Autonomi e flat tax, il dibattito è aperto

Alcune considerazioni sull’estensione della flat tax per i lavoratori autonomi, partendo dal presupposto che la comparazione del trattamento fiscale tra lavoratori autonomi e subordinati non può prescindere da una visione complessiva delle due fattispecie

0
77
Lavoratori autonomi e flat tax

di Luigi Beccaria |

Come noto e come ampiamente discusso a livello giornalistico – spesso impiegando toni simil apocalittici che lo scrivente non si sente di sottoscrivere – tra le poche novità “di bandiera” introdotte a livello di politica economica e fiscale nell’ultima Legge di Bilancio vi è stata l’estensione del regime di cosiddetta flat tax per i lavoratori autonomi. Il cui ammontare massimo è stato aumentato dai precedenti 65.000 euro annui (da imputare, come del resto era già prima, secondo il familiare principio di cassa) a 85.000 euro annui.

Utilizzo l’espressione “di bandiera” per sottolineare che si tratta di uno dei pochi provvedimenti che è stato più o meno fedelmente tradotto dalla fase di campagna elettorale in una norma vigente. La “bandiera”, nello specifico, era riferibile alla Lega, che già aveva varato un simile provvedimento ai tempi del governo cosiddetto “giallo-verde”. Sebbene anche il partito vincitore delle elezioni, Fratelli d’Italia, avesse previsto (e abbia ancora in progetto, almeno nelle intenzioni, un’estensione anche ad altre categorie, tra cui i lavoratori subordinati) un ruolo più importante nel nostro ordinamento della “tassa piatta”, che in termini più giuridici si potrebbe tradurre come “imposta proporzionale”, astrattamente (e con opportuni accorgimenti) uguale per tutti i contribuenti. Differente pertanto dalla “imposta progressiva” tipica del nostro sistema e del dettato di cui all’art. 53 Cost., in funzione di cui l’aliquota delle imposte aumenta con l’aumentare del reddito.

Flat tax: il differenziale nel prelievo fiscale

Il provvedimento è stato oggetto di critiche in alcuni casi anche ingenerose. Si è infatti eccepito, a livello politico, che con tale norma si venga a creare un differenziale troppo significativo in tema di gravosità del prelievo fiscale tra lavoratori autonomi e lavoratori subordinati. Tale prima obiezione può essere serenamente respinta. Infatti, se è vero che l’imposta “fissa” del 15% è sensibilmente più bassa dell’aliquota media del lavoratore subordinato, è altrettanto vero che non si può semplicisticamente ridurre l’analisi a una mera comparazione algebrica delle rispettive aliquote. Considerando che la quantità di diritti e tutele, di natura non solo economica, poste a favore del lavoratore subordinato, eccedono notevolmente quelle stabilite per i lavoratori autonomi oggetto della riforma fiscale.

Basti pensare alle tutele previdenziali in caso di assenza forzata dal lavoro per malattia/maternità, oltre alla maturazione del trattamento di fine rapporto, di ferie e permessi, di mensilità aggiuntive. Inoltre, simili discorsi tendono sempre a focalizzarsi esclusivamente sul fronte fiscale (ossia, in sostanza, sull’aliquota sostitutiva dell’Irpef pari al 15%), senza considerare però il carico contributivo. Ven più gravoso per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata di quanto non lo sia per i lavoratori dipendenti (i cui contributi sono versati per la maggior parte dal datore di lavoro).

In sintesi, di questa parte di ragionamento, la comparazione del trattamento fiscale tra lavoratori autonomi e subordinati non può prescindere da una visione complessiva delle due fattispecie. Poiché sarebbe miope confrontarle esclusivamente sotto il profilo “quantitativo” connesso all’aliquota applicata sui redditi.

I criteri di progressività

Quanto poi alle questioni, di tanto in tanto sollevate, relative alla conformità della flat tax con il dettato costituzionale che prevede che il sistema sia informato a “criteri di progressività”, compatibilmente con il ridotto spazio a disposizione si può osservare quantomeno che:

  • la progressività verrebbe comunque salvaguardata per effetto delle numerose detrazioni d’imposta previste;
  • soprattutto, è improprio l’utilizzo stesso del termine flat tax, atteso che in un sistema autenticamente proporzionale (che sarebbe teso all’assoluta semplificazione del sistema fiscale, con un unico importo da pagare su base annua, senza i “lacci e lacciuoli” delle varie detrazioni) l’aliquota applicata sarebbe una sola, mentre, in concreto, la riforma applicata non fa altro che aumentare il volume di uno degli scaglioni, al superamento del quale non solo cambia l’aliquota, ma addirittura il sistema fiscale.

Critiche e argomentazioni

Le argomentazioni che precedono mirano solo a fornire delle sintetiche risposte alle critiche più frequenti rivolte a questo istituto. Tuttavia, ciò non deve significare che sia tutto oro ciò che luccica. A parere di chi scrive, sbaglierebbe chi pensasse che i soli e reali beneficiari della cosiddetta flat tax siano solo i medesimi lavoratori autonomi.

Come qualche critico ha giustamente evidenziato, l’adesione al regime forfettario rischia di trasformarsi in una “gabbia d’oro” per il lavoratore autonomo. Ciò non solo per una questione psicologica, comunque sussistente, tale per cui il piccolo imprenditore/professionista, con l’obiettivo di ridurre la mole di burocrazia e di adempimenti, oltre che l’aliquota fiscale in sé, tenderà a preferire il mantenimento di una dimensione “micro” o comunque piccola. Ma soprattutto per il combinato disposto tra l’abbattimento forfettizzato dell’imponibile e dell’assorbimento dell’Iva.

Quanto al primo aspetto, si osserva come il coefficiente di forfettizzazione delle spese non risulta sempre conveniente per gli aderenti, di fatto rendendo obbligato, se si vogliono rispettare criteri di banale convenienza economica, il passaggio al regime ordinario. Ma è particolarmente degno di attenzione il secondo aspetto, tale per cui l’autonomo che acquisti bene strumentali all’esercizio della sua attività deve versare l’Iva (il cui beneficiario è ovviamente lo Stato), ma erogando i servizi o cedendo i beni oggetto della sua prestazione non recupera l’imposta stessa.

Quest’ultimo passaggio spiega bene quanto fuorviante sia la narrazione per cui sono i soli aderenti al regime i reali beneficiari dell’adesione allo stesso. In quanto, per effetto della combinazione sopra enucleata lo Stato trae un guadagno (id est: l’Iva) che non conseguirebbe se l’aderente fosse in regime forfettario. In definitiva, appare ragionevole affermare che l’estensione del regime forfettario avvantaggia realmente solo chi riesce a conseguire guadagni sufficienti a saturarne la portata massima (i famosi 85.000 euro l’anno), e la cui attività non preveda grandi spese per beni strumentali.

Come tutte le cose, la riforma è suscettibile di miglioramenti. Tuttavia, alcuni suoi tratti (l’abbattimento dell’aliquota, il taglio di alcuni oneri burocratici) possono certamente fungere da spunto per future leggi e in generale per un sistema fiscale meno gravoso e più giusto.


Luigi Beccaria è avvocato ed è partner di Studio Elit. Collabora con l’Università degli Studi di Milano e con l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here