Stimolare una trasformazione sostenibile

Perché essere motivati non basta per abbracciare il cambiamento? Una spiegazione ci viene dalle recenti scoperte neuroscientifiche

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Trasformazione sostenibile con le neuroscienze

di Luca Erba |

Come formatori e coach siamo chiamati a essere facilitatori del cambiamento. Le aziende ci contattano per aiutarle a comprendere le leve motivazionali delle proprie persone e ci chiedono di collaborare e supportarle nei processi di empowerment.

Nostro focus d’azione sono dunque la “people strategy”, il sistema di valori dell’azienda, le “best practices” da diffondere e i “business case”. Per rendere tutto ciò più idoneo a stimolare cambiamento organizzativo, professionale e personale. Puntando a una trasformazione che sia possibile e sostenibile.

La resistenza al cambiamento

Le recenti scoperte neuroscientifiche ci rendono d’altronde più preparati e consapevoli delle cause e dei rischi della resistenza al cambiamento. Gli studi ci mostrano, infatti, che non è sufficiente essere motivati verso un miglioramento. Corsi di formazione e sessioni di coaching, pur realizzati da professionisti solidi e competenti, non sempre portano risultati soddisfacenti. Cerchiamo di capire insieme il perché attraverso il punto di vista delle neuroscienze.

È risaputo e dimostrato dalla ricerca, che la nostra mente è largamente “neofobica”, refrattaria al nuovo e alle novità. Si stima che circa il 95% della nostra attività cerebrale sia caratterizzata da strutture neurali automatizzate verso la ripetizione di schemi fissi, operanti in totale assenza di riesame o riconsiderazione su quanto possa essere efficace e valido ciò che ascoltiamo, proviamo o pensiamo.

L’attività della mente sembra puntare ad assicurarci la sopravvivenza ed evitare, o diminuire il più possibile, il dolore e la sofferenza, attraverso due importanti meccanismi:

  • velocità, che si basa sulla spontaneità e su automatismi nel percepire e nell’interpretare ciò che viviamo;
  • ripetizione, che si basa sul sostare in una zona di comfort dove si sperimentano cicli ripetitivi di ciò che già si conosce, con la finalità adattiva di aumentare la sensazione di prevedibilità del futuro.

Questi due meccanismi, apparentemente semplici, sono conservati nel tempo, grazie a una sorta di ostilità e avversione emotivo-cognitiva a ciò che ci appare sconosciuto, nuovo e dunque potenzialmente pericoloso.

Strategie neurali

La ricerca ha dimostrato inoltre che il nostro cervello possiede una notevole plasticità e può costantemente e incessantemente lavorare sulle sinapsi, ma non è disponibile a cambiare incondizionatamente. Il cervello accetta facilmente e senza sforzo solo i cambiamenti che non entrano in conflitto con quanto già in suo possesso, e con le esperienze e le convinzioni a cui è già abituato. Si imparano, infatti, con facilità, nuovi modi di pensare e agire, solo quando essi non ci richiedono di contrastare strutture di abitudini cognitive ed emotive già radicalmente insediate in noi.

Cambiare non è solo uno sforzo o una scelta, non è un impegno in opposizione a una realtà che rimane fuori da sé. Cambiare è soprattutto uno scontro tra due strategie neurali presenti nella nostra mente. Infatti, proprio quando il cambiamento proposto ci richiede di modificare abitudini radicate, o ci richiede di percorrere territori verso i quali la mente non ha esperienze, il nostro cervello alza barriere di ribellione e di difesa talvolta estremamente rigide. Come ci riesce? Per lo più, facendoci vivere esperienze che ci inducono a considerare il cambiamento pericoloso, faticoso o, addirittura, impossibile.

Si può dunque essere motivati verso un nuovo comportamento, verso nuovi modi di essere. Ma se il cambiamento da realizzare si oppone troppo alle abitudini stabilizzate nel tempo nei circuiti sinaptici, allora la motivazione da sola non basterà a vincere la forza schiacciante della mente oppositiva resistente al cambiamento. Lo scenario del cambiamento può, a questo punto, apparirci una chimera impossibile da raggiungere.

