di Romano Benini |
Le misure del Reddito di Cittadinanza e della Pensione di Cittadinanza, introdotte con il D.L. n. 4 del 28 gennaio 2019, convertito dalla Legge n. 26 del 28 marzo 2019, sono state valutate per impatto ed efficacia dal Comitato Scientifico incaricato. Il quale ha svolto un esame sull’intero arco dell’erogazione delle prestazioni, ovvero fino al 30 giugno 2023, data che precede l’avvio della prima misura di riforma riservata alle persone in età di lavoro.
È importante, quando si analizzano misure e strumenti considerati anche come componenti del dibattito politico, valutare in modo corretto, partendo dai numeri, l’impatto reale. Questa attenzione va posta a tutte le politiche pubbliche. L’analisi del Comitato scientifico è per questo motivo piuttosto utile per capire i cambiamenti in corso e le decisioni prese.
Una valutazione sul Reddito di Cittadinanza
Il Reddito di Cittadinanza è stata una misura molto utilizzata e al tempo stesso un intervento costoso. Sulla base dei dati rilasciati dall’Inps, nel periodo di vigenza delle misure del Rdc/Pdc (aprile 2019 – dicembre 2023) hanno percepito il sussidio di integrazione al reddito, per almeno una mensilità, 2,4 milioni di nuclei familiari pari a 5,3 milioni di persone. Per un totale di risorse finanziarie superiore ai 34 miliardi di euro. Il numero medio delle mensilità percepite è di 26, che per le Pensioni di Cittadinanza sale a 32. Oltre un terzo del totale dei nuclei ha beneficiato delle misure per l’intero periodo.
Tuttavia, il Reddito di Cittadinanza non ha raggiunto tutti coloro che lo potevano richiedere. Sulla base dell’analisi Istat (anni 2019-2020-2021) la quota delle famiglie stimate in condizioni di povertà assoluta in assenza di sostegni pubblici che hanno partecipato alle erogazioni del Rdc/Pdc raggiunge il massimo del 37,2% nel 2021. Una quota che equivale al 59% dei beneficiari della misura.
La partecipazione risulta superiore alla media per:
- residenti del Sud e delle Isole;
- nuclei composti da una sola persona o solo da adulti;
- famiglie di soli italiani;
- nuclei residenti in affitto.
L’impatto selettivo della normativa sulla platea dei beneficiari non consente comunque di spiegare la mancata partecipazione di una parte significativa di persone in condizioni di povertà assoluta dotata dei requisiti richiesti. Questo gap partecipativo è in larga misura riconducibile alla carenza di informazioni o alla scelta di non inoltrare la domanda.
Secondo il rapporto del Comitato scientifico, l’elevata partecipazione dei nuclei che non trovano riscontro nei criteri utilizzati per classificare le famiglie povere, appare motivata dalle caratteristiche delle persone occupate nel momento della presentazione della domanda per il Rdc. Le quali mediamente rientrano in ambiti professionali, tipologie di rapporti di lavoro e settori economici di attività che registrano tassi di lavoro irregolare superiori di tre volte alla media delle prestazioni sommerse.
Condizioni che si riflettono inevitabilmente nelle sotto dichiarazioni dei redditi ufficialmente percepiti. Nell’indagine Istat, a fronte di un numero equivalente a quello segnalato da Inps per gli individui che beneficiano delle prestazioni del Rdc, i nuclei familiari risultano inferiori al numero delle domande accolte. Un riscontro che rende evidente la propensione a frammentare il nucleo familiare e il ricorso alle residenze fittizie per accedere alle prestazioni.
Quantificare il reale sostegno finanziario
Il Reddito di Cittadinanza ha senza dubbio contribuito al sostegno finanziario alle famiglie. Istat conferma l’efficacia della misura per le fasce della popolazione con bassi redditi nel corso della pandemia Covid 19. Ha infatti consentito la fuoriuscita dalle condizioni di povertà assoluta per circa 450mila nuclei familiari, corrispondenti a un milione di persone. Oltre alla riduzione dell’intensità media della povertà di poco inferiore ai 10 punti. Un effetto che risulta più marcato per alcuni sottogruppi di famiglie, in particolare quelle residenti nel Mezzogiorno, con persone in cerca di occupazione, sole o monogenitoriali.
Tuttavia, l’attuazione del Reddito di Cittadinanza ha avuto alcuni limiti, tra cui:
- penalizzazione della partecipazione alla misura delle famiglie residenti nelle regioni del Nord Italia per via dell’importo Isee uniforme per tutto il territorio nazionale, che non tiene conto dei differenti costi della vita;
- ridotta partecipazione di una quota rilevante di persone e famiglie di origine extra comunitaria, superiore al 30% delle persone povere (stime Istat), per l’effetto del requisito dei 10 anni di residenza in Italia;
- maggiore valorizzazione delle persone adulte nelle scale di equivalenza utilizzate per la selezione dei beneficiari e per il calcolo delle integrazioni, che hanno penalizzato i tassi di partecipazione e gli importi dei sussidi per le famiglie numerose e con figli a carico.
