Quando la sicurezza è questione di genere

Integrare la prospettiva di genere nella valutazione dei rischi lavorativi è essenziale per garantire ambienti di lavoro più sicuri, prevenire infortuni e migliorare il benessere di lavoratrici e lavoratori

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Questione di genere nella sicurezza sul lavoro

di Tiziano Menduto | Per garantire ambienti di lavoro più sicuri e inclusivi, è fondamentale riconoscere la questione di genere, le differenze tra lavoratrici e lavoratori, integrandole nella valutazione dei rischi lavorativi.

Questo approccio consente di adottare misure di prevenzione più efficaci, riducendo i pericoli e migliorando le tutele di infortuni e malattie professionali per entrambi i sessi. In questi anni numerosi studi, infatti, hanno dimostrato che uomini e donne possono essere esposti ai rischi lavorativi in modo differente, ad esempio a causa di fattori biologici, ergonomici, sociali e culturali. Ignorare queste differenze può compromettere la salute e la sicurezza, rendendo inefficaci le misure di protezione adottate nei luoghi di lavoro.

Segregazione di genere e differenze

Un aspetto chiave da considerare è poi la cosiddetta segregazione occupazionale di genere, che avviene quando esistono lavori svolti prevalentemente da uomini (ad esempio edilizia e metalmeccanica) e altri svolti prevalentemente da donne (ad esempio insegnanti e infermiere). Di conseguenza, anche i rischi e le esposizioni possono variare. Ad esempio i lavoratori sono generalmente più esposti a infortuni legati all’utilizzo di macchinari e le donne a patologie muscolo-scheletriche, da movimenti ripetitivi, o a rischi biologici.

Un altro elemento è la differenza fisiologica tra uomini e donne, che influisce sulla risposta dell’organismo a determinati rischi. Alcuni studi hanno evidenziato che il metabolismo e la funzionalità epatica femminile rendono le donne più vulnerabili all’esposizione a solventi e sostanze tossiche. A parità di esposizione, le lavoratrici possono sviluppare patologie con maggiore frequenza rispetto ai colleghi maschi.

Sostanze chimiche e rischi psicosociali

Inoltre, le stesse sostanze chimiche possono avere effetti differenti a seconda del sesso, colpendo organi bersaglio diversi. Per questo motivo, la valutazione del rischio deve tener conto sia del livello di esposizione sia del genere degli esposti. È poi evidente che per il rischio biologico è indispensabile adottare misure di protezione specifiche per le lavoratrici in gravidanza e allattamento.

Anche la struttura antropometrica: una struttura più esile e con massa muscolare minore comporta un maggiore rischio di patologie osteoarticolari se esposta a movimentazione manuale dei carichi. Altre ricerche hanno poi segnalato che la cute del genere femminile, più sottile e permeabile ad agenti irritanti e sensibilizzanti, è più soggetta a patologie cutanee. Rischio che può essere poi aggravato dalla eventuale doppia esposizione, a tali agenti, tra ambiente di lavoro e attività domestiche.

Altri aspetti da non trascurare sono il rischio psicosociale e lo stress lavoro-correlato, che possono colpire in modo differente uomini e donne. Il concetto di “lavoro globale” riguarda la somma dell’impegno lavorativo e delle responsabilità familiari e domestiche. La maggior parte delle donne ha la necessità di conciliare l’attività lavorativa con le esigenze di cura della propria famiglia. Il risultato è spesso un numero di ore di lavoro maggiore rispetto agli uomini e questo può tradursi in un maggiore rischio di stress.

Non bisogna poi dimenticare, soprattutto per alcune categorie e contesti lavorativi, il problema relativo a violenza e molestie. I fenomeni di discriminazione basati sul sesso, il mobbing strategico di genere, le molestie sessuali, possono influire sulla rottura dell’equilibrio psicofisico e psicosociale delle lavoratrici.

Aspetti normativi e questione di genere

Ricordiamo che, dal punto di vista legislativo, la Costituzione italiana all’articolo 3 indica che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E in ambito lavorativo è il decreto legislativo 81/2008 (Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) a superare la considerazione del lavoratore come soggetto “neutro” del precedente D.Lgs. 626/1994. Ad esempio, introducendo il tema del genere nell’articolo 28 (Oggetto della valutazione dei rischi). Il datore di lavoro deve considerare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori “ivi compresi (…) quelli connessi alle differenze di genere”.

La legge 162/2021 ha poi introdotto lo strumento della certificazione della parità di genere, con l’obiettivo di incentivare le aziende ad adottare politiche per ridurre le diseguaglianze. Con questa finalità nasce anche la pubblicazione da parte dell’Uni della Prassi di Riferimento Uni/PdR 125:2022.

La valutazione dei rischi

Veniamo, infine, al tema della valutazione dei rischi in ottica di genere. Il giusto approccio per migliorare la prevenzione di infortuni e malattie professionali, tenendo conto delle differenze tra uomini e donne nell’ambiente di lavoro. Il problema è che oggi, benché il Testo Unico riconosca la necessità di una valutazione attenta alla questione di genere, sono poche le aziende che hanno redatto un documento di valutazione dei rischi adeguato.

Infatti, mancano standard orientativi e riferimenti normativi dettagliati su come condurre in pratica questa valutazione. Per il futuro, sarebbe auspicabile un maggiore supporto alle imprese, attraverso lo sviluppo di strumenti operativi e metodologie chiare. In alcuni settori, sono già stati avviati progetti pilota per analizzare le differenze di genere nei rischi lavorativi. Ma è necessario un impegno più ampio per trasformare queste pratiche in strumenti e idonei standard nella gestione della sicurezza sul lavoro in ottica di genere.


* Articolo realizzato in collaborazione con PuntoSicuro, dal 1999 il primo quotidiano on-line sulla sicurezza.

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