Dimissioni di fatto e risoluzione del rapporto di lavoro

Con l’art. 19 della Legge 203/2024 prevista dal Collegato Lavoro si introduce un nuovo meccanismo per risolvere il rapporto di lavoro in caso di assenza ingiustificata, garantendo tutele sia per lavoratori sia per i datori di lavoro

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Il Collegato Lavoro introduce un nuovo meccanismo di risoluzione del rapporto di lavoro in caso di assenza ingiustificata

di Mario Pagano |

Il Collegato Lavoro potrebbe aver scritto la parola “fine” all’annosa questione delle dimissioni per fatti concludenti, ossia la condotta posta in essere dal lavoratore che si assenta dal posto di lavoro senza fornire alcuna giustificazione.

Con l’art. 19 della citata L. 203/2024 il legislatore, infatti, ha introdotto una procedura ad hoc, che attribuisce valore risolutivo e, quindi, dimissionario, all’assenza ingiustificata del lavoratore, protratta per un certo lasso di tempo fissato dal contratto collettivo o, in difetto, stabilito dalla legge in 15 giorni.

Il tutto a ulteriore condizione che il datore di lavoro comunichi tale fattispecie all’Ispettorato del Lavoro. E che lo stesso, a seguito di eventuali accertamenti esperiti, non accerti una differente situazione rispetto a quanto comunicato. Inoltre, allo stesso lavoratore è, comunque, data la possibilità di dimostrare l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che avrebbero potuto giustificare la sua assenza.

Risoluzione del rapporto di lavoro consensuale

Vediamo nel dettaglio, quindi, il nuovo meccanismo, anche alla luce delle indicazioni fornite dallo stesso Ispettorato del Lavoro, intervenuto con nota 579/2025. Va ricordato che, al fine di arginare il triste fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco, con l’articolo 1 comma 6 lett. g) della legge 183/2014 il Governo è stato delegato, tra le altre cose, a prevedere modalità semplificate per garantire data certa. Nonché autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione del rapporto di lavoro consensuale. Anche tenuto conto della necessità di assicurare la certezza della cessazione del rapporto nel caso di comportamento concludente in tal senso della lavoratrice o del lavoratore.

Tuttavia, in fase di attuazione delle delega, l’art. 26 co. 1 D.Lgs. 14.9.2015 n. 151 ha unicamente previsto che, al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, co. 4, del D.Lgs. 151/2001 (dimissioni della lavoratrice durante il periodo di gravidanza o della madre o del padre lavoratore durante i primi tre anni del bambino) le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro fossero fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro. Poi trasmessi al datore di lavoro e all’Ispettorato del Lavoro con le modalità individuate con decreto del Ministro del Lavoro (DM 15.12.2015). E con possibilità di revoca entro i successivi sette giorni.

Lo stesso articolo 26, nei commi successivi, ha chiarito che la trasmissione dei moduli di dimissioni o risoluzione consensuale può avvenire anche per il tramite di patronati, organizzazioni sindacali, consulenti del lavoro e sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione di cui agli articoli 2, co. 1, lettera h), e articolo 76 del D.Lgs. 276/2003.

Inoltre, sempre per espressa previsione di legge, la procedura telematica di dimissioni non è prevista per lavoratori domestici e dipendenti pubblici. Che possono dimettersi, pertanto, esattamente come le lavoratrici e i lavoratori padri durante i primi tre anni di vita del bambino, secondo il sistema tradizionale, con comunicazione scritta, ricettizia, in carta semplice al datore di lavoro. Diversamente con l’art. 26 nulla è stato previsto per le dimissioni per fatti concludenti.

Tale carenza normativa ha nel tempo costretto i datori di lavoro, nel caso di lavoratore che avesse deciso di abbandonare il posto di lavoro senza fornire più alcuna notizia di sé, a percorrere la strada del licenziamento per assenza ingiustificata. Soluzione che, va ricordato, comporta, lato datore di lavoro, il versamento del contributo per la risoluzione del rapporto a tempo indeterminato, di cui all’articolo 2 comma 31 della legge 92/2012 (ticket licenziamento). Ma che, nel contempo, permette ai lavoratori di accedere alla Naspi anche in caso di condotte dimissionarie non formalizzate con la procedura telematica.

L’intervento della giurisprudenza

Su questo quadro normativo si sono innestati diversi punti di vista della giurisprudenza. Un primo intervento si è avuto con la sentenza n. 106/2020 del Tribunale di Udine. Secondo la quale il lavoratore che manifesta la volontà di dimettersi, ma non formalizza le dimissioni e, non presentandosi più al lavoro, costringe il datore di lavoro a licenziarlo, può essere chiamato a risarcire quest’ultimo delle somme versate come ticket licenziamento.

Successivamente, con sentenza 20/2022, lo stesso Tribunale ha fatto un passo ulteriore. Arrivando, di fatto, a riproporre la tesi, sostenuta in passato dalla giurisprudenza, ma in vigenza del precedente quadro normativo, circa il valore delle dimissioni per facta concludentia (cfr. Cassazione 9.7.2019 n. 25583). Tuttavia, la stessa giurisprudenza ha, in altri casi (Tribunale di Cremona 15.10.2024 n. 333; Corte di Appello di Catanzaro, 26.11.2024), smentito tali orientamenti, confermando il formale dato normativo.