Il dubbio e l’autocontrollo

Fortunatamente, nella corteccia prefrontale del nostro cervello è presente un circuito cerebrale che mette a disposizione dell’essere umano due risorse fondamentali per l’apprendimento e l’evoluzione, dedicate a completare, se non addirittura contrastare e mutare, il resto del sistema: il dubbio e l’autocontrollo. La mente umana, infatti, può imparare a esercitare il dubbio su ciò che il resto della mente ci induce a sentire e pensare spontaneamente.

La risorsa del dubbio ci rende abili a scoprire nuovi elementi e ci garantisce di poter ottenere nuove idee e nuove percezioni della realtà. Il dubbio da solo non è, però, sufficiente a farci cambiare e la consapevolezza da sola non può vincere le massicce resistenze della mente nel difendere le strutture sinaptiche che ha già stabilizzato. Serve, infatti, l’azione coadiuvante dell’autocontrollo. La seconda potente risorsa presente nella corteccia prefrontale, che attinge alla forza di volontà per frenare il potere bloccante delle abitudini della mente. Occorre autocontrollo per ottenere da se stessi nuovi comportamenti maggiormente efficaci e, al contempo, frenare la nostra spontanea attitudine a essere conservativi, statici e anche permalosi. L’autocontrollo, per essere profonda risorsa di cambiamento, non può e non deve essere speso solo nelle poche occasioni di sforzo, quando vogliamo modificare abitudini ben radicate.

Occorre impegno per contrastare ciò che ci viene più facile, comodo e istintivo, e perseveranza per stabilizzare nuove reti sinaptiche in grado di rafforzarsi e modificare le precedenti, sostituendo un’abitudine con un nuovo schema. Ottenere che una persona possa cambiare, significa attendere che la sua mente possa entrare in conflitto con se stessa. Il processo di ricalibrazione e cambiamento, in sintesi, funziona così.

Tre domande fondamentali

Le neuroscienze ci aiutano e ci stimolano, quindi, a pensare in maniera più strategica e meno ripetitiva le strategie aziendali e le risorse da dedicare al cambiamento desiderato nei processi e nelle dinamiche. Nella pratica, una strategia vincente verso cambiamenti sostenibili, parte dalle risposte a tre domande fondamentali:

  • quanta resistenza incontreranno i cambiamenti attesi, sulla base della loro distanza dalle abitudini presenti nelle persone?
  • come attivare dubbi e riflessioni generative che aiutino a riconoscere motivi per contrastare se stessi?
  • quale aiuto può e deve essere messo a disposizione nel tempo per ottenere nelle persone perseveranza nello sforzo contro se stesse?

Per ottenere risultati positivi, inoltre, è chiaro a chiunque abbia provato a lavorare nella gestione del cambiamento, il valore di un corretto assetto mentale. Consideriamo, ad esempio, le conseguenze in Germania e in Italia dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima, (Giappone 2011) a seguito di un disastroso terremoto. Angela Merkel, in Germania, sotto pressione per le manifestazioni contro il nucleare e, soprattutto, per alcune pesanti sconfitte elettorali, reagisce decidendo gradualmente di smantellare le centrali. Dovendo affrontare importanti conseguenze economiche, sociali, politiche e anche ambientali. Questa scelta, oggi, proprio a causa della crisi energetica, è stata notevolmente rivista.

In Italia, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova concepisce un insight e aumenta gli investimenti nello sviluppo di robot in grado di sostituire l’uomo nei pericolosi interventi durante i disastri ambientali. Oggi l’Istituto di Genova è riconosciuto uno dei leader mondiali del settore. Il governo tedesco ha mostrato dunque un approccio che appare reattivo e difensivo: il disastro di Fukushima è stato percepito soprattutto come minaccia da cui difendersi.

