Se il Covid si prende sul posto di lavoro

Il riconoscimento dell’infortunio da Covid-19: presupposti, prestazioni Inail e responsabilità del datore di lavoro

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Covid

di Cesare Damiano |

L’art. 42 del Cura Italia ha equiparato l’infezione da Covid-19, contratta in occasione di lavoro o in itinere, ad infortunio sul lavoro con causa virulenta, con la conseguente possibile applicazione del regime giuridico per il riconoscimento delle tutele Inail di cui al D.P.R. n. 1124/1965 a favore del lavoratore colpito dall’infezione o dei suoi familiari in caso di decesso del lavoratore stesso.

In tale contesto, si è sviluppato un intenso dibattito circa il pericolo di un ampliamento, che la richiamata previsione avrebbe determinato, della sfera di responsabilità datoriale, tanto in sede civile quanto in sede penale.

Pur comprendendo il timore da più parti sollevato circa il fatto che l’equiparazione possa in qualche modo stimolare la litigiosità dei lavoratori nei confronti delle imprese, incentivando ricorsi in sede giudiziaria, è opportuno fornire alcuni chiarimenti circa il fatto che la norma in parola non abbia operato, da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico, sul versante della responsabilità datoriale, quanto esclusivamente sulla estensione del campo di applicazione soggettiva e oggettiva delle prestazioni Inail.

Le denunce di infortunio

Prima di scendere nell’analisi di dettaglio di questi profili, è utile una breve raffigurazione della situazione delle denunce di infortunio Covid pervenute all’Istituto.

Dai dati forniti dall’Inail, nell’apposito report pubblicato a dicembre 2020, è emerso che, al 31 dicembre, sono stati 131.090 i contagi sul lavoro da Covid-19 denunciati. Il 69,6% dei contagiati sono donne, mentre l’età media dall’inizio dell’epidemia è di 46 anni per entrambi i sessi. Il settore della sanità e assistenza sociale – con il 68,8% delle denunce e un quarto (25,2%) dei decessi codificati – precede l’amministrazione pubblica, in cui ricadono il 9,1% delle infezioni denunciate e il 10,7% dei decessi. I casi mortali denunciati al 31 dicembre sono 423, 57 in più rispetto alla rilevazione del mese precedente e riguardano soprattutto gli uomini (83,2% del totale) e le fasce di età 50-64 anni (70,2%) e over 64 anni (19,9%). Passando al merito giuridico dell’equiparazione, con questo contributo si intende fornire un supporto interpretativo di chiarimento per le imprese e per gli addetti ai lavori, sgomberando così il campo dalle preoccupazioni sopra paventate, posto che la previsione dell’art. 42 del Decreto Cura Italia, come si dimostrerà nel prosieguo, non ha introdotto nel nostro ordinamento alcuna nuova fattispecie di reato a carico degli imprenditori, a seguito della inosservanza delle norme antinfortunistiche.

Al riguardo, giova sottolineare che l’equiparazione della infezione da Covid a infortunio sul lavoro, è avvenuta per mezzo di un provvedimento normativo che ha investito l’Inail esclusivamente del compito di valutare le istanze dei lavoratori o delle loro famiglie, circa il riconoscimento dell’infortunio da Covid, provvedendo, in caso di accoglimento dell’istanza, a erogare le prestazioni previste. In merito alle categorie di lavoratori interessati dal predetto provvedimento, inoltre, come chiarito dalla circolare n. 13 del 3 aprile 2020, l’ambito della tutela Inail riguarda gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata l’alta probabilità che gli stessi vengano a contatto con il coronavirus. Di analoga presunzione semplice si avvalgono poi coloro che svolgono altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico.

Diversamente, per tutti gli altri lavoratori generalmente destinatari della tutela assicurativa Inail, non vige un regime probatorio agevolato, essendo in ogni caso il lavoratore tenuto a dimostrare – con elementi anamnestici, clinici ecc. – la certa correlazione al lavoro della infezione. Come chiarito peraltro dallo stesso Istituto, non esiste alcun automatismo giuridico nel riconoscimento dell’infortunio da Covid da parte dell’Inail poiché l’Istituto, ai fini della tutela infortunistica, deve comunque valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa, da cui sia possibile trarre elementi gravi per giungere a una diagnosi di alta probabilità, se non di certezza, dell’origine lavorativa dell’infezione. Tale iter, peraltro, vale sia per i lavoratori assistiti da presunzione semplice che per coloro che non beneficino di tale alleggerimento probatorio.

Le responsabilità datoriali in tema di Covid

Andando alla più complessa questione delle responsabilità datoriali, si osserva come l’introduzione normativa della mera possibilità di riconoscere, in sede Inail e al ricorrere di tutti gli elementi formali e sostanziali richiesti, le tutele assicurative e indennitarie all’uopo previste, non abbia determinato alcuna modifica delle norme penali vigenti, né quelle codicistiche né tantomeno quelle dettate dal micro-sistema sanzionatorio del Testo Unico di SSL.

