cambiamento? Anche le nuove generazioni si concentrano su microprocessi che gestiscono in modo impeccabile e digitale, ma ci si focalizza sempre sull’efficienza. Trasformare in efficiente un processo biased e non funzionale non rende il processo migliore, semplicemente lo trasforma in un brutto processo che funziona bene.

Quando sentirò a un convegno HR dire frasi come “Ehi fermi un attimo, le cose non vanno proprio, come possiamo migliorare?” piuttosto che “La mia azienda è fantastica abbiamo anche un’app per la gestione dei parcheggi”, allora potrò iniziare a pensare che il cambiamento è in corso.  Per ora è solo l’eccezione, portata avanti con fatica enorme.

Detesta il termine “talenti” e preferisce parlare di “persone in azienda”. Perché questa scelta?

La parola talento è innanzitutto una parola fraintesa, non è un’etichetta che si può appiccicare a una persona tout court, ma indica piuttosto una eccezionale predisposizione individuale a una determinata attività. Un venditore eccezionale ha talento nella vendita, ma può essere scarso in tanti altri campi. E dargli la patente di talento come viene intesa nelle organizzazioni ha invece una specie di significato superomistico, in cui ha potenziale per eccellere in tutto. E troppo spesso questa eccellenza diffusa non c’è, anche perché si dovrebbe legare quantomeno al concetto di potenziale, che in azienda è altrettanto frainteso e misurato male, secondo percezioni piene di bias e in base a risultati attuali in un compito specifico, senza metodo o strumenti affidabili.

Quindi la distribuzione quasi arbitraria di questa patente di talento, oltre che scorretta, diventa anche divisiva ed esclusiva. Attribuendo, peraltro in modo non corretto, questo titolo, diciamo che qualcuno è speciale, e qualcuno non lo è. Come dovremmo chiamare i “non talenti”? Gli “standard”? I “normali”? Ogni persona possiede sicuramente uno speciale talento che dovrebbe essere valorizzato. Questo approccio non vuole essere buonista o contrario al merito, anzi. Il merito parte dal corretto riconoscimento di contributo e potenziale, cosa che la retorica bislacca del talento fraintende.

Nella sua visione del lavoro le persone sono al centro, nella convinzione che lavorino meglio e quindi producano di più, quando stanno bene. Come declina e attua il benessere in azienda?

Il punto vero è che non esiste una ricetta, bisogna partire, sì, da un obiettivo e una visione, ma anche da un’analisi delle proprie persone e del contesto. Persone diverse, in luoghi diversi hanno visioni differenti di cosa significhi benessere ed è da qui che bisogna partire. Il benessere parte alimentando la scelta e la conseguente responsabilità.

Pensiamo allo smart working: il tema non è se sia meglio lavorare in ufficio o a casa, ognuno ha la sua risposta su cosa sia meglio. Io penso che sia meglio stare insieme e condividere uno spazio fisico, ma rispetto chi, invece, ama la comodità della casa. Se penso al benessere devo incoraggiare e abilitare la possibilità di scelta e al tempo stesso costruire nella direzione di dove vanno i miei valori.

Se penso che ci sia valore nello stare insieme in ufficio, allora devo anche crearlo rendendo gli spazi accoglienti, moltiplicando le occasioni di scambio, di informazione e di incontro. Incoraggiando relazioni autentiche e meno formali. Allora magari anche chi ama lavorare da casa, troverà interessante tornare ogni tanto in ufficio. Il benessere non è un concetto consumistico che ha a che fare con incensi, pratiche new age e regalie varie. Il benessere è dare possibilità ed educazione alla scelta, perché ognuno trovi la sua strada per il benessere, e in questo modo se ne può costruire una comune.

Durante il Covid ha sostenuto che l’incertezza fa parte della vita e che dobbiamo imparare a governarla. Questo si traduce a puntare sulle competenze delle persone, e su un modello di job rotation, utile in risposta a una crisi.

Per tanto tempo ci siamo concentrati sulla conquista di titoli e job title, in un concetto gerarchico e rigido di organizzazione e carriera. Il contesto attuale, economico, sociale, organizzativo, è fluido e a volte persino schizofrenico. Concentrarsi sulle etichette crea una rigidità che non può essere la risposta, anzi genera ulteriori vincoli e complessità. La base per affrontare tempi magmatici è la competenza, riconoscerla e coltivarla, ed è l’unica soluzione alla complessità crescente.

Quindi dal mio punto di vista parlare di percorso di carriera è veramente obsoleto, anche se rassicurante. Meglio promettere un percorso di competenza e lavorare per questo. Le gratificazioni personali e professionali ne saranno diretta conseguenza e la struttura organizzativa potrà trovare in sé le risorse per affrontare le sfide importanti che certamente arriveranno, sapendo su quali soluzioni si può contare, senza affidarsi quasi messianicamente a singoli individui.

A proposito di competenze, il vostro modello di gestione HR, che focalizza la strategia aziendale sulle competenze dei singoli individui e del team e punta sulla formazione, che vantaggi produce nel medio e nel lungo termine?