Se l’impatto del Reddito di Cittadinanza per il sostegno economico, a fronte dei 34 miliardi di euro erogati, appare significativo, non si può dire lo stesso per l’inserimento al lavoro.
Meno bene l’inserimento lavorativo
Nel triennio 2020-2022 sono stati inviati a Centri per I’Impiego oltre 2 milioni di percettori del Rdc in età di lavoro. Tra questi 297mila hanno attivato un rapporto di lavoro mentre percepivano il beneficio economico. Si tratta prevalentemente di contratti a termine o con orario ridotto e di breve durata. Il sistema delle offerte congrue di lavoro e delle condizionalità previste per i percettori si è rivelato da subito poco adeguato alle caratteristiche delle persone attivabili al lavoro.
Gli incentivi per le assunzioni previsti per i percettori del Rdc sono stati utilizzati davvero poco, ossia per meno di 2.000 lavoratori. Lo scarso utilizzo è motivato dalla complessità burocratica per accedere agli incentivi e dall’indeterminatezza dell’importo correlato al valore dell’integrazione al reddito del nucleo familiare. La ripresa dell’economia, e la crescita dell’occupazione nel biennio 2021- 2022, hanno favorito la fuoriuscita di una quota rilevante dei percettori del Rdc. Come misura di politica attiva il Reddito di Cittadinanza ha funzionato poco e in generale si colloca in un sistema di intervento sul mercato del lavoro in cui la capacità di sostenere le transizioni da disoccupazione a lavoro resta in Italia bassa rispetto alla media europea.
Come funziona l’Assegno di Inclusione
Il Decreto Legge n. 48/2023 convertito in Legge n. 85/2023 ha disposto il superamento del Reddito di Cittadinanza con l’introduzione di due nuove misure: l’Assegno di Inclusione e il Supporto alla Formazione e al Lavoro. Sono entrate a pieno regime con l’avvio dell’Adi a partire dal primo gennaio del 2024.
Nonostante la conferma formale dei requisiti Isee previsti per la selezione dei percettori e per il calcolo delle integrazioni, con l’eccezione del valore massimo della scala di equivalenza che è aumentato dello 0,1, l’impatto sostanziale delle nuove due misure è radicalmente diverso rispetto alla logica del RdC. Nonostante il confronto sia comune, in realtà le due misure non sono sovrapponibili. L’accesso all’Adi viene riservato ai nuclei che registrano la presenza di minori, di persone con disabilità, di anziani over 60 anni, di un adulto incaricato del lavoro di cura o di persone prese in carico dai servizi sociosanitari per i programmi di recupero.
La scala di equivalenza, partendo dal parametro 1 riservato al nucleo familiare, aumenta sulla base del numero dei soggetti che rendono eleggibile la partecipazione del nucleo alla misura con un incremento del valore per tutte le persone con disabilità (0,50). Per i minori viene introdotto un coefficiente di integrazione dell’assegno unico (0,15 per i primi due figli e 0,10 dal terzo in poi) assimilato alla scala di equivalenza. Ed è prevista la piena cumulabilità con l’Assegno Unico Universale.
In prima istanza la nuova scala di equivalenza e l’integrazione con l’Auu risultano vantaggiose per i nuclei con due o più figli a carico e in presenza di:
- persone con disabilità;
- adulti incaricati del lavoro di cura;
- persone anziane over 60 anni o prese in carico dai servizi sociosanitari.
Risulta invece più penalizzante rispetto all’RdC per le famiglie con almeno due adulti non eleggibili per la scala di equivalenza. Le persone adulte dei nuclei che percepiscono l’Adi escluse dalla scala di equivalenza, fatta eccezione per le persone che esercitano le responsabilità genitoriali, possono tuttavia accedere alla nuova misura del Supporto per la Formazione e il Lavoro. Riservata alle singole persone appartenenti ai nuclei composti da soli adulti con Isee inferiore ai 6.000 euro.
Il Supporto per la Formazione e il Lavoro
Il Sfl prevede una indennità di 350 euro mensili per 12 mesi, condizionata alla partecipazione a tutte le iniziative di politica attiva indicate nel Patto di Servizio. Il quale deve essere sottoscritto presso i Cpi. L’indennità è cumulabile con l’importo dell’Adi percepito dal nucleo di appartenenza, nei limiti di 3.000 euro per singolo componente. La cumulabilità vale anche per i salari derivanti dalla accettazione delle offerte di lavoro di breve periodo. Sul piano teorico il cumulo tra le due misure potrebbe consentire di percepire un reddito finale superiore alla soglia della povertà.
