di Mario Pagano | Nell’ambito della lotta al lavoro irregolare e nel novero degli strumenti previsti dal legislatore per arginare tale fenomeno, acquista un valore notevole il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale.
Tale atto, di competenza del personale ispettivo in forza all’Ispettorato del Lavoro, risulta troppo spesso sottovalutato nonostante le gravi implicazioni alle quali vanno incontro i datori di lavoro che si vedono notificare lo stesso nell’immediatezza di un controllo ispettivo e non solo.
Sospensione dell’attività a tutela dei lavoratori
L’istituto è stato introdotto per la prima volta esclusivamente nell’ambito dei cantieri edili, con l’articolo l’art. 36 bis del D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni dalla L. n. 248/2006. Al tempo il Ministero del Lavoro, con circolare 29/2006, aveva precisato che alla base del provvedimento vi era una “presunzione” da parte dell’ordinamento circa la situazione di pericolosità che si verifica in conseguenza del ricorso a manodopera non regolarmente assunta.
Giacché la stessa, oltre a non essere regolare sotto il profilo strettamente lavoristico, non ha verosimilmente ricevuto alcuna “formazione e informazione” sui pericoli che caratterizzano l’attività edile. Successivamente l’istituto sul lavoro irregolare è stato esteso a tutti i settori imprenditoriali con la legge 123/2007. Per arrivare alla sua attuale collocazione proprio all’interno del D.Lgs. n. 81/2008, il testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Le modifiche al testo unico del 2008
Nel tempo il provvedimento ha subito diversi interventi normativi. Ultimo in ordine di tempo quello ascrivibile al DL 146/2021, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2021, n. 215. La quale ne ha modificato alcuni aspetti essenziali nel tentativo, verosimilmente riuscito, di potenziarne l’efficacia e permetterne una più diffusa applicazione, soprattutto a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
I risultati ottenuti nella lotta al lavoro irregolare
Lo dimostrano i numeri registrati nel triennio 2022 – 2024. Con 15.002 provvedimenti adottati, il 2024 ha fatto registrare il massimo storico con un incremento del 34% rispetto al 2023. Quando le sospensioni erano 11.174. Un aumento costante, se si considera che nel 2022 i provvedimenti erano 8.210. Particolarmente interessante anche il dato sulle adozioni determinate da motivi di sicurezza. Nel 2024 hanno rappresentato il 37% (5.601) del totale, esattamente come nel 2023 (4.098) e in linea con il 2022, quando le sospensioni per motivi di sicurezza erano 2.814. Numeri che vanno evidentemente confrontati con quelli del 2021 (3.971 sospensioni, delle quali 330 per motivi di sicurezza, di cui 321 dopo il 21 ottobre, entrata in vigore del D.L. 146/2021). Ma soprattutto con quelli del 2020, quando le sospensioni per la medesima ragione erano appena 28.
Il lavoro irregolare e sommerso
L’attuale formulazione dell’articolo 14 comporta, infatti, l’applicazione del provvedimento di sospensione al ricorrere di due condizioni. Una è legata al lavoro sommerso, sinonimo sempre più spesso di lavoro insicuro. La sospensione scatta ogni qual volta si accerti che almeno il 10% dei lavoratori, presenti sul luogo di lavoro all’atto del controllo del personale ispettivo, risulti irregolare. In quanto impiegato al lavoro senza preventiva comunicazione Unilav di instaurazione del rapporto di lavoro (quindi subordinati, collaboratori coordinati e continuativi o tirocini extracurriculari).
A questi, come lavoratori irregolari possono affiancarsi anche quelli impiegati nel regime del lavoro autonomo occasionale senza le condizioni previste dalla normativa. Come detto, il personale ispettivo effettua il confronto numerico rapportano il personale “in nero” al totale dei lavoratori presenti. Tra i quali, in ragione di quanto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 81/2008, rientra qualunque persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione. Esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Unica eccezione per le cosiddette microimprese, ossia le attività dove il lavoratore irregolare risulta l’unico occupato. Qui il concetto è differente dalla presenza, ma si riporta all’organico aziendale complessivo. In altre parole, se vi sono altri soggetti regolarmente impiegati anche se non presenti al momento del controllo, la realtà oggetto di ispezione non è una microimpresa e sarà soggetta a sospensione. Diversamente il provvedimento non potrà essere adottato, al netto di altre irregolarità in materia di salute e sicurezza.