L’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova si è concentrato su un altro aspetto del disastro: come rendere veloce e sicuro l’intervento umano in caso di disastro nucleare? Ha accelerato, quindi, lo sviluppo dei robot quadrupedi. Utili nelle centrali nucleari e in molti altri casi di disastri naturali, siti a rischio esplosione, zone inagibili o contaminate e terreni accidentati. Tale considerazione non vuole “giudicare” chi ha risposto meglio al contesto di emergenza e a uno specifico evento catastrofico. Ognuno può approfondire l’esempio e crearsi una legittima posizione in merito.

Come generare il cambiamento

Emerge comunque, in modo incontestabile, l’assetto mentale più utile a generare cambiamento:

  • imparare velocemente dalle situazioni e dai contesti;
  • apprendere da se stessi e dagli altri;
  • esercitare continuamente il dubbio, il pensiero critico e anticipatorio.

Per facilitare il cambiamento nelle aziende, occorre unire a questi anche il fattore di evoluzione più importante, ovvero la libertà. Libertà di “leggere” gli eventi in maniera soggettiva, individuando quali sono le opportunità da cogliere. Ma anche di raccogliere e scambiare dati, a tutti i livelli, investendo su letture innovative per ottenere interpretazioni inedite e non banali della realtà. Inoltre, libertà di sperimentare in maniera autonoma, anche commettendo errori, e discutendo in team le soluzioni e gli impatti possibili.

Per aiutare le persone e le aziende a cambiare efficacemente, dobbiamo quindi essere bravi nell’aiutare la creazione di contesti e ambienti di vita e di lavoro stimolanti, sfidanti e al tempo stesso sicuri. Basati sulla cultura del dubbio generativo, dell’apprendimento continuo, della cooperazione, del feedback reciproco e del confronto con gli altri. Non a caso Jack Welch (1935 – 2020), quando era presidente e Ceo di General Electric, esortava i suoi dirigenti a “cambiare prima di essere costretti a farlo”. Ammonendoli sul fatto che, “se la percentuale di cambiamento fuori dell’azienda eccede quella che avviene all’interno, la fine è vicina”.

Cultura del cambiamento

Ancorandoci rigorosamente agli esiti più avanzati della ricerca nel campo delle neuroscienze, delle scienze comportamentali e della psicologia positiva, possiamo quindi promuovere una cultura del cambiamento. Mettendo a disposizione di aziende e persone, esperienze di empowerment, di sviluppo di nuove skill organizzative e di wellbeing.

Campi d’azione più recenti e interessanti appaiono quindi i seguenti:

  • riprogettazione organizzativa, favorendo la sperimentazione e l’adozione di comportamenti e rituali organizzativi che incentivino la cooperazione, l’engagement, l’autonomia e la valorizzazione delle vocazioni delle persone;
  • diffusione di una leadership generativa, basata su modelli innovativi e inclusivi che si ispirano ai valori personali e aziendali per aumentare la flessibilità mentale, l’attenzione, la creatività e il superamento dei bias, migliorando la qualità dei processi decisionali;
  • flourishing, ovvero puntare alla fioritura delle persone: in una prospettiva che oltrepassa dicotomia performance/vita privata, realizzare pratiche di neuroempowerment con l’obiettivo di generare trasformazioni stabili e profonde nella direzione dell’equilibrio psicofisico ed emotivo, della qualità delle relazioni, della piena espressione del potenziale umano.

In conclusione, c’è chi vuole cambiare se stesso e chi, invece, desidera portare un cambiamento nel mondo. In ogni caso possiamo cominciare fin da subito a lavorare sulla biologia delle nostre credenze perché, come diceva Arthur Schopenhauer, “solo il cambiamento è eterno, perpetuo, immortale”.


Luca Erba è co-founder di Disclose srl, azienda che si occupa di formazione e coaching attraverso un metodo innovativo che aiuta organizzazioni e persone ad agire sui propri talenti per svilupparne il potenziale.

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