Consigli per gli acquisti

Expertise del provider, ampiezza e diffusione territoriale dei servizi, loro grado di personalizzazione, usability del portale, servizi di reportistica, voucherizzazione, sinergie con il territorio. Sono solo alcuni dei parametri che si dovrebbero considerare nella scelta di un provider di Welfare Aziendale.

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di Giovanni Scansani* |

Qual è la dimensione economica potenziale del mercato in cui agiscono i Provider e tutti gli altri operatori a vario titolo collegati all’onda lunga dello sviluppo del Welfare Aziendale?

Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo premettere che quantificare il valore complessivo del Welfare Aziendale in  Italia è un’operazione, forse, ad oggi pressoché impossibile in mancanza di una fonte statistica univoca di riferimento. Neppure i dati del Ministero del Lavoro, riferiti al deposito delle dichiarazioni di conformità dei contatti aziendali stipulati (anche) al fine di accedere alla defiscalizzazione del Premio di Risultato, aiutano una ricostruzione complessiva perché, appunto, si limitano unicamente a registrare quella specifica fonte istitutiva di quel particolare tipo di Welfare Aziendale che può derivare dalla conversione (totale o parziale) dei Premi di Risultato (si tratta del cosiddetto “Welfare di Produttività” che, peraltro, non rappresenta neppure una tipologia di Welfare Aziendale propriamente detto, perché con esso si identifica, al più, solo una diversa modalità di corresponsione del premio che, in questo caso, può essere fruito in servizi anziché in cash).

Occorre, poi, non tralasciare tutti quei numerosi casi in cui il Welfare Aziendale – e si direbbe il “vero” Welfare Aziendale – è sganciato dall’aleatorietà del PdR e dall’incertezza sul quantum della sua entità: si tratta di fattispecie note quando sono contrattate e meno note se di fonte unilaterale. Complessivamente queste rappresentano una parte importante del fenomeno anche perché esprimono i casi in cui il Welfare Aziendale è un reale investimento effettuato dall’impresa che colloca on top sulle retribuzioni un importo destinato a costituire il complessivo pacchetto della compensation del lavoratore nella quale, così, entrano elementi di “scambio sociale” idonei ad istituire tutele tendenzialmente stabili rispetto ai bisogni delle persone (e sganciate dalla contingenza del raggiungimento, o meno, dei target aziendali).

Inoltre, occorre considerare il fenomeno più recente, quello del “Welfare Aziendale contrattuale obbligatorio” di fonte nazionale (perché previsto da alcuni Ccnl e a partire dal più importante: quello dei metalmeccanici). Tuttavia, il valore di questa componente del Welfare Aziendale, da un lato, dovrebbe essere deduplicato laddove l’impresa di quel settore abbia già istituito una policy di Welfare Aziendale cui si siano aggiunte le indicazioni del contratto nazionale e dall’altro lato dovrebbe forse essere, invece, depurato da quelle letture dell’obbligo di corrispondere gli importi minimi previsti dal Ccnl a titolo di Welfare Aziendale che si sono tradotte nella mera attribuzione di buoni benzina e di buoni acquisto che, in se stessi, non rappresentano misure di Welfare, ma solo dei fringe benefit.

Infine, anche misurare il valore del solo Welfare Aziendale oggetto delle transazioni registrate dai Provider è operazione non semplice, non essendoci alcun centro di raccolta di queste informazioni (una possibile fonte futura potrà essere rappresentata dalle associazioni del settore, benché anche queste potranno restituire solo una fotografia parziale del fenomeno in quanto limitata alle sole aziende aderenti).

Qualche stima del mercato

Tuttavia, pur a fronte delle difficoltà segnalate, alcune stime sul valore complessivo del Welfare Aziendale in Italia sono state proposte. Secondo un’indagine Censis-Eudaimon, il valore potenziale della domanda globale di Welfare Aziendale varrebbe 21 miliardi di euro; per Aiwa (l’associazione di categoria che raccoglie i principali Provider) varrebbe invece 7 miliardi di euro, mentre per l’advisor Valore Welfare e per altri esperti del settore “solo” 5 o 6 miliardi di euro dei quali, sinora, poco più del 10% passerebbe dai “portali”. Ancora più contenuta, infine, la stima proposta da Itinerari Previdenziali che, al netto di sanità integrativa, buoni pasto e previdenza complementare, ferma l’asticella sui 2,5 miliardi di euro.