L’indennità Sfl risulta superiore anche all’importo previsto dalla scala di equivalenza (0,4) per gli adulti ammessi al RdC. Una novità molto significativa, che sostiene i nuclei famigliari con più componenti e che si trovano in diverse condizioni, anche rispetto all’esigenza di intervenire sulla povertà educativa. Per accedere alle misure bisogna infatti aver completato l’obbligo formativo e, per i tanti beneficiari privi di qualifica professionale, l’erogazione dell’Sfl si accompagna alla partecipazione obbligatoria a un corso professionale.
L’efficacia delle nuove misure sui redditi dei nuclei familiari dovrà essere ponderata con l’adozione di nuovi criteri in grado di valutarne gli esiti. E, in particolare, per i risultati ottenuti dalla combinazione tra interventi finanziari a sostegno del reddito e politiche attive del lavoro finalizzate all’inserimento lavorativo e all’uscita dalla povertà assoluta.
L’ampliamento della partecipazione viene favorito dalla riduzione del requisito di residenza da 10 a 5 anni per le famiglie straniere, che dovrebbe compensare in parte la mancata partecipazione dei minori e delle famiglie residenti nelle regioni del Nord Italia. Nonché dall’esclusione dal calcolo del reddito familiare Isee (6.000 euro moltiplicato per la scala di equivalenza) degli importi relativi all’Auu e dei sostegni al reddito per le persone con disabilità. Una scelta che favorisce anche l’incremento dell’importo dell’integrazione al reddito.
I risultati dei primi mesi del 2024
Rispetto al Reddito di Cittadinanza, se consideriamo Adi e Sfl la platea dei beneficiari non varia significativamente. In particolare il requisito di Isee richiesto per l’Adi è il medesimo e l’impatto combinato con l’Assegno Unico Universale potenzia l’intervento dell’Adi rispetto al RdC in diverse situazioni. Anche per i nuclei con componenti assistiti dai servizi sociali territoriali.
Il numero di nuclei previsti come beneficiari per il 2024 è di 737mila, e andrà a crescere negli anni successivi. La spesa annua prevista per il 2024 è di circa 5 miliardi e 532milioni di euro. I dati relativi all’accesso all’Adi, valutati fino a quelli disponibili a marzo 2024, mostrano una crescita delle domande e del relativo accoglimento. Ma anche l’impatto di una fase in cui per numerose domande la concessione è sospesa per le verifiche previste rispetto alla presenza dei requisiti richiesti e le domande non accolte.
Le domande non accolte, perché respinte per mancanza di requisiti, sono circa 188mila sulle 780mila presentate. Quelle accolte e pagate a febbraio sono 480mila, mentre circa 120mila sono in corso di verifiche e approfondimenti. L’importo medio degli assegni erogati si attesta sui 620 euro, superiori alla media dei pagamenti del Rdc che era 580 euro. In merito ai controlli la piattaforma di gestione Siisl è collegata a numerose basi dati e sistemi informativi che rendono i controlli piuttosto efficaci. Soprattutto per evitare il rischio di frodi e truffe che ha accompagnato l’erogazione del Reddito di cittadinanza, anche per via di un sistema di controlli meno efficace.
Migliorare l’impatto delle misure
Nell’esame dell’impatto delle misure di contrasto alla povertà il Comitato di valutazione ha posto al legislatore alcune interessanti raccomandazioni. Allo stato attuale, l’aumento dei prezzi sui consumi delle famiglie con bassi redditi, che si riflette sulle stime delle soglie di povertà assoluta, non trova un riscontro nella rivalutazione delle soglie Isee per l’accesso alle misure. Di conseguenza, una crescita limitata dei redditi nominali delle famiglie meno abbienti potrebbe comportare la perdita dei requisiti di accesso alle misure per molti nuclei famigliari oggi beneficiari.
Va anche valutata l’esigenza di approfondire le cause della mancata partecipazione di una quota molto rilevante della popolazione povera tenendo conto dell’indebolimento delle reti familiari. La definizione dei nuclei fragili non deve trascurare l’esigenza di considerare le specifiche condizioni di disagio e i nuovi fabbisogni di intervento, anche di tipo economico, che possono emergere dalla valutazione dei bisogni complessi del nucleo familiare. Questi fabbisogni potrebbero trovare un riscontro nella programmazione delle risorse del Piano nazionale per il contrasto della povertà. I
l monitoraggio dei livelli di accesso delle famiglie alle nuove misure, secondo il Comitato di valutazione, dovrebbe essere oggetto della promozione da parte degli enti locali, anche in forma aggregata, di momenti di partecipazione attiva di Patronati e Caf insieme agli altri attori del terzo settore. I quali possono segnalare le criticità, facilitare la partecipazione e concorrere al potenziamento dei servizi. Si tratta, quindi, di far vivere queste nuove misure nel sistema dei servizi sociali e per l’impiego e come uno strumento di intervento che non parli solo alle famiglie e ai beneficiari, ma anche al territorio e alla società.