La “better regulation” nella formazione continua

Se il sistema della bilateralità non viene pienamente agito, si rischiano condizioni di svantaggio rispetto ai fabbisogni di competenze delle piccole imprese meno strutturate e dei lavoratori meno qualificati, su cui le imprese tendono a non investire

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Analisi bilateralità formazione continua in Italia

di Barbara Pigoli |

Il sistema della formazione continua nazionale è regolato principalmente dai Fondi Paritetici Interprofessionali, organismi bilaterali promossi dalle associazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori, e vigilati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tramite l’Anpal (Agenzia Nazionale Politiche Attive del Lavoro), che mettono a disposizione significative risorse per pagare la formazione che serve a migliorare le prestazioni lavorative, producendo vantaggi sia a favore delle imprese che dei lavoratori.

Ai finanziamenti messi a disposizione dai Fondi Interprofessionali, si aggiungono il recente Fondo Nuove Competenze, che consente di finalizzare parte dell’orario di lavoro a percorsi formativi (e prevede integrazioni funzionali con i Fondi Interprofessionali), i bandi promossi dalle amministrazioni Regionali (tramite i fondi comunitari o nazionali, di cui oggi anche il Pnrr), i finanziamenti degli Enti Bilaterali, il credito di imposta per sostenere la formazione 4.0 (sino al 2022), l’Inail in forma specifica (salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) e le Camere di Commercio in forma residuale.

Fondi Paritetici Interprofessionali: storia e obiettivi

Istituiti con la Legge 388/2000, i Fondi Paritetici Interprofessionali si alimentano con il contributo obbligatorio dello 0,30% contro la disoccupazione involontaria, versato obbligatoriamente dalle imprese all’Inps. Finanziano piani formativi individuali, aziendali, territoriali e settoriali, con l’obiettivo di rispondere contemporaneamente a due domande. La domanda delle imprese di rafforzare il proprio posizionamento sui mercati (promuovere lo sviluppo e l’innovazione per rispondere alle sfide della competitività), e la domanda dei lavoratori, rispetto alla propria professionalità, e quindi alla propria occupabilità.

I Fondi Interprofessionali costituiscono un sistema di regolazione e governance innovativo nel panorama delle politiche attive del lavoro. Alle parti sociali (datoriali e sindacali in modalità paritetica), il legislatore ha affidato funzioni di indirizzo, gestione e monitoraggio dei finanziamenti per la formazione. L’approccio bilaterale è previsto in tutte le fasi del processo, con il fine di contemperare e soddisfare tramite la gestione dei piani formativi due esigenze storicamente in contrapposizione: il diritto al lavoro delle persone e la competitività delle imprese.

Un nuovo modo di vedere la formazione

L’importanza della formazione continua e i nuovi modelli concertativi cui si ispira l’attuale governance, vengono recepiti dal sistema italiano tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Quando inizia a farsi strada l’assunto secondo cui la formazione continua può essere considerata per sua natura professionalizzante, come strumento di prevenzione dell’obsolescenza della professionalità dei lavoratori meno scolarizzati.

La formazione non viene più intesa come interesse solo delle imprese, ma considerata area di interesse comune tra impresa e lavoratore. Lo sviluppo del sistema concertativo e della pratica del dialogo sociale, all’inizio degli anni Novanta, è alla base della creazione dell’attuale sistema di formazione continua. Le associazioni di rappresentanza dei lavoratori e le associazioni di rappresentanza delle imprese iniziano a riconoscere che la qualificazione dei lavoratori è essenziale per garantire la competitività.

Il segnale concreto rispetto al cambiamento in atto risale al 1993. L’Accordo Interconfederale di gennaio, oltre a riconoscere la qualificazione dei lavoratori come elemento essenziale per la competitività delle imprese, introduce formalmente la bilateralità come criterio di indirizzo e verifica per il sistema della formazione continua. Il successivo Accordo Triangolare di luglio stabilisce di destinare alla formazione il già citato 0,30% contro la disoccupazione involontaria. L’accordo rappresenta un punto di svolta, in quanto stabilisce che il metodo bilaterale costituirà lo snodo operativo del nascente sistema nazionale di formazione continua.

