Attivare gli inattivi

Perché gli inattivi sono diventati il principale problema del mercato del lavoro italiano e come si può intervenire per porre un freno a questo preoccupante fenomeno

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gli inattivi sono diventati il principale problema del mercato del lavoro italiano: come rimediare?

di Romano Benini |

Negli ultimi anni, in particolare dalla seconda metà del 2022, assistiamo a una evoluzione del mercato del lavoro che assume caratteristiche chiare.

Mostrando, da un lato, un aumento dell’occupazione connesso a un significativo decremento della disoccupazione e, dall’altro, una situazione stazionaria rispetto all’alto dato degli inattivi in età da lavoro, ossia delle diverse condizioni di chi non cerca attivamente un impiego.

Questo fenomeno rende l’Italia al tempo stesso una nazione in cui l’occupazione cresce, ma la partecipazione al lavoro resta al di sotto delle altre nazioni, come la Francia e la Germania. Inoltre, l’elevata presenza di inattivi, se da un lato contribuisce all’attuale basso dato dei disoccupati, ossia di chi cerca lavoro attivamente, non aiuta a far aumentare il numero degli occupati, che in Italia sono aumentati, ma meno rispetto alla media europea.

La combinazione tra il dato della partecipazione al mercato del lavoro e l’andamento demografico, che vede una costante crescita della quota della popolazione in età non attiva, determina una accentuazione delle difficoltà del mercato del lavoro. E impone una riflessione su quali possano essere gli interventi e le politiche attive in grado di rivolgersi alle diverse condizioni rilevate, per aumentare la partecipazione.

Popolazione “lavoratrice” e Neet in Italia

Si tratta degli inattivi, in particolare i cosiddetti “scoraggiati”. I giovani “Neet”, che non studiano e che non cercano un impiego e quindi fanno parte degli inattivi. Oltre alle diverse condizioni del lavoro sommerso. Se osserviamo i dati sulla scomposizione della popolazione, possiamo constatare le caratteristiche di fondo delle condizioni degli italiani:

  • popolazione in calo (soprattutto nel confronto con l’aumento in questi anni intervenuto nella popolazione francese o tedesca), con un calo più che proporzionale della popolazione che si trova in età da lavoro;
  • forza lavoro (occupati e disoccupati) intorno al 43,7% della popolazione, pari al 67% circa della popolazione in età da lavoro;
  • forte presenza della componente “inattivi in età lavorativa” pari a più del 21% della popolazione (circa il 33% della popolazione in età da lavoro), che comprende più di 12 milioni di italiani, con una tendenza oggi stazionaria, dopo un lieve calo degli ultimi anni;
  • forte percentuale degli “inattivi in età non lavorativa”, con una crescita lenta ma costante in cui la diminuzione della percentuale dei più giovani è più che compensata dall’aumento della percentuale degli anziani per l’aumento della speranza di vita.

Evoluzione del mercato del lavoro

L’evoluzione del mercato del lavoro è in Italia da alcuni anni sostanzialmente positiva per gli aspetti “fisiologici” determinati dall’andamento del mercato, dall’aumento della domanda e in parte anche da una maggiore efficacia delle politiche attive. Il miglioramento riguarda sia le dinamiche quantitative sia aspetti relativi alla durata dei rapporti di lavoro.

L’aumento dell’occupazione coinvolge i dipendenti a tempo indeterminato (+565mila, +3,6% in un anno) e gli indipendenti (+131mila, +2,6%), mentre continuano a diminuire i dipendenti a termine (-178mila, -5,9%). La crescita degli occupati a tempo pieno (+607mila, +3,1%) più che compensa il calo di quelli a tempo parziale (-90mila, -2,2%). Calano i Neet, da circa 2 milioni nel 2021 ai poco più di 1,4 milioni dell’ultima rilevazione di fine 2024. E, per via dei rinnovi contrattuali, assistiamo anche a un aumento dei salari con un corrispondente aumento del costo del lavoro, anche se circoscritto.

