Professionisti e digitale, un futuro in costruzione

Grazie a un radicale cambiamento culturale e professionale  i professionisti stanno iniziando a ridisegnare i modelli organizzativi  e di business in un’ottica di innovazione volta a creare servizi di valore aggiunto.

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persona che lavora al pc

di Elisa Bonati* |

Fino a qualche anno fa, Consulenti del Lavoro, Avvocati, Commercialisti e Studi professionali in genere, guardavano con diffidenza e preoccupazione al mondo del digitale, a differenza, invece, delle Pmi.

Secondo il rapporto dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, nel biennio 2018-2019 si registra una crescita elevata in investimenti Ict da parte dei professionisti: Avvocati, Consulenti del Lavoro, Commercialisti e studi multidisciplinari. Indagando un campione di studi professionali individuato dall’Osservatorio, rispetto al 2017, infatti, il mondo delle professioni giuridico-economiche ha incrementato la spesa complessiva in Ict del 7,9% pari a circa 1.265 milioni di euro. Tale incremento dipende, primariamente, dall’introduzione di norme obbligatorie per la categoria, con un forte carattere di innovazione.

In particolare:

  • la firma digitale;
  • la fatturazione elettronica;
  • l’archivio digitale dei documenti;
  • la conservazione digitale.

Secondo la ricerca la firma digitale risulta la tecnologia più adottata, seguita dalla fatturazione elettronica che, a causa dell’obbligo normativo introdotto nel 2019, risulta essere lo strumento più in crescita. Purtroppo questi obblighi di legge vengono spesso subiti passivamente dagli attori in gioco. Manca un vero e proprio processo di digitalizzazione che passa principalmente da un cambiamento culturale e da una presa di coscienza.

La digitalizzazione come modello  organizzativo

La digitalizzazione non è uno strumento informativo ma è, piuttosto, un innovativo modello organizzativo che consente di gestire tutte le attività dello Studio in modo integrato, collaborativo, efficace ed efficiente con l’obiettivo di aumentare il business, generare valore e organizzare conoscenza. Occorre sfruttare gli obblighi di legge per iniziare un vero e proprio percorso che porti verso la trasformazione digitale. Sono pochi i professionisti, tra il 36% e il 39%, che hanno una consapevolezza così elevata del fenomeno e padronanza di tutte le variabili sopra indicate.

Si sta creando infatti una sorta di “piccola borghesia” di professionisti che, pur non investendo grandi valori in Ict, manifesta una crescente consapevolezza della sua utilità in relazione alla crescente redditività dello Studio. (Fonte: Dati, dati, dati: l’Umanesimo digitale per i professionisti).

Innovazione e redditività

Più cresce la presenza di tecnologia ad elevata innovazione attraverso strumenti di Business Intelligence, AI, Blockchain, strumenti di condivisione documenti, più aumenta la redditività degli Studi, come si evince nel grafico proposto. Inoltre, questo ristretto numero di professionisti, sta investendo in strumenti innovativi per avvicinarsi sempre di più alle richieste della Piccola e Media Impresa. Un cambio di mentalità importantissimo: innovare tecnologicamente lo Studio per soddisfare i bisogni dei clienti (le Pmi nello specifico).

L’andamento della redditività in base all’utilizzo di tecnologie innovative (fonte Politecnico di Milano)

Rispetto agli anni precedenti, i professionisti hanno incrementato gli investimenti in Ict per introdurre le seguenti tecnologie:

  • software per il controllo di gestione;
  • portali per la condivisione dei documenti con la clientela;
  • software di gestione documentale.

Va sottolineato il ruolo importante che le software house hanno in questo processo di digitalizzazione, attraverso la costante attività di supporto e di sviluppo dei loro software dotati di add-on altamente innovativi a supporto della professione, che agevolano l’espansione del business creando percorsi di accompagnamento alla digitalizzazione.

La piccola borghesia, quindi, è sicuramente il modello a cui ambire ma la strada, analizzando i dati della ricerca, sembra ancora in salita. I professionisti faticano ad individuare adeguate azioni da porre in essere verso i nuovi clienti a causa di una cultura poco orientata al mercato.

Di seguito vengono riepilogate le peculiarità delle singole professioni e il loro approccio verso la digitalizzazione.

