Formazione: c’è ancora molto da imparare

Come si legge nel “Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta”, in Italia persistono “livelli bassi di qualificazioni e di titoli di studio” e troppi pochi “adulti impegnati in attività di studio e formazione”. Con una transizione digitale in atto a ritmi accelerati, queste lacune aggravano il quadro e rischiano di lasciare il Paese fermo al palo. È chiaro che l’investimento in formazione non può più essere rinviato.

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Formazione e competenze

di Virna Bottarelli |

“Mancano le competenze”. Quante volte lo avete sentito dire, negli ultimi mesi? Eppure, nel nostro Paese, quello della carenza di competenze e della necessità di una formazione in grado di svilupparle, non è un problema nuovo. È emerso in tutta la sua criticità negli ultimi tempi, ma se ne parla a livello istituzionale da almeno dieci anni, precisamente dal varo della Legge 92/12 (la cosiddetta Legge Fornero) che ha definito l’apprendimento permanente “come qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale”. Sempre nel 2012 è nato il Tavolo interistituzionale sull’apprendimento permanente (Tiap), che ha avviato negli anni seguenti un monitoraggio delle attività svolte dalle Regioni in materia.

Nel 2018, su iniziativa del Miur, è nata la Conferenza nazionale sull’Apprendimento Permanente, con l’obiettivo di definire un Piano nazionale di Garanzia delle competenze. Di cui si è occupato un gruppo di lavoro composto da Rappresentanti del Miur e del Coordinamento delle Regioni, con il supporto tecnico-scientifico di Anpal, Inapp e Tecnostruttura delle Regioni per il Fse, coordinato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

Formazione: cosa dice il nuovo piano nazionale

Il frutto di questo lavoro è stato presentato a luglio 2021. Il “Piano strategico nazionale per lo sviluppo delle competenze della popolazione adulta”, un documento di indirizzo che definisce principi guida e linee di azione in tema di orientamento e formazione della popolazione adulta, per il quale è prevista una specifica linea di investimento anche nel Pnrr. Il Piano getta le basi per costruire un modello sociale “che prevede una presa in carico dei problemi di ogni cittadino derivanti da scarsa alfabetizzazione e competenze insufficienti, rendendo esigibile il diritto soggettivo all’apprendimento permanente”.

Lo schema di riferimento al quale dovrebbe ispirarsi la formazione prevede tre principi-guida:

  • universalità delle policy, selettività degli aiuti e centralità della persona;
  • sussidiarietà della governance, concentrazione delle risorse e diversificazione e prossimità dei servizi;
  • gradualità, progressività e incrementalità nello sviluppo dei sistemi e dei servizi.

In sostanza, la formazione dovrebbe essere accessibile a tutti, organizzata in reti integrate di servizi e puntare a un miglioramento continuo dei livelli qualitativi.

Chi ha più bisogno di formazione?

Nel nostro Paese sono circa 13 milioni gli adulti con un basso livello di istruzione (è il 39% degli adulti nella fascia 25- 64 anni). Ma quando si parla della necessità di riqualificazione si dovrebbero includere nella platea dei destinatari anche gli individui con livelli di istruzione medio-alti, che però hanno scarse capacità digitali, di alfabetizzazione e di calcolo. E quelli con lavori scarsamente qualificati e/o destinati a subire trasformazioni tecnologiche importanti, che rischiano quindi di possedere competenze a breve obsolete. Ecco allora che quel 39% citato sopra diventa una percentuale tra il 53 e il 59%. C’è poi un discorso di bassa partecipazione, rispetto alla media UE, delle persone scarsamente qualificate alle attività di istruzione e formazione.

Il Piano strategico ha come target di riferimento naturale la popolazione adulta low skilled e/o con bassi livelli di qualificazione, i disoccupati, gli inattivi, coloro che sono a rischio di disoccupazione o con un reddito da lavoro inferiore alla soglia di povertà. Per il primo triennio di programmazione (2021-2023), però, anche in considerazione dei dati riportati sopra, il campo è stato ristretto a quella fascia di popolazione tra i 29 e i 64 anni. Che, attualmente, non risulta destinataria, in maniera adeguata, di interventi individuati e condivisi a livello interistituzionale.

