L’economia delle relazioni insegnata dagli alberi

Un insegnamento che viene dai boschi, dove gli alberi, grazie a reti sotterranee di funghi, riescono a comunicare e a cooperare come una vera comunità

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Economia delle relazioni: imparare dagli alberi

di Marina Fabiano |

Non si sa mai cosa scatena una lettura: è perciò che vado ispirandomi leggendo articoli di vario genere, saggi, romanzi, racconti. Succede poi che “tac!”, l’idea si illumina come una lampadina, da lì partono ricerche e approfondimenti, finché il pensiero prende forma.

Non è detto che sia un pensiero originale, senza dubbio diventa un pensiero utile al momento, alla situazione. In particolar modo mi piace soffermarmi sulle dinamiche relazionali, ritengo siano lo snodo delle cose che procedono, in azienda o nel privato. Le relazioni stagnanti non evolvono, quelle effervescenti corrono e producono. Le dinamiche relazionali – quelle che funzionano, quelle che no, quelle regolari e costanti, le più sporadiche – sono sempre state fonte di studio. Le relazioni si appoggiano sulle aspettative: se queste vengono soddisfatte, quelle si solidificano, altrimenti si sfrangiano. Le aspettative, a loro volta, hanno bisogno di essere definite, dichiarate, e pure richieste. In alternativa, è difficile indovinarle.

Economia delle relazioni: la vita sociale delle foreste

Lo spunto, questa volta, nasce da un articolo del New York Times, intitolato “The social life of forests”, successivamente tradotto da Internazionale sotto forma di articolo lungo, genere che ultimamente spopola tra i giornalisti cosiddetti colti. Avete notato il proliferare delle newsletter di singoli comunicatori (giornalisti, scrittori, editori…)? Dato che i giornali (di carta e digitali) soffrono un continuo calo delle vendite – perché quando ben sono stampati o online le notizie sono ormai note, anzi vecchie – sta prendendo piede il giornalismo di approfondimento. Ovvero articoli lunghi (longform), oppure con più articoli spezzettati ma sullo stesso argomento. Dei podcast magari ne parliamo un’altra volta. Non che io sia particolarmente interessata alla botanica, ma sai quando entri in un tema che ti scampanella altro…

Leggevo dunque questo approfondimento sulla “Vita sociale degli alberi”. Già dal titolo, suggerisce relazioni e si addentra nelle teorie di Suzanne Simard, professoressa di Ecologia Forestale alla British Columbia. Le sue sono teorie basate su studi di lunga durata, ovviamente, di cui oggi mostra soddisfatta gli evidenti risultati. Dunque, la Simard dice che nel sottosuolo del bosco le piante si uniscono, interscambiano, comunicano, si associano usando funghi e radici per trasmettere benessere reciproco. Non solo dal punto di vista nutritivo, ma anche difensivo.

Dialogo nutritivo continuo

Alcune specie, come le querce e i tartufi, come i castagni e i funghi porcini, creano addirittura delle alleanze simbiotiche: spesso dove esiste l’uno prolifera anche l’altro. È stato dato un nome, a questo network reale e fittissimo: micorriza, di tipo mutualistico, a significare la vita a stretto contatto traendo reciproci vantaggi. Piante, funghi e radici, si alimentano tra di loro, scambiano sostanze nutritive. Non basta, a quanto pare, ed è stato dimostrato, si avvertono con impulsi e segnali in caso di pericoli incombenti.

Acqua e sostanze nutritive, segnali d’allarme e ormoni, carbonio e altri elementi utili, passano da un albero all’altro tramite i fili fungini, non solo tra alberi della stessa specie ma anche tra alberi diversi, tra piante più vecchie e piante più giovani, in un dialogo nutritivo continuo. Isola una pianta giovane, ancora priva di funghi simbiotici e di collegamenti sotterranei, mettila lontana dagli alberi più adulti e non sopravviverà. I boschi, come le comunità di umani che si sostengono a vicenda, diventano più resilienti e tenaci nel tempo se, invece di pensare soltanto al benessere individuale, imparano a rafforzarsi orizzontalmente. La Simard ha dimostrato che le foreste non sono solo una collezione di alberi, non certo masse individuali che si ignorano a vicenda. Sono invece società ampie e intricate, evidenziate da conflitti e negoziazioni, reciprocità e altruismo.

Ovviamente la scienziata non ha avuto vita facile per le sue ricerche. Anzi, è stata osteggiata e sbeffeggiata prima di trovare ascolto e finanziamenti che le consentissero di provare le sue teorie. Anche un altro studioso, Peter Wohlleben, nel suo libro “La vita segreta degli alberi” sostiene che le piante sappiano nutrirsi a vicenda e comunicare tra loro, quindi non stiamo dando particolare credito a un’unica ricercatrice, anzi.

Economia delle relazioni: risuona l’attinenza?

Ma è vero che la collaborazione produce buoni risultati quanto la competizione? Meglio allearsi o costruirsi il proprio spazio nel mercato attraverso una bella sana (talvolta poco sana) concorrenza? Questa è una delle domande ricorrenti in ambito biologico e sociale, della risposta non siamo al momento consapevoli al 100%. Tornando alle micorrize sociali, l’attinenza relazionale delle foreste rinforza i nostri convincimenti. Non basta stare al vertice e pretendere di avere una visione allargata e comprensiva. È molto più utile – ogni tanto – abbassarsi a livello del terreno e scavare.

Guarda i diffusori di notizie: dall’alto delle proprie posizioni, in maniera anche piuttosto arrogante (io so cose che tu non sai, decido io come te le trasmetto), gettano nel mucchio pacchetti di informazioni, senza discriminare a chi interessano, in che modo, con quali riscontri. Guarda le aziende come comunicano all’interno e all’esterno, cosa decidono di comunicare e in che modo. Lo fanno in modo personalistico, senza assicurarsi di quali informazioni potrebbero essere richieste, da chi, con quale livello di approfondimento, senza costruire – prima – le reti che collegano le comunità di individui a cui si rivolgono. Guarda le enormi necessarie differenze nell’economia delle relazioni tra le diverse generazioni che oggi lavorano insieme nelle aziende. Una delle capacità fondamentali dell’attuale economia delle relazioni è sapersi identificare nelle comunità a cui ci si rivolge, nel sapergli assomigliare e, se opportuno, cambiare con loro.

Come fare?

Ponendosi le domande giuste, tanto per cominciare. Ad esempio:

  • Ciò che comunichiamo è davvero rilevante per il gruppo di persone a cui ci rivolgiamo? Lo stiamo facendo per noi stessi (forma difensiva) o per loro (forma nutritiva)?
  • Le persone che compongono il nostro team sanno identificarsi con le persone che rappresentano i nostri interlocutori? Gli assomigliamo?
  • L’idea che abbiamo del gruppo è attuale (come pensano? come si organizzano? come amano comunicare?) o siamo rimasti inchiodati a convinzioni sorpassate? Sappiamo cambiare insieme?

Per conoscere le micorrize sotto il livello delle nostre teste, occorre avere pazienza e sporcarsi un po’ le mani. Dimostrando a noi stessi, prima di tutto, che la foresta è qualcosa di più di una collezione di alberi.

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