I Fondi Interprofessionali basano dunque la propria regolazione sul metodo bilaterale e fanno parte della “Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro”. Contribuendo a promuovere l’effettività dei diritti al lavoro, la formazione e l’elevazione professionale previsti dagli articoli 1, 4, 35 e 37 della Costituzione (ndr: si vedano le Linee Guida Anpal).

Formazione continua: i due attori della bilateralità

L’esercizio della bilateralità presuppone che i Piani Formativi vengano concertati fra le imprese e i lavoratori (o rispettive rappresentanze).

Le imprese

Che il tessuto imprenditoriale italiano sia composto in prevalenza da Pmi è un dato inequivocabile. Le piccole e medie imprese impiegano oltre l’80% dei lavoratori e rappresentano oltre il 90% delle imprese attive. Nell’attuale congiuntura economica e geopolitica sfavorevole, le Pmi sono fortemente penalizzate dall’aumento dei costi delle materie prime e dall’aumento del costo dei fattori produttivi. E le vie di uscita non sono molte.

O diminuiscono i costi fissi, con politiche di downsizing, che prevedono anche la riduzione del personale, oppure scelgono di attivare processi virtuosi di qualificazione, efficientamento e innovazione verso nuovi modelli di sviluppo di “via alta alla competitività”. Praticabili solo per mezzo della partecipazione attiva e dell’elevata competenza dei propri lavoratori.

I lavoratori

La concertazione della formazione aziendale può avvenire solo se vengono rappresentati e coinvolti direttamente anche i lavoratori, come accade presso le medie o grandi imprese strutturate. Ove sono presenti le rappresentanze dei lavoratori (Rsu, Rsa, Commissione paritetica per la formazione, ecc). Nell’attuale fase storica, con un elevato livello di disoccupazione e una crescente incertezza dei mercati, cui si somma la crescente obsolescenza delle competenze in ragione delle nuove tecnologie e dell’innalzamento dell’età dei lavoratori occupati, si acuisce la già presente polarizzazione all’interno del mercato del lavoro, aumentando le diseguaglianze a sfavore dei lavoratori con basso livello di scolarizzazione.

Secondo l’Anpal, la quota di popolazione attiva caratterizzata da bassi livelli di competenza rappresenta in Italia un elemento particolarmente allarmante, in particolare nel confronto con l’Europa. Ciò si traduce in un’alta incidenza di adulti “low skilled” con necessità di “upskilling” soprattutto tra gli over 55. In un quadro caratterizzato da un ampliamento delle diseguaglianze, ulteriormente enfatizzato dagli effetti della crisi pandemica.

Nonostante la maggiore attenzione alle esigenze formative degli adulti, l’Agenzia mette in luce come il sistema della formazione continua abbia probabilmente privilegiato il ruolo dell’impresa lasciando in secondo piano le esigenze individuali e soggettive di riqualificazione e di crescita dell’adulto. Per favorire l’innalzamento dei tassi di partecipazione degli adulti alle attività formative, suggerisce di indirizzare gli sforzi di policy verso la crescita degli investimenti a favore dei gruppi più vulnerabili, e di ridurre le barriere all’accesso alle opportunità formative (ndr: si veda il XX/XXI Rapporto sulla formazione continua di Anpal).

Come è evidente, se il sistema della bilateralità non viene pienamente agito, si rischia l’accumulo di condizioni di svantaggio rispetto ai fabbisogni di competenze delle piccole imprese meno strutturate, che non sono in grado di realizzare in autonomia la rilevazione del fabbisogno, e dei lavoratori meno qualificati, su cui le imprese tendono a non investire.