La funzione sociale del Welfare Aziendale

Anche prescindendo dalle rilevanti diversità delle stime, si comprende come il mercato abbia enormi potenzialità di sviluppo rispetto alla forbice del valore ad oggi ipotizzabile come complessivamente gestito tramite “portali” (700/800 milioni di euro).

Analoghe conclusioni possono raggiungersi considerando l’attuale “copertura”  stimata in 1,5 milioni di lavoratori (sul totale di oltre 15 milioni di addetti del settore privato) stimati come attivi sui “portali” per la gestione del Welfare Aziendale. Davanti a sé, quindi, i Provider hanno una vera e propria prateria per crescere.

È una buona notizia per l’affermazione e il consolidamento delle corrette prassi di Welfare Aziendale? Sì, ma a una condizione: che l’azione dei Provider non finisca per innescare scelte smaccatamente consumistiche e in grado di soddisfare primariamente obiettivi individuali di corto termine.

Certo, molto dipende dai budget in gioco: meno capiente è il “Conto Welfare”, più l’impiego delle risorse andrà nella direzione del soddisfacimento di esigenze immediate e psicologicamente vissute come “monetizzabili” (è il caso, ad esempio, dei buoni benzina, dei buoni acquisto o della destinazione del wallet ad altre piattaforme come Amazon o Zalando).

Occorre, insomma, che l’offerta disponibile online sul “portale” non si associ alle tipiche dinamiche e-commerce e che privilegi (e difenda) la funzione sociale del Welfare Aziendale. Questo passa dal fatto che i Provider acquisiscano sempre più consapevolezza della loro funzione non contaminandola (o almeno non troppo) con scelte che, alla lunga, potrebbero risultare controproducenti in sé e per la stessa diffusione delle migliori prassi. Su questo aspetto, la cui urgenza è ben testimoniata dal fatto che ancora oggi quote rilevanti di lavoratori non dispongono di complete informazioni sulle opportunità (e le criticità) del welfare d’impresa, un impegno alla diffusione della cultura del (vero) Welfare Aziendale dev’essere assunto anche dalle stesse aziende datrici di lavoro che, per di più, ne avrebbero anche tutto l’interesse.

Il Welfare Aziendale, cioè, deve diventare una scelta sempre più consapevole e pienamente informata, quindi ben conosciuta da chi ne beneficia affinché realmente ne possa trarre un vantaggio. Per sostenere questo percorso le aziende dovrebbero introdurre una specifica area di formazione interna al fine di porre i lavoratori nelle condizioni di orientarsi con piena coscienza verso soluzioni realmente utili sul medio-lungo termine, ancorché meno attrattive rispetto ad altre opzioni più consumistiche e che, proprio per questo, hanno ben poca (se non alcuna) valenza prospettica per la tutela di fondamentali beni della vita del lavoratore e della sua famiglia (su tutti: previdenza complementare, sanità integrativa e conciliazione vita-lavoro).

Come valutare un provider

La strutturazione sempre più solida della domanda di Welfare Aziendale passa anche dal fatto che gli acquisti dei servizi gestionali offerti dai Provider, in particolare quelli effettuati dalle grandi imprese che muovono rilevanti volumi economici e riguardano decine di migliaia di lavoratori, sempre più spesso transitano da vere e proprie gare d’appalto, ancorché di carattere privatistico (in attesa che arrivino le gare della Consip, quando cioè anche il pubblico impiego potrà rappresentare un segmento rilevante al quale rivolgere i servizi di supporto alle politiche di Welfare Aziendale).

Un settore emergente mette sempre inizialmente in crisi i buyer e gli uffici acquisti, che si trovano nella difficile condizione di dover definire ex novo i capitolati con i quali guida- re le fasi di selezione dei fornitori di un servizio non solo poco conosciuto nelle sue specificità, ma per di più molto delicato nei suoi possibili risvolti essendo destinato ad essere fruito dalla generalità o da ampie categorie di dipendenti. Grazie alla spinta dei Provider anche su questo aspetto si sono diffuse competenze e si è formato qualche standard che proviamo qui a sintetizzare nei termini di quali dovrebbero essere gli aspetti da considerare per una corretta valutazione dell’offerta tecnica proposta da un Provider.