È stato limitato anche il campo degli obiettivi sui quali focalizzare il Piano, in modo da darsi dei target misurabili e raggiungibili. Il primo è favorire il rientro degli adulti nei percorsi di istruzione finalizzati ad innalzarne le qualificazioni. Il secondo riguarda la partecipazione degli adulti a corsi finalizzati allo sviluppo e al potenziamento delle competenze di base con particolare riferimento a quelle linguistiche, digitali, finanziarie e green. Il terzo prevede la promozione di accordi territoriali tra Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti, Centri per l’Impiego e Comuni. Per favorire il raccordo tra questi soggetti e consentire l’accoglienza, la presa in carico e le possibili azioni di orientamento a favore della popolazione adulta in attesa di una collocazione/ricollocazione lavorativa.

La spinta del Pnrr 

Approvato a luglio 2021, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, presupposto necessario per beneficiare dei 191,5 miliardi del Recovery and Resilient Facility e dei 13,5 miliardi di ReactEu stanziati dall’Unione Europea per fronteggiare la crisi pandemica, rappresenta un incentivo importante per intensificare gli sforzi sui temi della formazione. Nel Rapporto di monitoraggio del sistema di Istruzione e Formazione Professionale e dei percorsi in duale nella IeFP, presentato lo scorso giugno, Inapp ha ricordato gli interventi programmati in due delle sei missioni del Pnrr – la 4, Istruzione e ricerca, e la 5, Inclusione e coesione – che toccano direttamente l’ambito della formazione.

La missione 4, con una dotazione di 30,88 mld, include il potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione e le riforme degli istituti tecnici e professionali, del sistema ITS, dell’organizzazione del sistema scolastico, del sistema di Orientamento, delle classi di laurea e delle lauree abilitanti. La missione 5 ha a disposizione 19,85 miliardi e include la Riforma delle Politiche attive del lavoro, per la quale sono messi sul tavolo 4,4 miliardi, e il potenziamento del Sistema Duale, che si può avvalere di risorse per 600 milioni.

Nel primo caso parliamo essenzialmente del programma Gol e del Piano Nuove Competenze. Che coinvolgeranno in attività di formazione almeno 800 mila dei potenziali beneficiari, di cui 300 mila in percorsi di rafforzamento delle competenze digitali. Per quanto riguarda il potenziamento del Sistema Duale, invece, dovranno essere attivati, entro il 2025, almeno 135 mila nuovi percorsi. Obiettivo allineare il più possibile i sistemi di istruzione e formazione ai fabbisogni del mercato del lavoro, promuovere l’occupabilità dei giovani e l’acquisizione di nuove competenze, necessarie per affrontare le inevitabili trasformazioni sul mercato del lavoro indotte dalla transizione ecologica e digitale.

Colmeremo il gap?

I prossimi anni ci diranno se le aspettative legate al Pnrr sono state soddisfatte. Mentre per fotografare la situazione attuale, è sempre il Rapporto di Inapp a darci qualche dato interessante, soprattutto sul gap domanda/offerta di competenze. Parlando delle professioni riconducibili alle qualifiche e diplomi professionali, il fabbisogno del mercato del lavoro è stimato, per il prossimo quinquennio, in circa 153mila unità l’anno. Mentre i qualificati/ diplomati che il sistema immette sul mercato annualmente sono circa 80mila.

Manca, mediamente, il 48% delle figure richieste, anche se in alcuni settori il gap è ancora più elevato. In tutto ciò si può però cogliere un aspetto positivo. La formazione tecnico- professionale ha un grande potenziale di sviluppo, che può essere alimentato da una crescente sensibilità sul tema.


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