Quando la bilateralità non viene concretamente agita

La realizzazione dei piani formativi viene tipicamente affidata ai “soggetti tecnici” (enti di formazione o agenzie formative accreditate). Soggetti privati che operano legittimamente con logiche di mercato. Le parti sociali, nel pieno esercizio della bilateralità, dovrebbero definire congiuntamente imprese, destinatari, beneficiari, quadro strategico, contenuti, obiettivi e indicatori di monitoraggio per valutare l’efficacia del Piano Formativo da finanziare. E costituire la committenza congiunta nei confronti dei “soggetti tecnici”, sulla base dei fabbisogni emergenti e articolati da parte delle imprese e dei lavoratori.

Come funziona il processo decisionale rispetto ai beneficiari, ai contenuti e ai destinatari dei piani formativi?

Prima della condivisione dei Piani Formativi con le Parti Sociali, i “soggetti tecnici” incontrano il management delle imprese per definire quali saranno le imprese da coinvolgere, i destinatari e i contenuti della formazione. Solo successivamente incontrano a livello locale, territoriale o nazionale le Parti Sociali per la ratifica. Dal momento che la scelta se fare formazione continua, a chi destinarla e quali contenuti trattare è strettamente correlata ai temi della trasferibilità e dell’appropriabilità, le piccole imprese meno strutturate, prive di rappresentanze sindacali interne, non sono generalmente motivate ad investire sulle categorie di lavoratori svantaggiati sul piano occupazionale. In quanto non dispongono degli strumenti per individuare i parametri adeguati a valutare gli effetti benefici della formazione.

Le parti sociali sono costrette a condividere a posteriori le istanze presentate (senza avere contezza dei processi che hanno concretamente determinato le scelte proposte). Anche in questo caso, sono sistematicamente penalizzate le imprese meno strutturate prive di rappresentanze sindacali. E naturalmente i lavoratori che avrebbero bisogno della formazione, i lavoratori ad elevato rischio occupazionale.

Formazione continua bottom-up (in risposta a una concreta domanda) o top-down (corsi calati dall’alto)?

Nella fase di presentazione delle domande di finanziamento, (la fase in cui un Piano Formativo deve essere ancora presentato al Fondo Interprofessionale per la finanziabilità), le imprese strutturate individuano i contenuti formativi più adeguati ai propri lavoratori, in quanto dispongono di risorse interne (tipicamente gli HR) per articolare i fabbisogni formativi, e correlarli a concreti obiettivi di sviluppo. Le Pmi meno strutturate (senza rappresentanze sindacali, e generalmente senza ufficio HR) sono penalizzate in quanto non dispongono delle competenze per correlare la formazione necessaria a colmare i propri fabbisogni (i veri fabbisogni, come è noto, sono spesso latenti, ed è necessario disporre di adeguate competenze per articolarli).

In questi casi, la formazione è difficilmente oggetto di reale progettualità strategica e scarsamente valorizzata a livello gestionale. Tant’è che i corsi di formazione vengono tipicamente organizzati come adempimento normativo o come risposta a fabbisogni di breve periodo. Il rischio di non mettere in atto progettualità a lungo termine, quindi di non disporre di adeguate competenze in grado di innovazione e apprendimento, ed escludere dalla formazione i lavoratori svantaggiati, è estremamente elevato. La scelta dei contenuti formativi normalmente è frutto di proposte di corsi top down (sulla scorta delle indicazioni dei bandi) da parte dei “soggetti tecnici” verso i decisori aziendali.

Come funziona la valutazione dell’impatto (la formazione è servita allo scopo per cui è destinato il finanziamento)?

La costituzione di sistemi formalizzati di governance bilaterale (tipicamente il Comitato Paritetico di Pilotaggio), con la funzione di monitorare la realizzazione della formazione (efficacia del Piano Formativo rispetto agli obiettivi delle aziende e dei lavoratori), non garantisce l’esercizio della bilateralità presso le piccole imprese meno strutturate senza rappresentanze sindacali. Dal momento che non sono previsti appositi dispositivi di partecipazione attiva dei beneficiari e dei destinatari, con la conseguenza che le prevalenti e legittime logiche di mercato dei “soggetti tecnici” e del management aziendale costituiscono gli unici dispositivi di controllo.

