Pochi fondi per i Fondi

La tempesta Covid-19 è ancora in corso, ma già si può fare un primo punto sullo stato dei Fondi Interprofessionali nella seconda metà del 2020, nella fase di ripresa delle attività formative e nel tentativo di riprogrammare le attività per il 2021.

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fondi interprofessionali

di Giovanni Galvan |

Nel periodo del lockdown che ha riguardato la prima parte di quest’anno, i Fondi Interprofessionali che si occupano di finanziare la formazione continua dei lavoratori hanno dovuto provvedere principalmente a due incombenze: la messa a norma Covid dei corsi finanziati e la riprogrammazione finanziaria.

La messa a norma dei corsi

Sulla prima le iniziative sono state più o meno le stesse per tutti, anche perché Anpal ha dato indicazioni abbastanza chiare. Si è ricorso alla cosiddetta Formazione a Distanza, definita bizzarramente “Teleformazione”, un termine un po’ anni ’60, che descrive sostanzialmente i corsi a distanza realizzati in diretta (sincroni), e che ha rassicurato i burocrati sulla possibilità di controllare l’effettivo svolgimento delle attività anche da remoto. Poco spazio invece è stato dato al vero e proprio e-Learning asincrono, perdendo così una preziosa possibilità di sperimentazione. La Fad è stata poi resa facoltativa o abolita a fine emergenza, anche se l’andamento della pandemia ha portato molti Fondi a riattivarla.

Il vero problema, in questo periodo, ha riguardato l’utenza dei lavoratori in formazione, che dipende ovviamente dallo stato delle imprese. Infatti, quelle i cui piani formativi erano già in corso o erano stati appena approvati, spesso hanno chiesto di sospendere o, in molti casi, di non realizzare affatto la formazione, essendo impegnate in profonde ristrutturazioni (spesso con ricorsi alla Cassa Integrazione) o addirittura dichiarando lo stato di crisi. In ogni caso l’incertezza prevale tutt’ora e poche imprese sono oggi disponibili per fare formazione o hanno semplicemente il tempo per pensarci, oltre al fatto che i vincoli della formazione sincrona in orario di lavoro, imposti da Fondi e Ministero del Lavoro, con lo Smart Working diventano sempre più anacronistici.

La riprogrammazione finanziaria

Dal punto di vista dei Fondi un altro elemento di grande incertezza riguarda la programmazione finanziaria. Gli operatori del settore avranno notato come quasi tutti i Fondi abbiano fatto slittare in avanti di parecchi mesi le scadenze degli Avvisi già annunciati per il 2020 a fine 2019. Questo perché uno degli elementi più critici del Dpcm di maggio è l’Art.126 che prolunga la sospensione del versamento dei contributi Inps a carico delle imprese, già attiva da aprile 2020, fino al 16 settembre 2020. All’interno di tali contributi è compreso proprio lo 0,30% destinato ai Fondi Interprofessionali. Normalmente questo importo viene scorporato dall’Inps a valle dei versamenti e versato ai Fondi scelti dalle imprese con un ritardo medio di circa 6 mesi rispetto alla data di pagamento del relativo F.24 da parte dell’impresa.

Possiamo quindi immaginare che i Fondi non incasseranno il periodo aprile – agosto 2020 (cioè ben 5 mesi di versamenti) prima del marzo 2021. Inoltre ovviamente è previsto che le imprese ricorreranno a un’ampia rateizzazione di questi contributi arretrati e, com’è prassi, l’Inps versa queste somme ai Fondi solo dopo che la rateizzazione si è conclusa per cassa, di solito tramite un cosiddetto “saldo” che viene versato nel novembre dell’anno successivo a quello della chiusura per cassa. C’è quindi il rischio concreto che una buona parte dei versamenti previsti per il periodo aprile – agosto 2020 giunga ai Fondi solo nell’ottobre del 2022.

A tutto questo dobbiamo aggiungere la flessione complessiva dei versamenti dovuta alla grande mole ore di cassa integrazione (durante la quale lo 0,30% non viene versato) nonché alla perdita di tanti posti di lavoro a causa della crisi.

Tante incognite per la formazione

A titolo personale, e con tutte le incertezze del caso, possiamo valutare come dal punto di vista “economico” il volume complessivo dei versamenti non dovrebbe subire un calo troppo significativo.

Teniamo conto che il plafond di lavoratori per cui si versava lo 0,30% nel 2019 doveva essere arrivato attorno agli 11 milioni, dei quali molti purtroppo hanno perso il lavoro nel 2020 o lo perderanno a breve, oltre a quelli in Cig per i quali lo 0,30% non è stato versato. Ammesso che questo numero sia di circa 2 milioni, la perdita sarebbe attorno al 20% del gettito, ma se pesiamo il fatto che non verseranno soprattutto i lavoratori che sono i primi ad uscire dalle imprese, spesso i più giovani e precari, e frequentemente a tempo determinato e con stipendi bassi, dovremmo contenere il danno attorno al 15%, che avrà effettivamente esito sui versamenti che l’Inps verserà ai Fondi nel corso del 2021.

Il vero problema quindi è quello del cash flow di queste risorse, come detto prima. In ogni caso, i versamenti relativi al periodo di blocco che in questo fine 2020 l’Inps sta versando ai Fondi stanno riservando, a dire dei più informati, gradite sorprese, rispetto alle stime molto più pessimistiche fatte ufficiosamente dall’Inps nel periodo di lockdown. A tutto questo si unisce l’incognita di come le risorse da cofinanziare, insieme al neocostituito Fondo Nuove Competenze, influiranno o meno sulla disponibilità dei Fondi Interprofessionali.

Ancora una volta, quindi, le politiche attive del lavoro in generale e la formazione in particolare, che dovrebbero essere al centro dell’attenzione specie nei momenti di crisi, sono invece oggetto di confusione e incertezza, come lo è anche il destino dei tanti operatori del settore della formazione professionale, dei quali, come al solito, nessuna parte politica si occupa.

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