Avvocati – È la categoria professionale che ha la più elevata percentuale di Studi che non hanno investito in Ict e che ha la più elevata percentuale di microinvestitori. Hanno un portafoglio ampio ma tendono a non investire in Information Technology.

Commercialisti – Hanno un’alta percentuale di investimenti in Ict e, secondo lo studio del PoliMi, rappresentano la “piccola borghesia”.

Consulenti del Lavoro – Sono simili ai commercialisti, hanno medie percentuali di investimento in Ict e un equilibrio tra portafoglio e investimenti in Ict.

Studi Multidisciplinari – Per loro natura sono quelli più maturi, grazie ad un background culturale ampio, frutto della collaborazione tra più professionisti che li predispone a intraprendere un percorso verso il digitale consapevole e proattivo. Hanno un portafoglio ampio e investimenti elevati in Ict.

Gli indicatori della digitalizzazione

Si evince, quindi, un panorama variegato, dove la digitalizzazione assume forme diverse in funzione delle differenti categorie professionali.

I tre indicatori che identificano il grado di digitalizzazione negli studi professionali e che vanno a comporre il quadro sopra descritto sono: collaborazione, digitalizzazione e cultura innovativa.

L’indicatore “collaborazione” individua le modalità di relazione interne ed esterne, volte a comprendere il livello di integrazione tra la realtà dello Studio (microcosmo interno) e il contesto in cui lo Studio opera ed è inserito (ecosistema esterno). Il 63% rivela un indice di scarsa o sufficiente collaborazione, il 37% dichiara una buona ottima collaborazione. Siamo di fronte a un indice che si sta costruendo nel tempo e che mostra gradi di maturità diversi in funzione delle categorie professionali. I Commercialisti trainano con il 37% di strumenti di collaborazione (quali condivisione dei documenti). Seguiti dai Consulenti del Lavoro con il 32%, fanalino di coda gli Avvocati con il 18%. Gli studi multidisciplinari confermano la leadership con il 46%.

L’indicatore “digitalizzazione” analizza la diffusione degli strumenti digitali e le prassi digitali nei processi di lavoro e di relazione. Il 61% rivela un indice di scarsa o sufficiente digitalizzazione, il restante 39% dichiara una buona/ottima digitalizzazione. Questo è l’indice che è maggiormente influenzato dagli obblighi normativi introdotti fino ad oggi (firma digitale, fatturazione elettronica, ecc.) e che proseguiranno anche nel futuro, come confermato recentemente dal Mise. In pochi stanno sviluppando una conoscenza in grado di andare oltre il semplice adempimento di legge, per andare verso nuovi strumenti utili allo sviluppo di nuovi servizi/business per la clientela.

L’indicatore “cultura innovativa” analizza i comportamenti e le scelte effettuate per inserire strumenti di contenuto innovativo. Il 64% rivela un indice di scarsa o sufficiente digitalizzazione, il restante 36% dichiara una buona/ottima cultura innovativa. Una corretta cultura innovativa nasce, cresce e si sviluppa attraverso un’importante attività formativa.

Nel corso del 2018, infatti, i professionisti che hanno partecipato a corsi formativi al di fuori delle tematiche prettamente legate al loro ambito lavorativo oscillano tra il 20% e il 30%, percentuale che diminuisce tra il personale dipendente, con una punta del 12% per l’addestramento all’uso delle tecnologie adottate dallo Studio.

Offerta e domanda di servizi

L’indagine del PoliMi ha analizzato, inoltre, il rapporto tra offerta di servizi da parte degli Studi verso la reale domanda da parte delle Pmi. Dalla differenza tra i servizi che gli Studi sono interessati a inserire e proporre ai clienti (le Pmi) e tra i servizi che le Pmi desiderano ricevere dagli Studi ma che gli stessi non erogano, si evidenziano:

  • assistenza per finanziamenti, partecipazione ai bandi;
  • servizi per la gestione finanziaria;
  • conservazione digitale a norma;
  • analisi della concorrenza;
  • conformità dei processi lavorativi alle normative.