Al netto di alcuni casi eccellenti, i sistemi di valutazione in uso si occupano di monitorare solo l’efficienza della spesa dei finanziamenti. Quante ore, quanti partecipanti, quale gradimento, quanta capacità di spesa. Criteri necessari ma non sufficienti per un chiaro riscontro dell’impatto della formazione sulle imprese e sui lavoratori (il risultato è stato perseguito? quali cambiamenti sono stati traguardati dai soggetti coinvolti?). Già in fase di progettazione sarebbe invece necessario individuare un sistema di valutazione, in grado di coinvolgere in modo paritetico sia imprese che lavoratori, per definire con chiarezza gli impatti attesi dalla formazione e gli indicatori quantitativi e qualitativi per verificarne il raggiungimento.

In secondo luogo, occorre definire ex ante gli obiettivi della formazione e gli indicatori da utilizzare. In assenza di un progetto di sviluppo sostenibile, che genera gap di competenze, da cui emerge l’esigenza di adeguamento professionale, l’impatto della formazione non è monitorabile. In sintesi, il sistema di regolazione appare capovolto. L’offerta da parte dei “soggetti tecnici” prevale sistematicamente sulla domanda, e la scelta delle aziende cui finanziare la formazione, dei destinatari e dei contenuti dei Piani Formativi non è il risultato di concertazione bilaterale, ma di una negoziazione fra i “soggetti tecnici” e il management aziendale.

Il che è pienamente legittimo, ma la sola tecnica non è garanzia di bilateralità. Il meccanismo decisionale è prevalentemente opaco per gli attori della bilateralità (le parti sociali), i quali possono solo ratificare ex post istanze assunte con altre logiche. Inoltre, il potere relazionale fra le parti è fortemente determinato dal presidio di conoscenze tecniche specialistiche (asimmetria informativa e conoscitiva sull’accessibilità ai finanziamenti), che sono detenute tipicamente (se non esclusivamente) dai “soggetti tecnici”.

Bilateralità e “better regulation”

L’approccio bilaterale alla formazione è un dispositivo previsto dai principali Ccnl, tipicamente divisi in due parti. La parte normativa, che predetermina la disciplina dei rapporti individuali (definisce i minimi di trattamento economico e normativo per i contratti di lavoro), e la parte obbligatoria, che regola alcuni tratti dei rapporti fra le parti. La formazione è inserita nella parte “obbligatoria” che, a dispetto della definizione, ha carattere programmatico e non è vincolante, dal momento che instaura rapporti obbligatori solo fra le parti stipulanti. Ha più che altro valore politico (non esiste uno strumento giuridico che renda vincolante la parte obbligatoria dei Ccnl), con la conseguenza che fatica ad applicarsi a un sistema particolare come le relazioni industriali, o, nel caso specifico, la bilateralità nella gestione dei finanziamenti per la formazione.

Come confermato anche dagli attori del sistema intervistati nei due riquadri, Antonello Gisotti e Igor Giussani, se i dispositivi di regolazione non sono vincolanti, stentano ad essere applicati, a detrimento dei soggetti che avrebbero bisogno di nuove competenze, ovvero le imprese di piccolo dimensionamento, e i lavoratori meno qualificati, con basso livello di scolarizzazione. A mio parere, occorrono interventi di miglioramento nella regolazione del sistema, che non si limitino alla codificazione di nuovi dispositivi, o di nuove norme.

Occorre fare focus sulla qualità della regolazione, e sugli impatti economici e sociali dei finanziamenti per la formazione continua. Un intervento di “better regulation” potrebbe generare quel valore aggiunto che determina la qualità del servizio, intesa come messa in atto di azioni concrete per promuovere l’effettività dei diritti al lavoro, la formazione e l’elevazione professionale. Ma, se è vero che la qualità della regolazione costituisce un “interesse pubblico autonomo”, è anche vero che tale interesse appare recessivo, di fronte ai molteplici interessi di settore, con il rischio che gli interessi dominanti continuino a prevalere.

