di Virna Bottarelli | Sul tema del diventare imprenditori in Italia, tra difficoltà e aspirazioni, Inapp ha presentato il Working Paper dal titolo “Sviluppo e sostegno alla creazione di impresa: gli attori dell’ecosistema imprenditoriale in Italia”.
Il lavoro, redatto da Domenico Barricelli e Alessandra Pedone, rientra nel progetto “Politiche di sostegno alla creazione di nuova impresa e misure connesse di accompagnamento allo start-up. Ricognizione, analisi e mappatura delle misure europee, nazionali e regionali”, che l’ente ha attuato nell’ambito del piano triennale delle attività 2023-2025.
Come spiegano gli autori: “Nello studio abbiamo esplorato le dinamiche di demografia d’impresa giovanile, femminile, straniera e delle start-up innovative, considerando sfide e opportunità per lo sviluppo economico e l’occupazione. I risultati sottolineano il ruolo cruciale della collaborazione in rete tra istituzioni, università, enti di ricerca, imprese e associazioni per favorire la crescita di un ambiente imprenditoriale più inclusivo e sostenibile nel contesto nazionale”.
Nel nostro Paese molte nuove imprese incontrano difficoltà nell’avvio della loro attività. Non si tratta solo dell’accesso al credito bancario, che negli ultimi anni sembra non rappresentare uno dei problemi principali. Piuttosto, come indicano i dati Unioncamere e Anpal relativi alle nuove imprese nel 2023, gli ostacoli principali sono le difficoltà normative e burocratiche. Essere scoraggiati poi da un clima economico sfavorevole fa il resto, anche se dal 2021 in avanti la fiducia sembra tornata a salire.
Diventare imprenditori imparando a esserlo
Una delle sfide principali risiede, tuttavia, nella carenza di competenze manageriali e imprenditoriali tra i fondatori di imprese. Questo aspetto è basilare, perché può compromettere il successo a lungo termine di molte iniziative. La parola d’ordine è, quindi, formare all’imprenditorialità. Come scrivono Barricelli e Pedone, serve “un maggior coinvolgimento dei giovani in progetti di accompagnamento all’imprenditorialità per diventare esperti nelle dinamiche tipiche della gestione d’impresa”.
Il punto, infatti, non è solo capire come diventare imprenditori, ma acquisire un “mindset imprenditoriale fatto di esperienza dell’errore, di gestione dell’incertezza e superamento delle difficoltà insite nel lavoro indipendente”. Un percorso simile consente di acquisire “una maggiore consapevolezza delle proprie capacità, grazie alla simulazione delle dinamiche tipiche dell’esercizio d’impresa, con il relativo coinvolgimento emotivo che porta gli individui a mettersi completamente in gioco”. Anche l’imprenditore necessita di competenze specifiche per trasformare un’idea in un’impresa sostenibile: pianificazione strategica, gestione delle risorse, marketing, capacità di innovare.
Quanto conta il sistema
Un proverbio africano recita che “da soli si va veloce, insieme si va lontano”. Perché possiamo adottare questo detto in un ambito individualista come quello della creazione di impresa? Perché il contesto in cui si muove l’aspirante imprenditore gioca un ruolo importante. Il rapporto Inapp sostiene che “la promozione dell’imprenditorialità richiede un impegno concertato per costruire un ecosistema favorevole che sviluppi competenze mirate. Capaci di preparare gli individui ad affrontare le complessità del mercato e a sfruttare le opportunità di crescita”.
L’ecosistema a cui si fa riferimento include “istituzioni educative che, a livello scolastico e universitario, svolgono un ruolo cruciale nella formazione e nell’acquisizione di competenze anche trasversali”. Gli aspiranti imprenditori si trovano, in effetti, ad affrontare sfide significative come accesso ai finanziamenti, gestione delle finanze e adattamento ai cambiamenti del mercato. Senza una solida base di queste competenze si rischierebbe di compromettere la loro capacità di avviare e sostenere un’impresa nel tempo.
L’importanza delle competenze tecniche
Non meno importanti sono le competenze di tipo più tecnico, che non servono solo per sviluppare prodotti e servizi innovativi, ma sono essenziali per l’analisi dei dati e per prendere decisioni informate, integrate con gli strumenti di intelligenza artificiale generativa. Su questo aspetto, il rapporto sottolinea la limitata integrazione delle nuove tecnologie, il difficile scale-up delle imprese e la bassa digitalizzazione della popolazione, con pochi specialisti Ict.
Quest’ultimo dato incide nell’orientare le attività imprenditoriali verso i settori digitali. Secondo il rapporto 2024 di Almalaurea, nonostante le chance occupazionali del gruppo disciplinare di informatica e tecnologie Ict, così come quelle del gruppo medico-sanitario e farmaceutico, di ingegneria industriale e dell’informazione, i neolaureati in queste discipline non sembrano orientarsi verso forme di lavoro autonomo.
L’età giusta per diventare imprenditori
Il tema dell’imprenditorialità nel nostro Paese non può prescindere dalla crisi demografica che stiamo vivendo. Come si legge nello studio Inapp, l’invecchiamento della popolazione “da un lato ci porta a considerare il difficile rapporto delle giovani generazioni con l’imprenditorialità, dall’altro ad analizzare il potenziale imprenditoriale degli over 50 in uscita dai contesti aziendali. Questi ultimi, spesso in cerca di reinserimento nel mercato del lavoro, possono essere considerati nuovo potenziale per la creazione di start-up innovative, in virtù di esperienze maturate e competenze acquisite, in grado di promuovere una diversificazione delle iniziative imprenditoriali”.
Come trovare un equilibrio? Anche in questo caso il suggerimento è fare sistema, avere un approccio strategico. E il passaggio chiave è sempre la formazione: “È cruciale sviluppare programmi educativi attrattivi per i giovani imprenditori, fornendo loro le competenze necessarie per avviare e gestire nuove iniziative. Parallelamente, è essenziale implementare percorsi di formazione continua per le fasce d’età più mature, per consentire loro di aggiornare le proprie competenze e adattarsi ai cambiamenti. Allo stesso tempo si auspica l’adozione di maggiori pratiche di imprenditorialità intergenerazionale. In grado di incoraggiare il mentoring tra giovani e imprenditori più esperti, non solo per facilitare il trasferimento di conoscenze, ma anche per favorire ambienti collaborativi in cui le diverse esperienze possano integrarsi per sviluppare progetti innovativi”.
Lavoro autonomo e divari territoriali
Un ultimo spunto interessante riguarda l’elevata percentuale di imprese individuali, in particolare tra i giovani. Che denota un orientamento verso l’essere imprenditori autonomi più per necessità che non per scelta. Accade infatti che in molti casi si utilizzino gli incentivi e i finanziamenti offerti dalle politiche pubbliche nazionali e regionali a favore della creazione di lavoro autonomo. Ben diverso, però, dallo sviluppo di imprese e startup innovative. Queste ultime necessitano di politiche che ne facilitino l’accesso al mercato e all’innovazione tecnologica, hanno bisogno di veri e propri ecosistemi dell’innovazione.
Ne esistono, in effetti, ma sono prevalentemente nel Nord Italia. Ecco perché molti giovani imprenditori del Sud si trasferiscono altrove, con il rischio di accentuare ulteriormente i divari regionali e, in alcune aree, di favorire addirittura la desertificazione. La strategia di sviluppo territoriale, quindi, deve promuovere l’imprenditorialità anche nelle regioni meno sviluppate, offrendo supporto per colmare i divari in termini di competenze e infrastrutture.