La previsione, infatti, ha più semplicemente esteso l’ambito di erogazione dell’indennizzo Inail, non potendosi pertanto confondere i presupposti per l’erogazione di detto indennizzo con quelli per la responsabilità del datore di lavoro, come chiarito nella Circolare Inail n. 22 del 20 maggio 2020. Vi è da aggiungere peraltro che, come previsto dall’art. 42 del Cura Italia, gli eventi infortunistici da Covid non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico, non gravando dunque sull’aumento del premio assicurativo a carico dei datori di lavoro pubblici e privati.

Dunque, la norma non ha né ampliato l’ambito della responsabilità penale del datore di lavoro né introdotto alcuna forma di responsabilità oggettiva datoriale per infortunio da Covid-19, come pure la stessa non ha introdotto alcuna nuova fattispecie di reato. Peraltro, anche in relazione al paventato timore di una responsabilità datoriale oggettiva, è opportuno sottolineare come lo stesso non trovi fondamento, nella misura in cui la sussistenza della responsabilità datoriale, in materia di tutela della SSL e di inosservanza della disciplina antinfortunistica, è sempre subordinata alla celebrazione di un processo all’esito del quale si dimostri la sussistenza di almeno quattro presupposti congiuntamente necessari:

  1. | che il lavoratore riesca a dimostrare la correlazione dell’evento lesivo con lo svolgimento dell’attività lavorativa, prova di fatto molto difficile da fornire in relazione all’infortunio da Covid-19, oltre ogni ragionevole dubbio;
  2. | che il datore di lavoro non riesca a fornire prova di aver fatto tutto quanto necessario in termini di misure prevenzionistiche per evitare il verificarsi dell’evento lesivo;
  3. | che sussista correlazione causale diretta – nesso di causalità – tra il comportamento omissivo del datore di lavoro e il verificarsi dell’evento lesivo;
  4. | che l’omissione del datore di lavoro sia imputabile almeno a una colpa dello stesso, intendendosi per colpa quell’elemento psicologico per il quale il datore di lavoro, pur prefigurandosi mentalmente che la sua omissione potesse determinare le lesioni o la morte del lavoratore, non abbia proceduto ad adottare idonee cautele atte a evitare il verificarsi dell’evento, ritenendolo improbabile o sottovalutandone la possibilità di accadimento.

Tutele e risposte ai lavoratori

Sul versante civilistico, inoltre, pare opportuno fare una valutazione in relazione all’azione di regresso da parte dell’Inail che, come precisato dallo stesso Istituto nella già menzionata circolare n. 22/2020, per essere esercitata nei confronti dei soggetti ritenuti civilmente responsabili è necessario che il fatto costituisca un reato perseguibile d’ufficio. Ne consegue che, in sede penale o civile, l’attivazione dell’azione di regresso non possa basarsi sul semplice riconosci- mento dell’infezione da Covid.

Alla luce di quanto sopra analizzato, con riferimento all’automatismo del riconoscimento di tale infortunio in sede indennitaria Inail, ma ancor più con riferimento al presunto ampliamento della responsabilità penale del datore di lavoro per inosservanza delle norme antinfortunistiche, i timori paventati non hanno ragion d’essere.

Anzi, è forse più verosimile pensare che l’equiparazione dell’infortunio Covid, dando accesso alle prestazioni Inail, possa offrire ai lavoratori interessati tutele e risposte, disincentivandone il ricorso in sede giudiziaria poiché, di fatto, le loro istanze, ove accolte in sede Inail, sarebbero in qualche modo già soddisfatte.

Mi pare piuttosto importante sottolineare come il perimetro della responsabilità datoriale sia stato opportunamente affrontato dal legislatore attraverso l’inserimento dell’art. 29-bis del decreto Liquidità che non integra in ogni caso una ipotesi di “scudo penale” per il datore di lavoro, ma costituisce – con tutti i limiti e le problematiche interpretative che ha suscitato – un primo tentativo di mitigazione ex ante della responsabilità datoriale, con l’obiettivo di porre un argine allo sconfinamento oggettivistico della responsabilità, il cui spettro incombe sugli imprenditori, in un momento di grande complessità socio-economica per il Paese.

Chi è Cesare Damiano

Nato a Cuneo nel 1948, è stato Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale nel secondo Governo Prodi ed è ricordato per essere l’artefice del Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro. Dal 2006 al 2018 è Deputato della Repubblica eletto nelle liste del PD e dal 2013 al 2018 è Presidente della Commissione Lavoro della Camera.

cesare damiano

Cesare Damiano svolge oggi attività di ricerca, formazione e consulenza in materia di sicurezza, diritto del lavoro, politiche dell’occupazione, relazioni industriali, contrattazione collettiva, welfare e previdenza, ed è Presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare e del Centro Studi Mercato del Lavoro e Contrattazione.

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