Inclusione tecnologica tra le priorità

Le politiche DE&I aziendali devono tenere conto della trasformazione tecnologica e delle difficoltà incontrate dalle persone a ogni livello. Altrettanto importante il ruolo che la corretta conoscenza dell'AI può assumere nel sostenere le persone fragili nei luoghi di lavoro

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Le politiche DE&I aziendali devono tenere conto anche della inclusione tecnologica delle persone in azienda

L’accessibilità nella società contemporanea riguarda anche l’inclusione tecnologica sul lavoro.

Non solo bisogna adoperarsi per abbattere le barriere architettoniche, ma fare in modo che chi è più svantaggiato possa accedere a prodotti e servizi digitali.  A questo proposito, l’Unione Europea ha emanato una normativa specifica, entrata in vigore a fine giugno: l’European Accessibility Act. La direttiva punta a far sì che imprese e PA producano ed eroghino servizi e prodotti digitali che rispettino i requisiti di percepibilità, operabilità, comprensibilità e robustezza. Verificando costantemente la propria posizione e mantenendo la documentazione relativa per almeno cinque anni.

Inclusione tecnologica: cosa dice l’Eaa

L’Eaa stabilisce che le aziende potranno immettere sul mercato solo prodotti e servizi accessibili digitalmente, pena il pagamento di sanzioni amministrative a seconda della loro dimensione. “Le normative europee hanno spostato la narrazione sull’accessibilità da un tema di controllo della conformità a un investimento strategico”, spiega Amit Borsok, Co-Founder e Ceo di AccessiWay, società nata a Torino nel 2021 con lo scopo di rendere internet un luogo più accessibile alle persone con disabilità. “L’Eaa spingerà quindi grandi aziende e soprattutto Pmi a investire in tecnologie e servizi accessibili per ampliare il proprio mercato”.

L’Intelligenza Artificiale può essere utile alla causa

Per restare in tema di inclusione tecnologica e DE&I, Randstad ha provato a capire come l’Intelligenza Artificiale possa aiutare i lavoratori con disabilità a migliorare la propria accessibilità al lavoro. Lo ha fatto nell’ultima edizione del Workmonitor Pulse, un’indagine sulle trasformazioni del mercato del lavoro, che ha coinvolto, in Italia, un campione di 800 lavoratori appartenenti a diverse generazioni, profili e settori. Tra cui un 25% portatori di una disabilità sia grave che lieve (200 intervistati).

Spiega Marco Ceresa, Group Ceo di Randstad, che “tra i lavoratori con disabilità emerge con forza la richiesta di rendere più accessibile il lavoro, e proprio l’IA è vista come una possibile risposta, complementare al ruolo umano. L’integrazione dell’AI nel lavoro, garantendo un approccio responsabile, è una sfida complessa, ma la fiducia espressa dai lavoratori fa ben sperare che si possano aprire nuove prospettive”.

Cosa ne pensano i lavoratori con disabilità

Il 47% delle persone con disabilità si dice entusiasta di utilizzare l’AI in azienda, una percentuale simile a quella degli intervistati senza disabilità (43%). Dai dati emerge anche che le aziende sono più propense all’utilizzo dell’AI se parliamo di lavoratori più fragili. Il 56% di questi dichiara di aver avuto accesso a opportunità di apprendimento e aggiornamento, contro il 35% dei lavoratori normodotati.

Quasi metà degli intervistati con disabilità afferma che il datore di lavoro consente loro di usare l’AI per attività relative al proprio ruolo (rispetto al 39%). E che il suo utilizzo andrebbe ancor più incoraggiato. Oltre metà dei lavoratori italiani ritiene che l’AI sia un supporto parallelo alle attività di “supervisione umana” per ridurre le disparità. Nello specifico, il 52% delle persone con disabilità considera l’uso dell’AI come un elemento per rafforzare l’equità sul luogo di lavoro, rispetto al 40% dei colleghi normodotati.

Il 51% ritiene che la sua adozione abbia migliorato l’accessibilità nel proprio ruolo, e il 53% che possa essere d’aiuto anche in futuro per la propria mansione. Negli ultimi cinque anni viene percepito un clima di maggiore uguaglianza sul luogo di lavoro, sebbene il 40% delle persone con fragilità abbia dovuto affrontare nel suo percorso discriminazioni o pregiudizi. Il 48% di loro nota una generale diminuzione di comportamenti discriminatori, un miglioramento avvertito, però, in misura inferiore dalle donne (43% vs 52%).

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