Tra tutte, la stessa Cassazione, con sentenza 23.9.2023 n. 27331, ha chiarito come, ai sensi del citato art. 26, il rapporto di lavoro subordinato si possa risolvere per dimissioni o accordo consensuale delle parti solo previa adozione di specifiche modalità formali. Oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell’atto. Un principio che non sembrava lasciare spazio a comportamenti “di fatto” ai quali attribuire una volontà dimissionaria.

Nuovo meccanismo di risoluzione del rapporto di lavoro

Conseguentemente, il legislatore ha finalmente introdotto il comma 7-bis all’art. 26, prevedendo un nuovo meccanismo di risoluzione del rapporto di lavoro. Operante nell’ipotesi in cui il lavoratore risulti assente senza fornire alcuna notizia per il tempo previsto dal Ccnl o in difetto per almeno 15 giorni.

Il primo presupposto, quindi, è rappresentato dall’assenza ingiustificata, la cui durata può essere tipizzata dal contratto collettivo applicato. Ad avviso di chi scrive, tale fattispecie (assenza ingiustificata con valenza dimissionaria) deve essere espressamente prevista dalla contrattazione collettiva, non potendo essere mutuata dalla simile ipotesi sanzionata disciplinarmente con il licenziamento per giustificato motivo. In difetto varrà il limite legale di 15 giorni che, sempre secondo lo scrivente, sono da considerarsi giorni lavorativi e non di calendario. Infatti, solo nel caso in cui il lavoratore sia tenuto a presentarsi al lavoro la sua assenza può richiedere una giustificazione. In difetto della quale, la stessa diviene “non giustificata”.

Altro aspetto da considerare è che, per essere “ingiustificata” ai sensi del nuovo comma 7-bis, l’assenza deve essere frutto di totale inerzia da parte del lavoratore. In altre parole, laddove il lavoratore resti assente fornendo comunque una motivazione, che il datore ritene non valida, non si produrrebbero gli effetti previsti dalla nuova normativa. Non rappresentando una valida modalità di dimissioni per fatti concludenti, ma una condotta che potrebbe determinare una procedura disciplinare e il licenziamento.

Ciò chiarito, se il datore intende attribuire all’assenza “ingiustificata” una valenza risolutiva del rapporto, è tenuto a effettuare una comunicazione, preferibilmente a mezzo Pec, alla sede territoriale dell’Ispettorato competente in ragione del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa. Effettuata la comunicazione, può inviare l’Unilav di cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, concludendo la procedura. L’Ispettorato, con la nota 579 ha, peraltro, diffuso un modello, attraverso il quale effettuare detta comunicazione e fornire informazioni che permettano una successiva verifica.

La tutela del lavoratore

Qui si aprono possibili scenari che il legislatore ha previsto a tutela del lavoratore. L’Ispettorato, infatti, una volta ricevuta la comunicazione, ha 30 giorni di tempo per effettuare le verifiche. Acquisendo informazioni dal lavoratore, dai colleghi o da soggetti terzi, al fine di capire se effettivamente l’intenzione del lavoratore sia quella di dimettersi. Tali accertamenti potrebbero anche concludersi in un nulla di fatto, non potendo, ad esempio, neppure l’Ispettorato, rintracciare il lavoratore.

Diversamente, potrebbe accadere che le verifiche portino alla luce una diversa situazione o che il lavoratore non sia stato in grado, per causa di forza maggiore o fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza. Come sottolineato dallo stesso INL, il lavoratore ha, infatti, la possibilità di evitare l’effetto risolutivo derivante dall’assenza non giustificata e dalla comunicazione del datore all’Ispettorato. Fornendo (con onere probatorio a proprio carico) non tanto la prova dei motivi dell’assenza, ma dell’impossibilità di comunicare gli stessi al proprio datore di lavoro.

In tali ultimi casi, ove la verifica abbia fatto emergere la non veridicità di quanto comunicato dal datore di lavoro, l’INL procederà a comunicare a quest’ultimo che l’effetto risolutivo, previsto dal nuovo comma 7-bis, non si è mai realizzato. E che il lavoratore ha conseguentemente diritto, ove il rapporto sia stato chiuso anche mediante Unilav di cessazione, alla ricostituzione del rapporto di lavoro. In tal senso l’Inps, con messaggio 639/2025, ha precisato che, a seguito della comunicazione al datore di inefficacia della risoluzione, questi è tenuto agli adempimenti in materia di obbligo contributivo.

A ben vedere, quindi, non mancano le incertezze per i datori di lavoro che, anche a distanza di tempo, potrebbero vedersi posta nel nulla la procedura di risoluzione del rapporto di lavoro. Con la conseguenza, nelle situazioni più dubbie, di scegliere ancora la strada del licenziamento per assenza del lavoratore. Di certo, ad avviso dello scrivente, la nuova procedura ben si adatta a quelle situazioni nelle quali il lavoratore ha abbandonato il posto di lavoro senza fornire più alcuna notizia, nonostante eventuali tentativi di contatto da parte del datore di lavoro.


* Mario Pagano è collaboratore della Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere impegnativo per l’amministrazione di appartenenza.

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