Una patente a punti per la sicurezza

Il formante legislativo ha previsto una serie di misure finalizzate a mitigare i rischi di infortuni sul lavoro. La più discussa mediaticamente è l’introduzione di una “patente a punti” per le imprese

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Introduzione della patente a punti per la sicurezza delle imprese

di Luigi Beccaria |

Nel corso della sua lunga e prolifica carriera accademica, l’insigne giurista Rodolfo Sacco, nella seconda metà nel secolo scorso, coniò, con una limpidezza sconosciuta a tutti i suoi pur illustri predecessori, la nozione di “formante del diritto”.

In sostanza, secondo l’autore, ciò che nel linguaggio sociale viene definito “diritto” (lo “ius” romano), non doveva – e non deve – essere inteso come il mero insieme delle leggi che compongono l’ordinamento giuridico di uno Stato. Bensì come l’insieme, per l’appunto, dei tre cosiddetti formanti. Costituiti sì dal corpus della legislazione “positiva”, ma anche dalla produzione dottrinaria (ossia il contributo ermeneutico degli studiosi e degli accademici, periti della “scientia juris”), e infine dagli orientamenti giurisprudenziali dominanti in un certo momento storico.

Se è vero che il formante giurisprudenziale, per costituzione, in un ordinamento come il nostro, definibile di civil law (ossia in cui prevale l’interpretazione della legge codificata) e non di common law (come avviene nei paesi anglosassoni, ove vige il principio del cosiddetto “stare decisis”, per cui rileva, per dirimere una controversia, il riferimento ai precedenti giurisprudenziali su casi analoghi), può avere un rilievo inferiore, è altrettanto vero che la Corte di Cassazione svolge una funzione definita come “nomofilattica”. Tesa cioè ad armonizzare l’interpretazione del diritto secondo canoni univoci.

Il diritto e la tutela dei lavoratori

Orbene, si direbbe che, sulla scia di una ormai inaccettabile contabilità di infortuni, purtroppo anche mortali, avvenuti sul lavoro (le statistiche parlano di circa tre infortuni mortali al giorno in tutta Italia, un dato assolutamente inaccettabile), tutti i “formanti del diritto” stiano finalmente convergendo in una legislazione – da un lato – e in una serie di criteri interpretativi – dall’altro – finalizzati a garantire la maggior tutela possibile per i lavoratori. E, come da recente sentenza della Cassazione Penale n. 4927/2024, anche per i terzi.

Procediamo con ordine. Il formante legislativo, sia pur sempre demandando, secondo un trend ormai consuetudinario in Italia, tali prerogative al potere legislativo, a mezzo del cosiddetto Decreto Legge Pnrr (suscettibile, dunque, di essere convertito e potenzialmente modificato/ migliorato nei sessanta giorni successivi) ha previsto una serie di nuove misure finalizzate a mitigare i rischi di infortuni sul lavoro.

Il più discusso mediaticamente è sicuramente il passaggio che prevede l’introduzione di una patente a punti per le imprese. La quale, similmente per quanto avviene con quella di guida, prevede un sistema alternativo di premialità e di sanzione. Impedendo alle aziende di accedere a bandi pubblici in caso di mancata compliance alla normativa sul tema (in primo luogo, il D.Lgs. n. 81/08). Ove riscontrata come funzionante, magari a seguito di alcuni “collaudi” sul campo, e possibilmente affiancata dalla fornitura di maggiori risorse per gli ispettori competenti, la nuova norma potrebbe effettivamente fornire un apporto tangibile a una questione tanto delicata.

La pronuncia della Cassazione

Ma non è solo la legislazione ad essere intervenuta. Si menzionava poco fa la recente sentenza di Cassazione. La quale, nell’esercizio della funzione nomofilattica di cui si è detto, ha recentemente affermato la seguente massima di diritto: “In tema di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche sono dettate a tutela non soltanto dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma anche dei terzi estranei che si trovino nell’ambiente di lavoro. Ancorché questi tengano condotte imprudenti, sicché anche in tali casi è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sui lavoro. Purché sussista, tra siffatta violazione e l’evento dannoso, un legame causale e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi. E sempre che le condotte imprudenti non siano esorbitanti rispetto al tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata”.

Per quanto non del tutto inedita, la pronuncia richiamata compie un interessante passo in avanti del formante giurisprudenziale in tema di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. Atteso che la norma “di chiusura” sul tema, l’art. 2087 Cod. Civ., prevede che il datore di lavoro sia tenuto a tutelare l’integrità fisica (da cui, appunto, la necessità di porre in essere tutte le misure necessarie, secondo la tecnica, l’esperienza e la particolarità del lavoro, per mitigare il rischio all’incolumità fisica) e la personalità morale (dovendo dunque evitare ogni condotta, sia commissiva sia omissiva in termini di vigilanza, riconducibile alla fattispecie del “mobbing”) del lavoratore. Intendendosi tipicamente, con quest’ultima nozione, il lavoratore subordinato direttamente posto alle dipendenze dell’impresa.

Patente a punti: un approccio sartoriale alla normativa

Appare evidente che l’apertura giurisprudenziale anche a figure “terze”, siano essi liberi professionisti, titolari di aziende, dipendenti di altre società (eventualità tutt’altro che peregrina, vista la nota prassi delle “catene di subappalto”), può costituire un incentivo a una maggiore attenzione nell’approntamento dei presidi sulla sicurezza. Da un punto di vista preventivo, atteso che a questo punto i rischi per le imprese aumenteranno con l’aumento della platea dei soggetti tutelabili.

I progressi registrati sembrano quindi confortanti. Anche se, come sempre, non si potrà rifuggire dalla prova della realtà. Resta inoltre attuale il richiamo, al fine di conferire maggiore credibilità alla normativa sulla sicurezza sul lavoro, a un approccio “sartoriale”, che tenga bene in conto il tipo di attività. Non potendosi certo presumere che gli adempimenti (spesso esclusivamente burocratici) a carico di uno studio professionale o di una società di servizi debbano essere stringenti e controllati severamente come quelli del settore edile o metalmeccanico. Sarà pertanto opportuno, a parere di chi scrive, procedere con un approccio differenziato in funzione della concreta realtà con cui si ha a che fare.


* Luigi Beccaria è avvocato e partner di Studio Elit. Collabora con l’Università degli Studi di Milano e con l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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