di Roberto Bettinelli |
Sindacato e pluralismo. Un binomio che per il presidente della Confederazione nazionale Sistema Impresa Berlino Tazza è sancito dalla costituzione italiana e non può essere scalfito senza ledere gli interessi collettivi e il funzionamento della democrazia. «Mai come oggi è giusto e indispensabile riflettere sull’importanza della pluralità sindacale che è da considerarsi come il volano per una rappresentanza più equa ed efficace degli interessi delle imprese e dei lavoratori» spiega Tazza.
Perché ritiene la concorrenza all’interno del mondo sindacale un fattore strategico?
Giuridicamente la libertà sindacale è stata introdotta, dopo il ventennio fascista, dall’articolo 39 della costituzione. Ma nel medesimo articolo il principio della proporzionalità degli iscritti ai fini della sottoscrizione dei contratti di lavoro inserisce già un principio economico, aperto al meccanismo della concorrenza, rivolto ad accogliere un criterio meritocratico e antimonopolistico. Possiamo parlare, naturalmente, di sindacati più o meno rappresentativi. Ma oggi, dopo la grande crisi e soprattutto dopo la nascita dei distretti e l’affermazione di un’economia reticolare, bisogna abbandonare una ricezione passiva del numero degli iscritti e delle adesioni. Sindacati minori risultano maggioritari sul piano della rappresentanza all’interno di specifici sistemi produttivi e territoriali. Un quadro che rispecchia la situazione italiana caratterizzata da filiere e spiccate vocazioni locali nell’ambito della produzione. Ma non è solo questo il motivo.
Quali sono gli altri?
Il mercato del lavoro è connesso con le dinamiche di una società fluida, mobile e in continua trasformazione. L’attenuazione delle marcature ideologiche, l’affermarsi della persona come unità di misura della relazione fra l’impresa e il lavoro, l’emergere della contrattazione di secondo livello che ricolloca l’esercizio del diritto nel luogo della produzione sono tutti elementi che stabiliscono una discontinuità con il passato e impongono la pluralità della rappresentanza come il cardine per il mantenimento della democrazia e come il vero argine alle derive di una politica populista.
È possibile creare un parallelo fra la sfera politica e sindacale?
È evidente che il pluralismo, nell’ambito sindacale come politico, è l’ingredienti irrinunciabile della democrazia. Fra politica e sindacato può esistere una contiguità sana ed una cattiva. La costituzione, agli albori dello stato repubblicano, ha imposto l’alterità delle categorie economiche investite del ruolo di consulenti in materia di politiche dell’impresa e del lavoro. Da qui la funzione primaria del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, fissata nell’articolo 99 che ha tenuto a battesimo il Cnel, e che ancora una volta apre all’idea della concorrenza quando stabilisce che la partecipazione delle forze sindacali è subordinata ai criteri di numero e rappresentatività. I sindacati sono altro rispetto ai partiti politici ma possono condizionare la legislazione in materia economica attraverso contributi e proposte. Un’azione che va condotta in quanto soggetti terzi. La storia italiana dimostra, al contrario, che molto spesso i partiti hanno inglobato le forze sindacali oppure è avvenuto un tentativo analogo ma nella direzione opposta. Il risultato è sempre stato il medesimo: l’inevitabile indebolimento di entrambi gli attori. Il dialogo, che origina la buona concertazione, non può prescindere dal fatto che gli interlocutori siano diversi e indipendenti. Una posizione, la terzietà, che deve caratterizzare anche il mondo dell’informazione. Libertà di sindacato e libertà d’informazione impediscono che la società civile sia vittima dell’omologazione.
C’è la possibilità di stabilire una rinnovata concertazione?
Una democrazia performante non può prescindere dall’affermazione dell’associazionismo di tipo politico che si incarna nel sistema dei partiti e dall’affermazione dell’associazionismo di tipo categoriale che si incarna nelle organizzazioni sindacali. La democrazia nasce proprio dalla libera concorrenza dei principi e dei valori, e quindi dalla concorrenza fra i partiti, come dalla libera promozione degli interessi economici collettivi. Ma con una differenza sostanziale e inalienabile. I partiti sono destinati a trasferire il mandato degli elettori nella vita delle istituzioni dovendo svolgere la duplice funzione di forze di governo e di opposizione. Alle organizzazioni sindacali, invece, spetta primariamente il ruolo della rappresentanza degli interessi dovendo raccogliere gli stimoli che provengono da tutti i settori della vita produttiva della nazione. La missione che ne deriva è necessariamente più ampia anche se più capillare e dettagliata. Se nel primo caso è corretto che prevalga la tendenza verso un’azione di sintesi che ha lo scopo di generare una maggioranza parlamentare in grado di reggere l’esperienza di un governo nazionale, nel secondo è l’analisi delle molteplici identità e vocazioni produttive che emerge come l’elemento più saliente. Un elemento che necessità di potersi esprimere in modo libero e privo di condizionamenti impropri. La concertazione è auspicabile ma deve essere coerente con il pluralismo del mondo delle imprese e del lavoro.
Quale è il punto dirimente del cambiamento?
Viviamo una fase in cui è il percorso individuale della persona ad imporsi come il criterio di confronto fra le ragioni dell’impresa e del lavoro; una fase in cui la deroga allo strumento del contratto nazionale è interpretata non come un’abiura ma come un rafforzamento dei diritti del lavoratore e dell’imprenditore. Allo stesso tempo, sul versante della produzione, la standardizzazione ha lasciato il posto alla specializzazione. Ciò significa che in riferimento alla logica della rappresentanza, al programma di riforme auspicabili, agli stessi servizi che offriamo ai nostri iscritti devono emergere risposte innovative. Sistema Impresa è dotata di organizzazione parallele nel mondo del credito, della bilateralità e della formazione continua. Come esiste la volatilità degli elettori politici così esiste la volatilità dell’appartenenza sindacale. Non sono più accettabili le posizioni di rendita e la rappresentanza può manifestarsi in modo competitivo solamente in una dimensione di prossimità rispetto agli interessi che intende promuovere.