di Dalila Melis | La radio è da sempre stata un aggregatore sociale. Ma anche uno strumento informativo e quindi formativo, che non deve considerarsi superato con lo sviluppo capillare dei social media, con i quali si è invece perfettamente integrato, rendendo possibili forme di comunicazione sempre più dinamiche e interattive.
A sottolinearlo è Rosanna Giampino, presidente di Magistra Web Radio, che dal suo ufficio di Roma ci ha raccontato le enormi potenzialità di questo mezzo. Occupandomi di comunicazione ero curiosa di capire come si realizzasse un programma audio. Il pretesto è stato accompagnare il direttore di Fondolavoro, Carlo Parrinello, protagonista di una puntata del podcast “Fondi in Fondo” su magistrawebradio.it, condotto da Giovanni Galvan, esperto di formazione finanziata. Si tratta di un format interessante, che racconta il mondo della formazione attraverso la voce dei suoi attori principali.
Ho trovato peculiare la presenza di una radio all’interno di un gruppo che si occupa di formazione e somministrazione del lavoro. Da dov’è nata l’idea?
La risposta è più semplice di quanto sembri: una radio porta voce, connessione e cultura, e questi sono elementi fondamentali anche nella formazione e nel mondo del lavoro. Con Magistra Web Radio, abbiamo creato uno spazio in cui si raccontano esperienze e si valorizzano competenze. La formazione non è solo aula e teoria: è anche emozione, racconto, dialogo. La radio è diventata un laboratorio in cui formatori, studenti, lavoratori e aziende si incontrano in modo nuovo e autentico. Una formazione che può essere considerata trasversale.
L’idea della radio è stata fortemente sostenuta dal nostro Ceo, Domenico Orabona, che ha creduto sin dall’inizio nella sua forza comunicativa e formativa, e ha offerto la libertà necessaria per trasformarla in un vero spazio culturale, in cui si parte dall’ascolto dei bisogni, si osserva il contesto e si costruiscono soluzioni formative efficaci che parlano davvero alle persone. E, se possibile, le facciamo anche un po’ sognare!
Come sei arrivata all’interno del Gruppo Magistra?
Il mio percorso è nato dal bisogno autentico di creare connessioni attraverso il sapere e la relazione umana. Ho iniziato a dedicarmi al volontariato nel sociale, soprattutto in contesti educativi e culturali, mentre mi laureavo in Scienze politiche. Sentivo il forte desiderio di costruire possibilità per le persone. Col tempo, ho affinato competenze nella progettazione di percorsi formativi, nella comunicazione partecipata e nell’organizzazione di Master di formazioni anche internazionali.
Un intenso viaggio tra contenuti, contesti e relazioni che mi ha condotta, alla fine del 2015, al Gruppo Magistra in cui oggi coordino un team di progettisti di grande valore. Molti dei percorsi che realizziamo sono finanziati e costruiti su misura per aziende, enti e territori; ascoltiamo gli specifici bisogni e valorizziamo le potenzialità.
Il tema della diversità, soprattutto generazionale, può dar luogo a profonde fratture. Cosa accade quando all’interno di un gruppo convivono approcci, linguaggi e aspettative troppo distanti?
Hai centrato un punto cruciale. La diversità generazionale, e quindi la gestione intergenerazionale nei gruppi delle aziende, è una sfida silenziosa e trasversale. È meno visibile di altre forme di diversità, ma agisce in profondità: nei gruppi di lavoro, nelle relazioni tra colleghi e tra docenti e discenti. Noi abbiamo deciso di affrontarla non come un problema, ma come un’opportunità trasformativa.
Da qui nasce il programma “+Diversity” che, ispirato ai principi della Diversity & Inclusion, va oltre l’appartenenza a determinate categorie e pone al centro tre concetti chiave. Il primo è l’alleanza, intesa come scelta di costruzione consapevole e reciproca, anziché appartenenza forzata o automatica a un gruppo. Il secondo riguarda il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze, non solo come dato ma come stimolo per l’innovazione, l’apprendimento e il benessere organizzativo.