Negli ultimi tre anni abbiamo avuto una poderosa diminuzione del tasso di disoccupazione, intorno al 30%, che ha portato il numero dei disoccupati che svolgono attività di ricerca attiva del lavoro a poco più di 1 milione e 400mila unità. A fronte della consistenza dei posti vacanti, ossia della domanda di lavoro non soddisfatta (dato medio 2024 47,5%), appare quindi evidente come ci si trovi di fronte a un sostanziale cambio di paradigma. Nel quale cui sono chiamate ad agire nuove ed efficaci politiche pubbliche e azioni in grado di intervenire sulle condizioni del lavoro in cui l’intermediazione non è garantita automaticamente dalle condizioni presenti sul mercato.

Si tratta quindi di agire sui disoccupati con deficit di competenze (circa 700mila sul totale di quelli coinvolti nel programma Gol). Attraverso politiche mirate, in grado di riattivare le consistenti componenti degli inattivi da riportare nel mercato del lavoro.

Le caratteristiche degli inattivi

Il fenomeno rilevante degli ultimi mesi è il contrasto tra l’aumento degli occupati, la diminuzione dei disoccupati e la stazionarietà degli inattivi, che conferma la necessità di ulteriori approfondimenti sulle condizioni dell’inattività per definire politiche mirate di intervento. Come si nota dal grafico nella pagina a fianco, in questi ultimi mesi abbiamo riscontrato un leggero aumento degli inattivi, che si riflette nell’incremento del tasso di inattività 15-64 anni che raggiunge il 33,6% (+0,1 punti). Sintesi della crescita nel Mezzogiorno (+1,1 punti) e della diminuzione nel Centro e nel Nord (-0,8 e -0,2).

Rispetto al 2023, a fine 2024 diminuisce il numero di persone in cerca di lavoro (-11,8%, pari a -213mila unità) e cresce quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+1,4%, pari a +167mila). Appare utile scomporre le condizioni dell’inattività per cogliere quelle potenzialmente più ricettive rispetto a interventi di inclusione attiva. L’inattività è presente soprattutto nel Mezzogiorno e riguarda in particolare le donne a bassa scolarizzazione.  Questo aspetto è prevalente, ma nelle diverse situazioni notiamo comunque come la condizione di inattività sia in diversi modi presente ovunque nelle regioni italiane, pur riguardano in modo particolare le persone di sesso femminile e con basse competenze.

Gli inattivi si possono scomporre in un due diverse condizioni di riferimento:

  • inattivi per scoraggiamento o che aspettano esiti della ricerca o della candidatura, soprattutto da concorsi pubblici, che sono diminuiti negli ultimi anni e che possono essere oggetto di politiche attive mirate;
  • inattivi per motivi di studio (gli studenti) e per motivi famigliari (quasi esclusivamente donne), a cui aggiungere i titolari di assegni o pensioni assistenziali che non cercano lavoro.

Se la prima condizione costituisce un contesto target di nuove politiche del lavoro e comprende in buona parte anche i giovani Neet inattivi, la seconda richiede interventi di sistema. In grado anche di intervenire sui fenomeni del sommerso che in parte si possono ricondurre a queste condizioni e di incidere anche su aspetti culturali, presenti soprattutto nel Mezzogiorno, rispetto alla condizione femminile.

In questi mesi tra gli inattivi aumentano coloro che non cercano lavoro per ragioni familiari (+267mila, +9,6%) e quanti non lo cercano per motivi di studio (+132mila, +3,1%) In calo, invece, gli scoraggiati (-37mila, -3,6%), ossia chi dichiara di non aver cercato lavoro poiché ritiene di non riuscire a trovarlo, e coloro che non cercano un impiego perché non interessati a lavorare o perché si trovano in pensione (-124mila, -6,6%).