Premesso che un’attenta analisi preliminare andrà effettuata circa la solidità economico-finanziaria del potenziale fornitore, oltre ad altre consuete verifiche di onorabilità e di sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi dell’operatore rispetto al servizio oggetto del contratto, sul piano squisitamente tecnico, occorrerà valutarne l’expertise come anche l’ampiezza e la diffusione territoriale dei servizi resi disponibili per il lavoratore, nonché il loro grado di personalizzazione, ossia le modalità e i tempi con i quali il Provider darà risposta alla richiesta di eventuale adeguamento dell’offerta rispetto alle specifiche necessità individuali non immediatamente “coperte” dall’offerta disponibile online (il lavoro del Provider nasce B2B, ma poi diventa soprattutto B2C).

Andrà verificata la “usability del portale”, quindi la sua facilità di navigazione e l’intuibilità delle sue funzioni, così come importante sarà valutare i sistemi di assistenza (Faq, help online e linee dedicate) e la completezza delle informazioni (sul piano non solo operativo, ma anche fiscale e giuridico) unitamente al piano di comunicazione del programma di Welfare Aziendale che dovrà essere gestito.

Per il datore di lavoro saranno poi importanti i servizi di reportistica sull’andamento dei “consumi” e i plus di servizio che potranno completare il menu previsto dal programma di Welfare Aziendale o di flexible benefit offerto ai lavoratori. Per le aziende (specialmente le Pmi) essenziale sarà l’esistenza di una comoda modalità di voucherizzazione dei servizi che possa semplificare le scelte e gli accessi alla rete d’offerta, verificando il grado e il timing della customizzazione della rete di accettazione dei voucher stessi.

Come si sarà compreso la parte tecnica dell’offerta dev’essere attentamente valutata e un servizio destinato ad avere un impatto su tutta o gran parte della popolazione aziendale non dovrebbe mai essere scelto unicamente confrontando la sola parte economica delle singole offerte (in genere riferita a costi start-up del “portale”, alla sua manutenzione durante l’esecuzione del contratto e alla fee di gestione calcolata percentualmente sul valore dei servizi di Welfare Aziendale gestiti dalla piattaforma).

Limitarsi a quest’ultimo tipo di confronto significherebbe letteralmente giocare al ribasso con i bisogni e con una componente del complessivo pacchetto retributivo dei lavoratori la cui piena e libera fruizione, come la più attenta gestione da parte del Provider prescelto, dovrebbero rappresentare le “linee-guida” fondamentali delle procedure di procurement applicate al tipo di servizio di cui ci stiamo occupando.

Per le aziende più evolute e realmente socialmente responsabili, oltre a queste considerazioni, potrà essere interessante valutare anche la capacità del Provider di creare sinergie con il territorio, ossia con l’offerta dei servizi disponibili dove l’impresa gravita e dove vivono i lavoratori e i loro familiari: è anche questo un modo per creare con l’ambiente circostante quella reciprocità e quello scambio capace di generare esternalità positive che rientrano pienamente nella complessiva funzione sociale del Welfare Aziendale.

Un programma complesso

In definitiva, quindi, (e lo diciamo come monito in quanto sembra essere una strada sempre più praticata) è quantomeno contraddittorio allestire procedure di selezione dei Provider incentrate al ribasso quando sul piatto non si sta mettendo l’acquisto di una commodity, ma la riuscita di un programma complesso con il quale il management solitamente comunica di aver voluto “mettere la persona al centro”.

Detto in altri termini, la funzione e le finalità sociali del Welfare Aziendale (che ne giustificano il favor normativo e la diffusione grazie a tante, spesso faticose, trattative) non posso- no essere tradite da spregiudicate modalità di acquisto proprio di quei servizi che dovranno assicurare la sua riuscita e la soddisfazione di chi dovrà beneficiarne.

Su questi aspetti un attento presidio rispetto alle decisioni aziendali è possibile, soprattutto laddove sul luogo di lavoro sia presente il Sindacato se non si vuole che le Rsa/Rsu corrano il rischio di essere bypassate prima dall’azienda e poi dal Provider intorno a un aspetto del contenuto del rapporto di lavoro sul quale esse stesse si sono spese e alla cui introduzione hanno fattivamente partecipato. E nelle aziende più piccole o comunque prive di rappresentanze sindacali, queste accortezze potranno essere suggerite grazie alla competenza e alla professionalità dei Consulenti del Lavoro ai quali in proposito speriamo di aver dato sin qui qualche utile indicazione.


* Giovanni Scansani è co-founder e amministratore unico di Valore Welfare, società di consulenza che si occupa della definizione e dell’implementazione di modelli di Welfare Aziendale. Lo ringraziamo per la puntuale analisi sul Welfare Aziendale che termina con questa terza puntata

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