Infine, la leadership come leva relazionale, non solo gerarchica: ovvero, la capacità di influenzare attraverso l’ascolto, la responsabilità condivisa e il riconoscimento dell’altro. La radio, ancora una volta, rappresenta un valido strumento di connessione e testimonianza. Infatti, quando una storia viene raccontata anche chi appartiene a un’altra generazione trova un punto di contatto.
Abbiamo preso parte a eventi sulle pari opportunità e ci siamo più volte confrontate sul tema delle quote di genere che, nonostante rischino di portare a discriminazione inversa, considero uno strumento necessario per correggere gli squilibri. Qual è la tua opinione?
È una domanda importante, che merita sincerità e lucidità. Ogni giorno lavoro con donne straordinarie: laboriose, preparate, generose, capaci di tenere insieme visione e concretezza. Non fanno rumore, ma costruiscono. Eppure, la loro presenza nei luoghi decisionali è ancora troppo spesso un’eccezione, non la norma.
Rispetto alle “quote rosa”, la mia posizione è chiara: non le condivido concettualmente. Non perché non riconosca il problema – il divario esiste, eccome – ma perché credo che i diritti vadano confermati attraverso una cultura del merito, dell’accesso equo, e del riconoscimento reale, non con misure simboliche. Le quote rischiano di trasformare un diritto in una concessione temporanea, creando un’illusione di inclusione anziché un cambiamento strutturale. Alle donne non serve un numero garantito ma un sistema che non le escluda in partenza e che ne riconosca la competenza, la visione, e la capacità di innovare nei fatti, non nelle statistiche.
La mia esperienza nel Cife (Conseil International des Femmes Entrepreneurs), organizzazione internazionale fondata in Tunisia e attiva nei cinque continenti per promuovere l’imprenditoria femminile, ha rafforzato ancora di più questa convinzione. In quel contesto ho avuto il privilegio di confrontarmi con donne imprenditrici di grande caratura. Provenienti da ambienti e culture diverse ma unite da uno stesso obiettivo: affermare un modello di leadership femminile fondato su competenza, responsabilità e visione d’impatto. Al Cife non si rivendicano spazi ma si costruiscono con lavoro, reti, azione concreta e formazione di qualità. Credo che la sfida vera sia questa: accompagnare le nuove generazioni di donne in questo cammino di legittimazione non come vittime da tutelare ma come protagoniste da riconoscere.
Tornando alla formazione continua, possiamo affermare che rappresenti per “tutti” una grande opportunità, ma che alcuni aspetti andrebbero adeguati ai cambiamenti del mercato del lavoro. Quali sono, a tuo avviso, i pregi e i difetti di questo strumento?
Oggi più che mai, la formazione continua è una leva fondamentale per la qualificazione e riqualificazione delle risorse nella doppia transizione digitale e “green”. Tuttavia, una parte della formazione finanziata con fondi pubblici è ancora rallentata da burocrazia eccessiva. Inoltre, la lentezza nella fase di risposta rende questi strumenti spesso disallineati rispetto a un mercato che richiede adattamento rapido e soluzioni tempestive. La Pubblica Amministrazione dovrebbe superare la logica del controllo formale per assumere un ruolo attivo nella valutazione, andrebbero misurati gli impatti reali e l’efficacia di questi strumenti. Da appassionata di talk show, concluderei la nostra conversazione così.
Pensando al tuo percorso formativo e professionale, all’interno dell’ecosistema lavorativo che “fiera” ti senti?
In questo momento mi percepisco come un toro, difendo il mio gruppo, che è la mia forza, e mi sento allo stesso tempo altruista e solida, soprattutto nel perseguire gli obiettivi stabiliti. Siamo l’Emme Team: strategici, creativi e fieramente collettivi. Affrontiamo il cambiamento con visione, passione e spirito di branco. Non lo temiamo: lo cavalchiamo, insieme, con intelligenza e fierezza.
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Chi è Rosanna Giampino 