Focus sulle motivazioni degli inattivi

Per completare l’esame è utile anche osservare cosa è accaduto alle diverse condizioni dell’inattività in questi ultimi anni. Mostrando anche la tendenza in aumento della presenza del motivo di studio (che costituisce evidentemente l’elemento positivo interno al fenomeno degli inattivi) e il leggero calo delle condizioni degli scoraggiati e delle persone in attesa di esito.

Se proviamo quindi a scomporre i destinatari delle politiche attive ai disoccupati con Did (Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro) e obbligo di condizionalità con una misura di attivazione (1.428.000), coinvolti nelle azioni del programma Gol, possiamo aggiungere i 950mila scoraggiati e i 510mila che aspettano l’esito di azioni di ricerca, che vanno quindi intercettati. Va segnalato che l’inserimento dei disoccupati attuali nel mercato del lavoro permetterebbe all’Italia di raggiungere il tasso di occupazione francese, ma che solo lo spostamento ulteriore di queste condizioni degli inattivi nell’ambito della ricerca attiva del lavoro potrebbe determinare il raggiungimento del livello medio europeo nella partecipazione al mercato del lavoro.

Motivo della mancata ricerca di lavoro da parte degli inattivi

Le caratteristiche dei Neet

Una condizione rilevante, oggetto da anni di uno specifico programma di intervento del Fondo Sociale Europeo, è quella dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non stanno in percorsi formativi. In Europa viene limitata ai 29 anni di età, ma in Italia, per alcune forme di incentivo e di politiche, è stata estesa alla fascia degli under 35. È necessario osservare che i Neet si collocano sia nella fascia dei disoccupati (che cercano attivamente lavoro) sia nella fascia degli inattivi che non cercano un impiego.

Per la predisposizione degli interventi di politica attiva vanno osservati i seguenti fenomeni (valutazione sul dato europeo 15-29 anni):

  • i Neet sono passati dai 2.141mila del 2021 al 1.269mila del 2024, con un calo sostanziale e significativo;
  • il numero dei Neet in cerca attivamente di lavoro è passato dai 719mila del 2021 ai 442mila del 2024 e costituisce una componente fondamentale dei disoccupati da reinserire nei prossimi mesi;
  • la quota dei Neet inattivi che non cercano lavoro è passata da 1.421mila del 2021 agli 827mila del 2024, mostrando una componente rilevante tra i soggetti da riattivare;
  • il calo dei Neet in proporzione è dal 2021 del 40%, analogo alle due condizioni.

Se scomponiamo le condizioni di riferimento dei Neet inattivi vediamo come il calo più significativo riguardi i Neet scoraggiati, mentre i Neet per motivi famigliari, per altri motivi o che aspettano gli esiti della ricerca sono calati meno. Da notare il calo vistoso dei Neet coinvolti in percorsi di formazione informale e aziendale, anche in ragione del ricorso al programma Gol. Inoltre, la percentuale di diminuzione del fenomeno è analoga nelle diverse aree del Paese, ma evidentemente la percentuale maggiore dei Neet resta nel Mezzogiorno, che ne ha ancora 697mila, ossia più della metà sul totale.

I possibili interventi di inclusione attiva

Appare evidente come alcune condizioni siano affrontabili solo attraverso politiche attive mirate, mentre altre condizioni siano di più difficile intervento. In quanto si andrebbe ad agire su fenomeni come il sommerso o che riguardano il sistema dei servizi alla persona e aspetti culturali, che richiedono politiche di sistema.

In ogni caso va segnalato come la valutazione delle condizioni più “attivabili”, il calo in corso dei Neet inattivi e una strategia mirata rendano possibile una azione tale da permettere un aumento della partecipazione al mercato del lavoro che porti l’Italia entro due anni al livello della media europea. Passando dall’attuale 33% a un più sostenibile 25% del tasso di inattivi.

