Come stiamo?

Il periodo di segregazione dovuto alla pandemia ci ha aperto gli occhi, facendoci riflettere sulla frenesia della vita precedente e facendoci apprezzare il rallentamento. Le relazioni sociali sono franate, ma abbiamo realizzato che è meglio dedicarsi alla qualità e non alla quantità

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Indagine Bes 2021 Istat

di Marina Fabiano |

Viviamo in una democrazia orientata al benessere, per fortuna.

Ogni tanto ci penso: guarda come conta il caso, nel nascere in un paese benestante piuttosto che in una nazione povera e travagliata. Abbiamo avuto questa fortuna, dobbiamo stare attenti a preservarcela, per noi, figli, nipoti e pronipoti compresi. Abbiamo anche un Istat che ci aiuta a tenerla sotto controllo, a osservarla, questa fortuna. A preservarla dobbiamo pensarci noi, pandemie, crisi ambientali, guerre permettendo. Possiamo contare, in più e fra le tante, su affidabili piattaforme di informazioni condivise.

Una su tutte Segnali dal Futuro, che “Raccoglie e organizza segnali culturali, tecnologici, politici ed economici per allenare la nostra capacità di immaginare il futuro”. Incrociare le diverse informazioni disponibili ci consente di guardare all’attualità con chiarezza e soprattutto di predisporci a un futuro positivamente interessante.

Come va la vita in Italia

Partiamo dunque dal comprendere “come va la vita in Italia” tenendoci aggiornati con lo studio annuale dell’Istat: il Rapporto Bes 2021 (Benessere Equo e Sostenibile). Tra qualche mese avremo a disposizione l’aggiornamento 2022 e vedremo gli eventuali scostamenti. Il passo successivo sarà come possiamo intervenire per curare il benessere che abbiamo.

Se siamo attenti lettori di giornali e dell’andamento economico che ci circonda, tante informazioni le riconosceremo subito:

  • vantaggio delle regioni italiane del Centro-Nord;
  • svantaggi delle donne con figli piccoli o anziani in famiglia;
  • sofferenza psicologica di bambini, adolescenti e giovani adulti;
  • avvilimento della scuola, sia per gli studenti che per gli insegnanti;
  • lavoro sempre più incerto e insoddisfacente, che provoca esodi giovanili verso territori più accoglienti e/o situazioni meno stressanti.

Per non parlare di salute, soldi, tasse e quant’altro. L’Italia sta diventando un posto popolato da anziani, che ovviamente non restano autosufficienti per sempre.

Il benessere soggettivo

“Nel 2021 con il 46% di molto soddisfatti della propria vita si recuperano i livelli di benessere registrati prima del crollo avvenuto nel 2012. La percentuale di persone che riferiscono di essere molto soddisfatte per la propria vita (punteggio tra 8 e 10) è cresciuta nei due anni di pandemia, si attestava al 43,2% nel 2019 e al 44,3% nel 2020. L’incremento dei soddisfatti registrato proprio negli anni di pandemia è coerente con quanto riscontrato anche in altri Paesi” (ndr: fonte Bes).

Indagine Bes 2021: indicatori benessere soggettivo

Il periodo di segregazione dovuto alla pandemia, tutto sommato, ci ha aperto gli occhi, facendoci riflettere sulla frenesia della vita precedente e facendoci apprezzare il rallentamento. Sicuramente le relazioni sociali sono franate, ma forse abbiamo realizzato che è meglio dedicarsi alla qualità (meno relazioni, più curate) che non alla quantità (tutti amici, una vita in giostra). Abbiamo alleggerito le nostre agende affollate e ci siamo resi conto che così siamo più soddisfatti, pensiamo meglio a come occupare il nostro tempo libero, e soprattutto con chi.

Esperienze ed esigenze diverse

Se i giovani hanno patito parecchio la reclusione forzata – e comunque sono stati in grado di tenersi in contatto attraverso la tecnologia -, gli anziani molto di più. Trattati come figure fragili con gravi rischi sanitari (vero), di fatto sono stati emarginati senza troppe spiegazioni. Meglio morire fisicamente o mentalmente? Eh, chi lo sa!