In linea con le indicazioni dell’Ocse (best practices in tema di qualità della regolazione), una migliore regolazione del sistema potrebbe prevedere l’integrazione permanente ed esplicita delle valutazioni ex post. La creazione di un sistema di valutazione che assicuri la copertura completa del quadro regolatorio vigente, con il coinvolgimento di tutte le aree di regolazione rilevanti, e la disponibilità di strumenti (tecnici e situazionali) per analizzare le evidenze e formulare raccomandazioni adeguate a far fronte alle carenze rilevate.

SOLO L’ESERCIZIO CONTINUO E CONGIUNTO PUÒ GENERARE BUONE PRASSI DI STRUMENTI DI REGOLAZIONE

Antonello Gisotti, Operatore Nazionale Fim-Cisl con delega alla Formazione Professionale

Sistemi di regolazione per favorire la partecipazione attiva dei lavoratori in fase di progettazione

La partecipazione attiva dei lavoratori nella costruzione del Piano Formativo è presente in alcune realtà, soprattutto dove c’è un solido, responsabile e consapevole livello di relazioni industriali. I risultati sono sempre efficaci e utili per l’intero sistema della crescita professionale. La non diffusa presenza di Commissioni Aziendali dovrebbe essere sostenuta dalla presenza della Commissione Territoriale contrattuale. Il testo del Contratto Metalmeccanico e i Protocolli di condivisione e di partecipazione sono il massimo riferimento per il supporto alla partecipazione attiva dei lavoratori alle fasi del processo formativo.

Risulta però arduo far conciliare e mettere a regime di funzionamento efficace e virtuoso gli istituti contrattuali esistenti da diversi lustri con la pratica di “esercizio alla partecipazione attiva”. Il primo dispositivo di regolazione che può venirmi in mente per un coinvolgimento concreto, è un’azione di sistema coordinata e congiunta tra tutte le Parti Sociali coinvolte, a tutti i livelli contrattuali, di formazione al ruolo di “partecipazione attiva. Con specifica di fasi di ciascun ruolo, tempi di attuazione, lista di risultati da raggiungere e misurazione dell’efficacia di tale azione di sistema. Applicare dei correttivi alle fasi che necessitano di un miglioramento dei meccanismi del processo di partecipazione attiva, che siano applicabili in breve tempo con ulteriore passaggio di verifica di efficacia dei correttivi, può essere un dispositivo da tentare di mettere in moto.

Sistemi di regolazione per favorire la bilateralità nella scelta dei destinatari e nella scelta dei contenuti della formazione continua

Penso che la “gestione dinamica” di un Piano Formativo condiviso sia uno dei più alti obiettivi che la bilateralità dovrebbe perseguire. Penso anche che gli attuali meccanismi, formali e informali, e che le prassi che con il tempo si sono consolidate, talvolta mortifichino l’attuazione di “modifiche dei destinatari” quale fase importante di un sano e vivo esercizio della bilateralità negli spazi comunque concessi dalla contrattazione e dai protocolli di attuazione del monitoraggio in itinere di un Piano Formativo.

Talvolta, in coincidenza di esistenza di un responsabile, consapevole, efficace esercizio della bilateralità da parte di tutti gli attori, può risultare più semplice realizzare “modifiche in itinere”. Tuttavia bisogna che tutti, nessuno escluso, lavorino affinché sia più diffusa la coincidenza degli elementi a cui ho fatto riferimento appena prima. Ad ogni buon conto, partendo proprio da buone prassi oramai esistenti nel settore (certo maggiormente nelle grandi imprese, ma per fortuna si stanno diffondendo anche in alcune piccole e medie imprese) bisognerebbe valorizzare il ruolo attivo che svolgono le Commissioni contrattuali (a tutti i livelli) e comprendere che il primo step da compiere parte dalla costituzione delle stesse.

