Giovani, istruzione e lavoro: a che punto siamo?

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Il mismatch tra domanda e offerta di figure tecniche specializzate nel mondo del lavoro sembra partire dai pregiudizi degli stessi giovani: un terzo di loro esclude un futuro alle prese con una professione tecnica, il 57% è convinto di iscriversi all’università.

Tra questi ultimi, il 37% non cambierebbe idea neanche di fronte a un’alternativa che dia maggiori garanzie occupazionali (come il sistema ITS). Purtroppo, continuano a emergere stereotipi e falsi miti legati al post-diploma che non incoraggiano scelte ponderate, nonché una forte indecisione sul proprio domani. Eppure 6 su 10 sono consapevoli che il futuro dell’economia risieda nelle STEM.

Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica saranno le discipline cardine per i lavori del futuro. Ne sono convinti 6 alunni delle scuole superiori su 10. Ma questo non basta per trasformare le Stem in una scelta di massa. Al primo posto, nella scala di priorità degli studenti, resta la voglia di assecondare le proprie aspirazioni: dopo il diploma, appena 1 su 7 si dice disposto a rinunciare ai sogni adolescenziali per seguire un percorso in grado di dargli stabilità; mentre 2 su 5 lo farebbero solo di fronte alla manifesta impossibilità di centrare l’obiettivo principale.

A svelare questo ‘corto circuito’ è una ricerca condotta da Skuola.net su un campione di 3mila ragazzi che attualmente frequentano licei, istituti tecnici e professionali, presentata in occasione della ELIS Open Week, l’evento organizzato da Elis – realtà no profit che forma persone al lavoro – per avvicinare le aziende leader nei settori tecnico-tecnologici ai ragazzi, andato in scena (in modalità online) dall’8 al 12 marzo. La settimana di appuntamenti fa parte del Progetto Sistema Scuola Impresa che ha riunito le aziende del Consorzio Elis con l’obiettivo comune di aiutare i giovani nella scoperta dei loro talenti e nel riconoscere la loro vocazione professionale.

Il divario istruzione-lavoro

Rischia, dunque, di riproporsi ancora a lungo quel mismatch tra domanda e offerta di lavoro di cui soffrono alcuni settori produttivi in Italia, specie quelli più innovativi: i posti ci sono, a mancare sono persone formate adeguatamente. Forse perché, purtroppo, persistono pregiudizi verso certi percorsi, considerati spesso dall’immaginario collettivo quasi di ‘Serie B’.

Ancora oggi, più di 1 ragazzo su 3, proiettandosi in avanti, scarta a priori l’idea di fare un lavoro tecnico-pratico; sono molti di più di coloro che, al contrario, eliminano dalla lista quelli ‘intellettuali’ (20%). A ribadire l’ancoraggio a schemi ormai superati, ci sono le scelte post diploma dichiarate: la stragrande maggioranza del campione (57%) punta dritto in direzione dell’università. L’alternativa, a volte, è fermarsi per guardarsi intorno e decidere con calma: quasi 1 su 4 dopo la maturità potrebbe prendersi un anno di pausa oppure andare subito all’estero in cerca di fortuna.

Solo il 14% degli intervistati, al momento, prevede di puntare subito al mercato del lavoro. Appena la metà di questi (7%) passando per un corso professionalizzante (non universitario): i famosi ITS – gli Istituti Tecnici Superiori – citati anche da Mario Draghi nel suo discorso programmatico e su cui il nuovo Governo è intenzionato a investire parecchie risorse del Recovery Fund. Percorsi con altissimi tassi d’occupazione proprio perché rispondenti alle reali esigenze delle aziende. Ma questo non sembra smuovere i giovani: ad esempio, tra chi vorrebbe andare all’università, il 37% non cambierebbe idea neanche davanti alla proposta di un percorso alternativo con maggiori opportunità professionali (come, appunto, gli ITS); solamente il 16% accetterebbe volentieri l’offerta.

Per spiegare questo atteggiamento basta partire dalla confusione e dalla scarsa conoscenza mostrate dagli alunni delle superiori su alcune pieghe fondamentali dei percorsi post-diploma. I falsi miti, soprattutto sul mondo universitario, proliferano: più di 1 su 2 pensa che sia meglio laurearsi col massimo dei voti (anche a costo di andare ‘fuori corso’) anziché farlo nel tempo previsto; per 1 su 5 non è così importante fare stage in azienda o esperienze di lavoro durante gli studi; oltre 1 su 3 dice che per trovare un buon lavoro è più importante conoscere la teoria che saper fare le cose.

Da rivedere anche la consapevolezza delle dinamiche aziendali: solo il 40% dimostra, ad esempio, cosa voglia dire l’acronimo CEO (l’amministratore delegato); tutti gli altri spaziano dal consulente esterno (12%) al proprietario (12%), dal capo reparto (9%) al consiglio d’amministrazione in blocco (5%).

L’orientamento che fa la differenza

I selezionatori del personale non saranno contenti di leggere le loro risposte. Loro, infatti, la pensano diversamente: saper fare, laurearsi in tempo e l’attitudine al lavoro già forgiata da precedenti esperienze lavorative o di tirocinio sono spesso degli elementi chiave per essere assunti. Insomma, assistiamo a uno scollamento netto tra quello che il mondo del lavoro si aspetta dagli studenti e quello che gli studenti pensano che le aziende si aspettino da loro.

E nemmeno tanto isolato, se colossi nazionali e internazionali – come Terna, Eni, Enel, Snam, Autostrade, FSI, Poste Italiane, Open Fiber, Tim, Microsoft, Nokia, A2a, Sky – decidono di far incontrare i più giovani, anche se solo virtualmente, durante la Digital Open Week, con i loro CEO per scoprire cosa c’è davvero dietro quella porta che separa la formazione dal lavoro.

La cerniera tra i due mondi dovrebbe essere quell’insieme di attività che, a livello scolastico, va sotto il nome di Orientamento. Che in altri paesi parte addirittura dalle scuole elementari ma che, da noi, è spesso un’attività ‘su richiesta’, senza coordinamento, svolta solo quando arriva la fine di un ciclo di studi. Non deve perciò stupire che quasi la metà degli intervistati (45%) ammetta di essere ancora molto, se non del tutto, disorientata e indecisa. Le loro, per ora, sono solo suggestioni senza una base concreta.

Come aiutarli? Qualcuno (21%) ripone ancora fiducia nel supporto che potrà dargli la scuola, tanti altri però gradirebbero avere informazioni da chi quotidianamente vive dall’interno le dinamiche del mondo del lavoro: il 15% vorrebbe confrontarsi con un manager d’azienda (pubblica o privata), il 10% con chi riveste ruoli più operativi, il 30% con formatori ed esperti in risorse umane.

“Educare i giovani a essere agenti del cambiamento e orientarli alle professioni del futuro è una delle principali sfide che abbiamo come manager e come persone”, afferma Stefano Donnarumma, Amministratore Delegato di Terna e Past President di Elis. “Con il progetto Sistema Scuola Impresa vogliamo contribuire all’innovazione del sistema educativo, mettendo al centro lo studente nella scoperta dei propri talenti: solo facendo sistema fra scuole, professori, aziende e manager possiamo dare un futuro diverso al nostro Paese”.

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