Questa disparità deve essere correttamente interpretata: occorre tenere in considerazione che l’esubero dell’offerta rispetto alla domanda è da considerarsi a livello di mercato complessivo e non di singola capacità di spesa dello Studio e che occorre analizzarlo pensando di orientare le competenze e i servizi sulla base dei reali bisogni del cliente stesso. Bisogna, inoltre, interpretarlo tenendo in considerazione che gli Studi devono stimolare la domanda di servizi attraverso una corretta capacità propositiva.

In relazione alla capacità propositiva gli studi professionali si suddividono in:

  • proattivi, ovvero coloro che spontaneamente affiancano l’azienda perché conoscono le necessità del settore;
  • quelli ancorati ai servizi tradizionali o inattivi verso le nuove tecnologie;
  • gli Studi della terra di mezzo, i cosiddetti attendisti.

Dalle Pmi una richiesta di maggior proattività

Le Pmi, sempre secondo lo studio dell’Osservatorio, vorrebbero dagli Studi una maggiore capacità (e quindi proattività) nel fornire dati, numeri, valori, dai quali si possono recuperare informazioni e, di conseguenza, fornire risposte, soluzioni strategiche e nuovi servizi. Non a caso i dati sono considerati il petrolio del terzo millennio.

Le Pmi sostengono, infatti, di fornire sufficienti dati agli Studi ma che gli Studi stessi non siano preparati a “raffinare” questa preziosa risorsa. Solo un terzo dei professionisti, infatti, fornisce servizi di controllo di gestione, e circa il 3% utilizza i software di business intelligence per organizzare servizi data based. I comportamenti degli Studi sono coerenti con una cultura del dato ancora in fieri.

Non ci sono ancora misure digitali adeguate

Proprio a causa di questo background ancora da sviluppare, i professionisti manifestano timori e preoccupazioni nei confronti della digitalizzazione.

Ritengono, infatti, di non aver sufficienti competenze per poter approcciare nel modo corretto il percorso di digitalizzazione e, soprattutto, di non avere la corretta dotazione informatica in linea con le richieste delle Pmi. Inoltre per poter investire in digitale e in formazione occorre pensare a un ampliamento del portafoglio dei servizi e quindi anche a un maggior ingresso in termini economici, che generi un ritorno sugli investimenti positivo. Il timore degli Studi, in linea generale e senza distinzioni di categoria è di non sviluppare una mole di lavoro sufficiente a garantire la sopravvivenza dello Studio, nonché la difficoltà ad aumentare le dimensioni dello Studio stesso (organico e clienti).

Quale futuro dobbiamo aspettarci?

Affinché il binomio “studi professionali e digitalizzazione” sia un binomio di successo, occorre che gli Studi superino i loro timori continuando a investire in innovazione e formazione.
In particolare devono:

  • pianificare investimenti costanti e mirati in Ict al fine di diventare fautori del cambiamento culturale, anticipando i bisogni dei propri clienti e creando nuovi servizi di valore aggiunto che consentano di ampliare le aree di business;
  • chiedere alle software house di diventare partner strategici in questo cambiamento, attraverso l’introduzione di strumenti sempre più evoluti al servizio della professione e attraverso opportuni piani di sviluppo formativo;
  • suggerire agli Ordini Professionali di riferimento di attuare azioni che aiutino i professionisti ad affrontare il cambiamento senza subirlo, ma rendendolo parte integrante della pratica quotidiana;
  • seguire il Legislatore nel percorso digital;
  • non aver paura dei “dati”, meglio aggregarli, studiarli, raffinarli con sistemi di Business Intelligence;
  • formarsi;
  • essere curiosi, informarsi sui cambiamenti in ottica digital e provare ad adattarli all’interno del propria realtà organizzativa;
  • creare un clima interno ricettivo e, attraverso la creazione di una cultura digitale, eliminare le resistenze di tutti gli attori coinvolti;
  • guardare al futuro con fiducia e non con timore.

* Elisa Bonati è CMO, Marketing Specialist di Lavorofacile.it e giornalista pubblicista. Docente del percorso Digital, Web e Social di Lavorofacile.it Academy, affianca e forma aziende e professionisti nella creazione di policy aziendali per regolamentare l’uso della tecnologia sui luoghi di lavoro e li accompagna verso la digitalizzazione.

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