Caporalato, l’ultima frontiera della schiavitù

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro è in prima linea contro il caporalato. Un’analisi della circolare che contiene le linee guida su intermediazione illecita e sfruttamento di manodopera.

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caporalato

di Mario Pagano |

Uno dei fenomeni che negli ultimi tempi sta affliggendo in modo preoccupante certi settori del mercato del lavoro in Italia è indubbiamente quello dello sfruttamento della manodopera, meglio conosciuto con il triste nome di “caporalato”.

Secondo l’ultimo rapporto “Agromafie e Caporalato”, a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil (di cui si è scritto anche sui precedenti numeri di questa rivista), a ricorrere al caporale sono il 25% del totale delle aziende del territorio nazionale e ben il 60% di tali aziende ingaggiano i caporali capi-squadra, che si differenziano per modalità di natura economica e per livello di condotta criminale dai caporali mafiosi e caporali collusi con organizzazioni criminali. Il fenomeno, secondo i dati, coinvolgerebbe tra 400 e 430mila lavoratori agricoli, esposti al rischio di un lavoro irregolare e sotto caporale. Tra questi 132mila sono in condizione di vulnerabilità sociale.

Le linee guida dell’INL

La crescita di un fenomeno così preoccupante, sempre più contiguo a ipotesi di vera e propria criminalità organizzata, ha spinto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro a fornire, con la circolare 5 del 28 febbraio 2019, delle dettagliate linee guida che, oltre a inquadrare le fattispecie sotto il profilo penale, delineano i principali passaggi dai quali passano le verifiche ispettive, le quali non possono prescindere dalla collaborazione stretta tanto con i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro, quanto, soprattutto, con le locali Procure della Repubblica.

La fattispecie penale dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento della manodopera è stata introdotta per la prima volta con il D.L. n. 138 del 13 agosto 2011, convertito dalla Legge n. 148 del 14 settembre 2011, che l’ha inserita nell’articolo 603-bis c.p.

La versione attuale della norma in questione che, nella sua prima versione aveva fatto registrare non poche problematiche di concreta applicazione, è quella dovuta al legislatore del 2016, che, con l’articolo 1 comma 1 della legge n. 199 del 29 ottobre 2016, ha previsto una serie di fondamentali correttivi, nell’ottica di estenderne il campo di intervento, rendendo la disposizione maggiormente cogente.

Secondo l’articolo 603-bis, quindi, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque:

1 | recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;

2 | utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno.

Come sottolineato dallo stesso INL, la norma ha sostanzialmente previsto due distinte figure di reato, punendo sia chi “recluta” manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizione di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, ma anche chi “utilizza, assume o impiega” manodopera, anche mediante la citata attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno. In entrambi i casi ricorrono, comunque, due fondamentali elementi costitutivi, rappresentati dallo sfruttamento lavorativo e dall’approfittamento dello stato di bisogno.

L’approfittamento dello stato di bisogno

Rispetto all’approfittamento, l’Ispettorato ritiene possa essere riconducibile alla strumentalizzazione a proprio favore della situazione di debolezza della vittima del reato, per la quale è sufficiente una consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali.

Quanto allo stato di bisogno, mutuando la giurisprudenza venutasi a creare rispetto ad altre fattispecie penali, l’Ispettorato si allinea all’orientamento secondo il quale “lo «stato di bisogno» della persona offesa (…) non può essere ricondotto ad una situazione di insoddisfazione e di frustrazione derivante dall’impossibilità o difficoltà economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza di mezzi idonei a sopperire ad esigenze definibili come primarie, cioè relative a beni comunemente considerati come essenziali per chiunque”.

Allo stesso tempo lo stato di bisogno è di chi non ha piena libertà di scelta come, ad esempio, chi versi in grave stato di debolezza sociale, circostanza spesso presente nell’ambito dei lavoratori extracomunitari.

Lo sfruttamento lavorativo

Accanto all’approfittamento dello stato di bisogno, tuttavia, l’articolo 603-bis c.p. richiede anche lo sfruttamento lavorativo. Rispetto a tale indice la norma appare più puntuale e tassativa, indicando una serie di condizioni, ritenute sintomatiche.

Più precisamente il comma 2 specifica che costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:

1| la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2 | la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3 | la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;

4 | la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

In tal senso, pertanto, come ricordato dallo stesso INL, possono rientrare nel concetto di sfruttamento numerose ipotesi patologiche della normativa lavoristica. Si pensi all’applicazione di contratti “pirata”, poiché non sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative o alla corresponsione di retribuzioni “in nero”, irrisorie rispetto al lavoro prestato. O ancora alle violazioni in materia di orario di lavoro, di riposi settimanali e giornalieri e di ferie nonché a tutte le più gravi inadempienze della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, che possono incidere in modo diretto e sostanziale sulla salute e sicurezza del lavoratore, mettendolo seriamente in pericolo.

Le condizioni di lavoro

Quanto alle condizioni di lavoro, la circolare 5/2019 richiama situazioni di significativo stress lavorativo psico-fisico, ad esempio quando il trasporto presso i luoghi di lavoro sia effettuato con veicoli del tutto inadeguati e superando il numero delle persone consentito così da esporli a pericolo; lo svolgimento dell’attività lavorativa avvenga in condizioni metereologiche avverse, senza adeguati dispositivi di protezione individuale; quando sia del tutto esclusa la possibilità di comunicazione tra i lavoratori o altri soggetti; quando siano assenti locali per necessità fisiologiche.

La sorveglianza non è invece da intendersi nel senso letterale della parola, spesso essendo sufficiente una costante presenza fisica del datore di lavoro/fiduciario affinché nel lavoratore si generi il pensiero di essere controllato e quindi di dover produrre al fine di conservare il lavoro.

Indagini giudiziarie e pene

Come già sottolineato, la complessità del fenomeno comporterà dal punto di vista probatorio lo svolgimento di indagini decisamente accurate con la supervisione dell’Autorità Giudiziaria. Le stesse potranno passare attraverso intercettazioni, provvedimenti di confisca e sequestro, perquisizioni, rilievi video e fotografici indagini patrimoniali.

Naturalmente non mancheranno le audizioni delle stesse vittime di tale fenomeno, ossia i lavoratori, che andranno sentiti con ogni possibile accortezza e nel massimo rispetto di quanto previsto dal codice di procedura penale.

Ciò al fine di acquisire – precisa l’INL – non solo delle “sommarie informazioni” circa la propria attività, ma ogni notizia utile a comprovare sia la condizione di sfruttamento sia lo stato di bisogno, sebbene ciò non sia sempre agevole in quanto spesso soggetti a forme di intimidazione da parte dell’intermediario e/o del datore di lavoro”.

Va, infine, ricordato che, come previsto dal comma 2 dello stesso articolo 603-bis, se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Inoltre, ai sensi del comma 4, costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:

1 | il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2 | il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;

3 | l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.


* Mario Pagano è componente del Centro Studi Attività Ispettiva dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni espresse nell’articolo sono frutto esclusivo dell’opinione dell’autore e non impegnano l’amministrazione di appartenenza.

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