Sistemi di regolazione per favorire la bilateralità nel monitoraggio dei piani formativi

Il Comitato di Pilotaggio (organismo paritetico caratteristico per Fondimpresa) è il luogo migliore per fungere da snodo tra le componenti delle Parti Sociali che hanno condiviso il Piano Formativo e le Parti Sociali che devono utilizzare le informazioni derivanti dallo svolgimento del piano stesso. Il Cpp ha un grande potenziale non solo di monitoraggio di un piano svolto nel migliore dei modi dal soggetto Attuatore, ma di valorizzazione delle “attività non formative”. Un Piano Formativo finanziato dalla bilateralità non è solo formazione dei lavoratori, deve anche essere un elemento che si muove in un sistema più complesso, composto da diversi attori, dai territori coinvolti, dalle diverse Parti Sociali impegnate e dal comune obiettivo di alimentare il circolo virtuoso della formazione.

SERVE IL COINVOLGIMENTO ATTIVO DEI LAVORATORI NELLA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI FORMATIVI

Igor Giussani, referente per la bilateralità Filcams-Cgil Milano

Sistemi di regolazione per favorire la partecipazione attiva dei lavoratori in fase di progettazione

Per quanto mi consta, nelle Pmi e nelle imprese senza RSA/RSU, non vi è mai un coinvolgimento attivo dei lavoratori nella definizione degli obiettivi formativi. Raramente alcuni Piani Formativi fanno cenno a una fase di “rilevazione dei bisogni formativi” ma anche in questo caso non è mai chiaro il grado di coinvolgimento dei destinatari della formazione. L’impressione netta è che, spesso, gli Enti Formatori propongano alle aziende interessate percorsi formativi “a catalogo”.

Sistemi di regolazione per favorire la bilateralità nella scelta dei destinatari e nella scelta dei contenuti della formazione continua

Per mia esperienza, nelle aziende non sindacalizzate non vi è la possibilità di modificare la platea dei destinatari. La mia premura e quella dei colleghi delle altre sigle è di accertarci almeno che l’azienda abbia un progetto formativo che, nel tempo, porti a coinvolgere il più alto numero possibile dei dipendenti. A volte è possibile inserire nell’accordo un impegno specifico dell’azienda a coinvolgere, nei futuri piani, le figure non coinvolte dal piano sottoposto alla nostra condivisione.

Ma anche nel caso non vi fosse tale impegno non vi sono, per noi organizzazioni sindacali, margini di intervento concreti (anche per il fatto che molti fondi si sono dotati di una procedura di “silenzio assenso”). In assenza di rappresentanze sindacali aziendali a mio avviso non è possibile agire, se non nei termini appena descritti, per definire la platea dei destinatari. Non vi è la possibilità di modificare i contenuti del Piano Formativo (salvo in casi dove il piano comprende unicamente formazione obbligatoria per legge) perché non vi è nessuna possibilità di verificare le esigenze formative dei lavoratori interessati.

Sistemi di regolazione per favorire la bilateralità nel monitoraggio dei piani formativi

Il Comitato Paritetico di Pilotaggio può valutare solo relativamente l’impatto della formazione sulla platea dei lavoratori e sull’impresa. Sapere quante ore sono state fatte o quali materie sono state affrontate o anche verificare (con questionari successivi) che il lavoratore abbia effettivamente acquisito nuove skill non ci dice nulla (o poco) sull’aumento di competitività dell’impresa e/o sulla migliore “occupabilità” del lavoratore (che sarebbe l’obiettivo del versamento dello 0,30%).

Ad oggi non è possibile valutare puntualmente l’efficacia della formazione. A mio avviso uno dei motivi della bassa produttività del nostro sistema produttivo è legato anche al fatto che gran parte delle nostre imprese sono piccole e nelle imprese piccole è (per i motivi sopra esposti) quasi impossibile programmare una formazione che sia davvero funzionale al miglioramento della produttività.


Barbara Pigoli è progettista, formatrice e consulente, ed è una profonda conoscitrice del sistema dei Fondi Interprofessionali e della formazione bilaterale.

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