Se grandi realtà iniziano a riportare i dipendenti in sede, mentre le nuove generazioni chiedono sempre più agilità, è evidente il disallineamento tra domanda e offerta.
Secondo Alessandro Raguseo di Reverse “molto spesso si crea una narrazione mediatica che esalta determinati tipi di benefit senza tenere conto delle diverse dimensioni delle imprese, della tipologia delle professioni e della sostenibilità del business. Forse è più corretto domandarsi: come ridurre realmente questo gap?”
Capire la natura delle aziende e dei benefit
La recente indagine “Tableu de bord, la condizione dell’occupazione e del lavoro in Italia” dell’Istituto Piepoli su un campione di 500 lavoratori dice che il 67% tra gli uomini e il 59% tra le donne è consapevole che il tasso di occupazione è aumentato nell’ultimo anno. Ma quattro su dieci lamentano un peggioramento della qualità del lavoro.
Da cosa dipende questa percezione? “Forse dalla tipologia di benefit a disposizione, che vertono molto spesso su settimana corta e smart working. Ormai elementi basilari, che creano però una distanza dalla natura di molte professioni. Operai, lavoratori del servizio terziario e molti altri certamente non possono lavorare da casa. Anche le aziende non potranno mai fermare la produzione per 3 giorni consecutivi, pena la diminuzione del business e della competitività. Bisogna riflettere su una base territoriale manifatturiera per capire realmente cosa è possibile fare per il benessere di tutti gli attori coinvolti”.
Riportare i dipendenti in sede: cosa accade
L’esempio di questi ultimi giorni di grandi big tech che scelgono di riportare i dipendenti in sede, se non previo accordi ad personam, riporta il mercato del lavoro a una realtà fondamentale. In un’azienda è necessario creare un clima di collaborazione che tenga conto delle esigenze delle persone, ma che al contempo non crei lavoratori di serie A o di serie B. Inoltre, come affermato recentemente nel report sulla competitività di Mario Draghi, è necessario comprendere gli elementi che da ambo le parti permettono rispetto e garantiscano produttività. Se non ci sarà un cambio di rotta, il rischio è essere produttivi, in termini di PIL, solo fino al 2050. Rischiando poi un arresto della crescita economica.
Quel che può aiutare le aziende è prendere decisioni basandosi sull’ascolto del proprio personale. Nonché riuscire a trasmettere loro le motivazioni delle scelte aziendali, creando una community collaborativa in grado di definire un ecosistema produttivo e funzionale per tutti. Non farsi trascinare dai trend o affidarsi a chimere poco realiste.