Si focalizza sì, ma non significa che sia già realizzato. Perché la strada è lunga, e deve essere una visione condivisa da chiunque, specie dalla linea manageriale che è più sensibile al retaggio di modelli organizzativi passati. Inoltre l’ambiente multiculturale e i team in diversi Paesi sono senz’altro una risorsa, ma anche una sfida perché non siamo abituati a parlare con il vicino di casa, figuriamoci con persone di culture diverse.

Al di là del punto in cui siamo nel cammino, che è e sarà pieno di errori, cadute, retromarce e successi, il vantaggio è trasmettere un senso di possibilità e di valore. Avere una direzione e condividere il perché si fa questo viaggio – che è sicuramente scomodo e non lineare – porta le persone ad avere fiducia e trovare senso in quello che si fa. Che una persona motivata e coinvolta sia più produttiva di una che non lo è mi pare la scoperta dell’acqua calda. Eppure, viene da chiedermi perché abbiamo investito così poco e così male in coinvolgimento e motivazione, visto che ci dichiariamo costantemente preoccupati della scarsa produttività.

Da Nord a Sud, dalle città ai borghi: tra smart working, nuove professioni e grandi dimissioni, come i nuovi paradigmi stanno cambiando i territori?

Quello che secondo me sta cambiando le economie dei territori è più una consapevolezza. Le grandi città vetrine per turisti, e brochure per grandi investitori, stanno velocemente diventando luoghi disumani, inaccessibili, esclusivi. E questo accelera un processo di consapevolezza quanto mai necessario su quello che davvero vale pena vivere. I paesi, i borghi, i luoghi dimenticati dal delirio immobiliare, diventano spazi in cui è possibile stare con una qualità della vita superiore, e soprattutto con almeno la possibilità di riscoprire il senso di comunità.

Nelle città siamo monadi, individui isolati, in cui persino la nostra possibilità di socializzare si misura in base al censo e al reddito, ma senza veri legami, senza appartenenza. Credo che la resistenza umana, in un mondo globale in cui tutto è apparentemente accessibile, stia nel piccolo e non nel grande. Riscoprirsi persone e parte di una comunità, di un territorio. Spero onestamente che questo, per ora, timido trend prosegua, e smonti narrazioni tossiche e mainstream, che fanno male a tutti.

Quali sono i progetti che impegneranno la direzione HR in FlixBus e quali le sfide che dovrà affrontare il mondo delle risorse umane?

FlixBus attraversa un momento particolare, in cui il focus del business è la crescita su nuovi ed enormi mercati esteri, e questo genera ulteriore pressione sull’organizzazione. Il tema è trovare un equilibrio locale, che tenga conto delle necessità e delle caratteristiche particolari di un singolo Paese, con le evidenti necessità di controllo e supervisione da parte della casa madre. Questo passaggio di complessità è comune a tante realtà che passano da scale up a una corporate consolidata e, purtroppo, pare non abbia sempre funzionato alla grande questo passaggio.

Penso che il tema sia sacrificare qualcosa del miraggio del controllo e dell’efficienza per concedere spazio al benessere e alla differenza. Non siamo tutti uguali, come brutte campagne Diversity & Inclusion ci vogliono ricordare. Siamo tutti diversi, e nella nostra differenza si trovano la nostra ricchezza e il nostro potenziale. Partendo dal rispetto e dal riconoscimento dell’unicità, senza spinte a un’uguaglianza formale che si traduce in omologazione, potremmo fare qualcosa di diverso, rispetto al manicheo atteggiamento di questi anni “o la pensi come noi o sei il nemico”. Penso sia un pezzo importante di gestione di qualsiasi comunità, e le aziende non fanno eccezione.

Spesso conclude i suoi interventi con i versi di una poesia. Che parole le vengono in mente ora?

“Tutto – una parola sfrontata e gonfia di boria. Andrebbe scritta fra virgolette. Finge di non tralasciare nulla, di concentrare, includere, contenere e avere. E invece è soltanto un brandello di bufera”. Sono parole di Wislawa Szymborska, e rappresentano una perfetta sintesi del contemporaneo, delle sue visioni manichee e assolute, che ci tolgono spazio, respiro e benessere, in ogni ambito.

Fabio Salvi, Team Lead People Partner per l’Europa del Sud in FlixBusChi è Fabio Salvi

Fabio Salvi è Team Lead People Partner per l’Europa del Sud in FlixBus, multinazionale tedesca leader nei trasporti passeggeri su gomma, attiva in Europa, Stati Uniti, Sud America e India. Con un percorso consolidato nelle Risorse Umane, ha maturato un’esperienza che unisce competenze di gestione organizzativa, relazioni sindacali e sviluppo delle persone, operando in contesti multiculturali e ad alta complessità. Oltre al ruolo in FlixBus, è docente di Risorse Umane presso Scuderia Formazione di FiordiRisorse e orientatore certificato Asnor, dove porta avanti la sua visione di un HR capace di superare modelli gerarchici e logiche di mero controllo per diventare vero abilitatore di cambiamento.

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