La fragilità del capitale umano

La bassa competitività della nostra forza lavoro rappresenta il vero grande gap dell’Italia nel mercato del lavoro. Lo mette in luce in XXI Rapporto del Cnel su “Mercato del lavoro e contrattazione collettiva”.

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orologio che nell'ingranaggio ha la scritta capitale umano

di Laura Reggiani |

La situazione drammatica del mercato del lavoro ha radici strutturali perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Disoccupazione giovanile, disuguaglianze territoriali e bassa occupazione femminile restano le criticità maggiori. Se da un lato il tasso di occupazione ha superato i livelli pre-crisi e raggiunto il livello più alto della storia recente (59,4%), pur rimanendo il più basso in Europa e molto al di sotto della media UE, lo scenario che emerge dal XXI Rapporto su “Mercato del lavoro e contrattazione collettiva” elaborato dal Cnel mette in luce la fragilità del capitale umano del Paese, il vero grande gap dell’Italia.

La nostra forza lavoro non è più competitiva rispetto alle stesse categorie di altri Paesi. Un fenomeno composito che scaturisce da diversi fattori tra cui i bassi livelli di istruzione terziaria; le prospettive di occupazione per i laureati inferiori a quelle dei diplomati; la persistenza di fenomeni come i Neet; l’elevato numero dei low skilled.

Secondo Treu più ombre che luci

“Il quadro che risulta dal Rapporto sul mercato del lavoro di quest’anno presenta più ombre che luci. Nonostante un leggero aumento dell’occupazione, l’intensità di questa, misurata sulle ore lavorate, resta inferiore a quella del periodo precedente la crisi economica. L’occupazione femminile è ancora molto al di sotto di quella maschile e lontana dalle medie europee. La disoccupazione giovanile resta tre volte più alta di quella degli adulti. Il part time involontario denuncia il fatto che molte capacità umane sono forzatamente inutilizzate e colpisce ancora in prevalenza donne e giovani”, ha commentato il presidente Tiziano Treu in occasione della presentazione del Rapporto.

“Così pure il lavoro a termine, emblema della precarietà, rimane alto, specie per le prime assunzioni e riguarda in particolare giovani e donne. Le diseguaglianze territoriali sono cresciute e si riflettono anche sulle condizioni dei lavoratori. Questa situazione del mercato del lavoro non è contingente, ha radici strutturali, perché riflette la debolezza di un’economia che è stagnante da anni. Un’Italia ferma da oltre vent’anni su un sentiero di crescita che oscilla intorno allo 0,2% annuo e su un tasso di partecipazione al lavoro sempre inferiore a quella dei principali Paesi sviluppati non può competere nel mondo di oggi e non può dare prospettive alle generazioni future”.

Crescono stranieri e lavoro dipendente

Il Rapporto evidenzia come, con riferimento al periodo 2008-2018, l’incremento occupazionale registrato sia attribuibile esclusivamente al lavoro dipendente (+682mila unità), a fronte di un calo di oltre mezzo milione di unità nel lavoro autonomo, e come tale positiva performance del lavoro dipendente vada ascritta in massima parte al tempo determinato.

Un altro dato da segnalare quello relativo agli stranieri: nel Paese sono occupati 2,45 milioni di immigrati, pari al 10,6% dell’occupazione complessiva. La tipologia più diffusa di occupazione immigrata, manuale e scarsamente qualificata, riguarda attività che non possono essere trasferite in Paesi dal costo del lavoro più basso (costruzioni e servizi alla persona).

L’impatto delle tecnologie

Il fenomeno dell’automazione e della digitalizzazione ha penalizzato la crescita dell’occupazione in alcuni settori e professioni. Le nuove tecnologie oltre a influire sulla quantità e la qualità dell’occupazione, causano un cambiamento anche nella gestione delle risorse umane e dei fabbisogni professionali. Tali aspetti possono indurre incrementi di efficienza produttiva e della capacità di incontro fra domanda e offerta di competenze che, sul medio-lungo periodo, possono in parte compensare l’impatto negativo in termini occupazionali.

Il vero grande gap

Il Rapporto del Cnel mette in luce il composito quadro della fragilità del capitale umano del Paese: i bassi livelli di istruzione terziaria rispetto alla media Ocse, le prospettive di occupazione per i laureati tra i 25 ed i 35 anni, inferiori a quelle dei diplomati dei corsi di studio professionali di istruzione secondaria superiore, la persistenza di fenomeni come i Neet (che secondo Eurostat 2018 raggiungono in Italia il 28,9%, quasi il doppio rispetto alla media europea), l’elevato numero dei low skilled (circa 11 milioni per il 52% uomini, concentrati nelle fasce d’età più avanzata). La debole offerta e la debole domanda di competenze nel contesto produttivo ha generato un adattamento reciproco delle istituzioni formative e del mondo del lavoro, con una caratterizzazione al ribasso (fenomeno del low equilibrium). Dal quadro emerge l’esigenza di policies per il reskilling e l’upskilling dei giovani e degli adulti in una prospettiva di long term employability.

Investire in istruzione e sostenere l’occupazione giovanile

Le nuove tecnologie specie digitali stanno trasformando in profondità non solo le forme del lavoro, ma gli skills necessari alle persone che lavorano. Investire in istruzione migliora il tasso di partecipazione al mercato del lavoro e interviene su un preoccupante processo di spopolamento ed emigrazione che è in corso da vari anni e che coinvolge anche le aree più sviluppate del Paese. La scuola è l’ambito per eccellenza sul quale è tanto strategico quanto ineludibile tornare a investire, anche alla luce delle sollecitazioni europee che indicano come la scarsa dinamica della produttività italiana sia quasi esclusivamente attribuibile alle inefficienze del nostro sistema di formazione del capitale umano.

I giovani sono l’anello debole del mercato del lavoro. L’occupazione giovanile ha registrato un calo di 400 mila occupati dall’inizio della crisi (-28,8%) tra i 15 e i 24 anni; mentre tra i 25 e i 34 anni sono 1,4 milioni i giovani adulti che mancano dal mercato del lavoro (–27%).

“Il sostegno dell’occupazione giovanile non può basarsi né solo né in prevalenza su incentivi per le assunzioni, ancorché mirati e strutturali. Sono necessarie azioni di sistema sui nodi critici già ricordati: superare lo svantaggio dei nostri giovani nella dotazione culturale rispetto ai loro colleghi di altri paesi, portando tutti i livelli dell’istruzione agli standard europei secondo gli obiettivi dell’Agenda 2020; rafforzare in particolare le competenze digitali che sono decisive per cogliere le opportunità della rivoluzione 4.0; migliorare gli strumenti per facilitare il primo accesso dei giovani al lavoro stabile; rafforzare con risorse dedicate l’attività dei Centri per l’Impiego pubblici e privati nel Sud e programmi come Garanzia Giovani” ha commentato in conclusione Tiziano Treu.

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