Le lamentele più evidenti, soprattutto per l’agognato tempo libero, arrivano dai lavoratori più impegnati. E certo! Chi studia, il tempo per sé se lo ricava. Chi ha finito di lavorare per raggiunti limiti di età, di tempo libero ne ha fin troppo. Chi è stabilmente occupato, gli spazi di svago se li deve ritagliare con il cesello, dribblando tra necessità operative, economiche e di sostegno alla famiglia. Ogni tanto si parla di ridurre le ore lavorative obbligate, ma dove la mettiamo poi la produttività e il relativo costo?

Da poche settimane una grande azienda (bancaria) ci sta provando, a ridurre i tempi lavorativi, vedremo il risultato della sperimentazione. E i sempre più numerosi liberi professionisti che devono pure procurarselo, il lavoro, oltre a eseguirlo? Le ovvie necessità economiche qui dettano le agende e non le liberano mai.  Meno male che siamo un popolo di ottimisti, ci ostiniamo a vedere il roseo futuro che ci attende e ci rimbocchiamo le maniche, anche con iniziative fantasiose. Non tutto va a buon fine, ma tutto fa esperienza.

Chi sta peggio?

“I più giovani (14-19 anni) che avevano registrato un recupero più rapido della percentuale di molto soddisfatti per la vita rispetto ai valori del 2012, conoscono invece negli ultimi due anni un deterioramento significativo della soddisfazione per la vita. La percentuale dei molto soddisfatti che passa dal 56,9% del 2019 al 52,3% del 2021. Inoltre, quasi 220mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni si dichiarano insoddisfatti della propria vita (punteggio tra 0 e 5). E hanno una condizione di scarso benessere psicologico, con un punteggio dell’indice di salute mentale inferiore alla soglia che definisce la condizione di basso benessere psicologico. A indicare una accentuazione della situazione psicologica precaria” (ndr: fonte Bes).

I più giovani, mancando dell’esperienza di vita tipica delle persone più mature, che spesso ragionano guardando alla storia e contando sul fatto che tutto ha un inizio e una fine, niente rimane immobile per sempre, sono quelli che stanno evidenziando pesanti strascichi psicologici. Bloccati in una situazione congelata, senza comprendere se e quando e come si sarebbe risolta, i ragazzi si sono isolati e rassegnati. Chiudendosi in un angolo protetto e senza poter/ saper immaginare né sperimentare un futuro.

In quegli oltre due anni di immobilismo culturale ed esperienziale, oltre tutto, hanno potuto acquisire meno nozioni fondamentali dell’auspicabile. Poi, quando sono stati di nuovo catapultati nella realtà studentesca e relazionale, hanno scoperto di avere fragili basi su cui costruire nuove conoscenze. Traduco: la Dad (Didattica a distanza) – tranne in alcune scuole illuminate o grazie ad alcuni insegnanti tecnologicamente addestrati e dotati di tanta buona volontà – è stata un disastro. Fatta male, condotta in modo superficiale e impreparato, con tempi limitati e delegando troppo alle famiglie, ha insegnato poco o niente, a qualsiasi livello scolastico. Quindi i nostri giovani si trovano traballanti nelle conoscenze ed incerti sulle loro capacità. Chi non mostrerebbe disagio psicologico?

Le aziende dove sono?

Il posto fisso e duraturo non esiste più. In qualche settore sì, però: pubblica amministrazione, enti statali, banche (per il momento), qualche altro raro settore in cui il dipendente si sente (troppo) protetto. E tutti gli altri? Chi indirizza i giovani verso studi consoni alle esigenze professionali di domani (e dopodomani)?

“Se vuoi guardare il futuro negli occhi comincia con l’ascoltare i più giovani”, declama Isabella Pierantoni di Generation Mover, impegnata in progetti come Future Direction di Edutech District. Ecco, forse le idee dei giovani rispecchiano più immaginazione che concretezza, e allora spetta alle aziende avvicinarsi a loro, ascoltarli e condividere le loro ricerche scientifiche, le loro ipotesi realistiche, le loro strategie possibili. Ammesso che ne abbiano.

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