Violazioni in materia di salute e sicurezza
E veniamo così all’altra condizione che fa scattare il blocco dell’attività, rappresentata dal riscontro di gravi violazioni in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Rispetto alla versione originaria, dal 2021 non è più necessaria la reiterazione delle violazioni ma è sufficiente il riscontro di anche una soltanto delle 13 ipotesi di violazioni, contemplate nell’Allegato I del TU 81/2008, per adottare il provvedimento di sospensione. Tra queste spiccano l’assenza del documento di valutazione dei rischi, nonché l’omissione della formazione, dell’informazione e dell’addestramento dei lavoratori.
Tale modifica normativa ha oggettivamente determinato un’impennata nell’applicazione dei provvedimenti di sospensione per ragione di sicurezza. In quanto non occorre più guardare al passato ma anche un solo errore, accertato per la prima volta in tale materia, è sufficiente a giustificare la sospensione.
Tempistiche e sanzioni
Ma da quando effettivamente il datore di lavoro è costretto a fermarsi? Di norma il provvedimento ha un’efficacia differita alle ore 12 del giorno lavorativo successivo. Ovvero dalla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta. Tuttavia, se si riscontrano situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità, come avviene per le ipotesi più gravi in materia di salute e sicurezza, il fermo opera immediatamente.
Va ricordato, inoltre, che il provvedimento viene adottato dal personale dell’Ispettorato sia in occasione di verifiche effettuate direttamente dagli ispettori del lavoro, sia per accertamenti svolti da altri soggetti. Ad esempio i militari della Guardia di Finanza, che svolgono ormai da diversi anni verifiche in materia di lavoro irregolare. Alle quali, sempre più spesso, segue l’adozione del provvedimento di sospensione su segnalazione.
Revoca della sospensione
Resta, infine, da capire come ottenere la revoca del provvedimento di sospensione. Qui le condizioni cambiano in base al motivo dal quale è scaturito. Nell’ipotesi di lavoro irregolare, il primo ovvio passaggio è la regolarizzazione postuma del lavoratore in nero. La quale comprenderà, oltre agli aspetti formali, anche il versamento della contribuzione, se i termini risultano scaduti. Nonché l’assolvimento degli eventuali adempimenti in materia di sorveglianza sanitaria, se prevista, e di formazione e informazione.
Nel caso, invece, di sospensione per motivi di sicurezza, sarà necessario il ripristino delle regolari condizioni di lavoro e la rimozione delle conseguenze pericolose delle violazioni accertate. Adempimenti, peraltro, che dovranno conformarsi a quanto richiesto dal parallelo provvedimento di prescrizione obbligatoria, che sarà adottato.
Le contravvenzioni previste
Va detto che la quasi totalità delle violazioni che fanno scattare la sospensione, costituiscono delle contravvenzioni penali. Da estinguere proprio attraverso adempimento alla prescrizione di cui all’art. 19 e ss. D.Lgs. 758/94 e pagamento della sanzione nel quarto del massimo edittale. Tuttavia, per la revoca il datore di lavoro dovrà anche pagare una somma ulteriore pari a 2.500 euro qualora siano impiegati fino a cinque lavoratori irregolari. E pari a 5.000 euro con più di cinque lavoratori irregolari.
Mentre, nelle ipotesi di cui all’Allegato I, per le sospensioni dovute a violazioni in materia di sicurezza, la somma aggiuntiva varia in ragione della specifica violazione, con importi che oscillano tra i 300 e 3.000 euro. In ogni caso, per la revoca è richiesto il pagamento di tutti gli importi, connessi alle irregolarità accertate, sommati tra loro, nell’ipotesi in cui, ad esempio, la sospensione sia stata adottata al ricorrere di entrambe le condizioni, per aver riscontrato sia lavoro “in nero” che violazioni in materia di sicurezza. Per agevolare la revoca e scongiurare il blocco dell’attività, è possibile anche un pagamento iniziale di solo il 20% delle somme aggiuntive complessive. Differendo di sei mesi il versamento della somma residua, maggiorata del 5%.
Il provvedimento di sospensione può essere impugnato solo per le casistiche del lavoro irregolare entro 30 giorni dalla sua adozione, avanti alla Direzione interregionale del lavoro territorialmente competente. La quale si pronuncia nel termine di 30 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine il provvedimento di sospensione perde efficacia.
Non va dimenticato che violare l’ordine di sospensione comporta una sanzione di natura penale, ossia l’arresto fino a sei mesi, nelle ipotesi di sospensione per le violazioni in materia di salute e della sicurezza sul lavoro. E arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da euro 2.897,5 ad euro 7.417,6 nelle ipotesi di sospensione per lavoro irregolare.
* Mario Pagano è collaboratore della Direzione Centrale Coordinamento Giuridico dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Le considerazioni esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere impegnativo per l’amministrazione di appartenenza