In questo senso appare importante avviare una strategia di policy mix che preveda:

  • rafforzamento della rete dei servizi per l’impiego del Mezzogiorno verificabile sia sul piano quantitativo che qualitativo;
  • aumento dei servizi di prevenzione e di intervento rispetto al fenomeno della dispersione e abbandono scolastico e dei giovani Neet, anche attraverso la funzione del Siisl e le iniziative in corso di definizione da parte del Ministero (Progetto Neet);
  • rafforzamento dell’azione di orientamento, coaching e coinvolgimento dei Neet negli interventi dei servizi per il lavoro e per il rafforzamento delle competenze, anche con campagne mirate di promozione degli incentivi all’assunzione e all’autoimpiego;
  • verifica puntuale e un monitoraggio della capacità di integrazione tra servizi sociali e per l’impiego sul territorio in ragione della riattivazione dei nuclei famigliari in Adi (Assegno di inclusione), che comporta l’attivazione degli “inattivi” presenti nel nucleo, come prevista obbligatoriamente dalla legge, e un monitoraggio della presa in carico dei soggetti in Sfl (Supporto per la formazione e il lavoro) in attuazione della nuova norma, con interventi di supporto alle regioni ed un eventuale allargamento dei soggetti chiamati alla presa in carico nel caso di mancato raggiungimento del target regionale;
  • revisione, insieme alle regioni, del percorso del programma Gol destinato alle condizioni di svantaggio e fragilità, con un maggiore allargamento degli interventi ai disoccupati privi di ammortizzatori e alle famiglie in condizione di fragilità che possono essere più esposte alla condizione di inattività e di sommerso;
  • verifica dell’impatto delle azioni ispettive sul sommerso con una attenzione non solo al tema del mancato o parziale gettito contributivo, ma a quelle condizioni “professionali” che agiscono nell’ambito dell’economia sommersa.

In questo senso è in definizione il protocollo di intesa per lo scambio di dati e la condivisione di azioni tra Ministeri del Lavoro, dell’Università e dell’istruzione e Inps, e potrebbe essere opportuna una pianificazione e un raccordo con le attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro rispetto alla condizione degli inattivi che più si lega al sommerso.

Appare in ogni caso evidente che nei territori in cui il sistema dei servizi per l’impiego è più debole. Agendo come un punto di servizio amministrativo e non come snodo della rete territoriale per l’attivazione al lavoro, gli interventi di sollecitazione e stimolo all’inclusione attiva appaiono meno efficaci. E che in questi mesi si registra una significativa disomogeneità da affrontare anche in ragione dell’avvio della nuova fase di Gol.

La quale prevede l’attuazione delle linee di riforma, il finanziamento degli interventi in ragione del decreto riparto risorse (che ha trasferito alle regioni quasi tre miliardi di euro di finanziamenti per le politiche attive) e la messa a terra delle azioni di supporto condivise con l’agenzia Sviluppo Lavoro Italia. In questa logica appare evidente la necessità di una regia del rapporto con il Terzo Settore, il sistema dei servizi socioassistenziali e i servizi di prossimità, che svolgono sul territorio una funzione importante nelle diverse condizioni di disagio sociale legate ai troppi italiani che hanno smesso di cercare lavoro.

Romano BeniniChi è Romano Benini

Romano Benini è professore straordinario di Sociologia del welfare e coordinatore del corso di laurea in Consulenza del lavoro presso la Link Campus University di Roma e docente di Sociologia del Made in Italy presso l’Università La Sapienza di Roma. Giornalista economico, è autore di Il posto giusto, il programma di Rai3 su formazione e mercato del lavoro, e consulente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, della Cna nazionale e di diverse istituzioni. Tra i libri più recenti: Il fattore umano (Donzelli, 2016), Lo stile italiano, Mutamenti sociali e inclusione attiva (Eurilink, 2018), Il posto giusto (Eurilink, 2020).

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