Quanto pesa il sovraccarico cognitivo

Una ricerca di OpenText rivela che il numero sempre crescente di dati, la difficoltà di reperire informazioni e la mancanza di strumenti digitali adatti al lavoro ibrido incidono su livello di stress, prestazioni e soddisfazione professionale

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Sovraccarico cognitivo sul lavoro

Il sovraccarico cognitivo sul lavoro è fonte di stress: oltre un terzo dei professionisti in Italia (36%) non riesce mai a disconnettersi davvero.

Si tratta di un fenomeno più che raddoppiato dall’inizio della pandemia: nel 2020, infatti, solo il 16% degli italiani lamentava di non riuscire a “staccare”. Oggi, i dati evidenziano utenti sopraffatti principalmente dalle troppe password da ricordare (27%), dal numero eccessivo di app e fonti di dati da controllare ogni giorno (25%) e dall’invadenza dei social media (14%). Nonostante la diffusione del modello di lavoro ibrido, i dipendenti che ritengono di disporre degli strumenti tecnologici e digitali adatti per svolgere le proprie mansioni anche da remoto sono ancora meno della metà (44%).

Sempre e ovunque: il sovraccarico cognitivo 

I professionisti intervistati da OpenText hanno ammesso di utilizzare numerosi account, risorse, strumenti e app per gestire le informazioni. Il 60% di loro afferma di utilizzare almeno 6 strumenti di condivisione diversi al giorno, a dimostrazione del fatto che i dati necessari per portare a termine le attività quotidiane sono distribuiti su un numero sempre maggiore di fonti.

Per le aziende e i loro dipendenti, provare a gestire sia il volume sia la complessità delle informazioni può essere scoraggiante. La quantità di dati a disposizione, strutturati e non, sta aumentando esponenzialmente, ma le informazioni di per sé non sono la soluzione”, ha affermato Antonio Matera, Regional Vice President Sales Italy, Malta, Greece & Cyprus di OpenText. “La soluzione, invece, arriva smantellando i silos e centralizzando le informazioni. È quando vengono raccolte e gestite in modo fluido che si trasformano: emergono così modelli e trend, si scoprono insight e si prendono decisioni migliori. È questo il vantaggio informativo”.

Centralizzare le informazioni

Più di 1 italiano su 3 (36%) afferma di faticare a reperire le informazioni perché queste sono disponibili su diverse piattaforme, applicazioni o file. Se pochi (15%) ritengono che i colleghi non salvino correttamente i documenti, il 24% lamenta difficoltà a identificare le informazioni più recenti e aggiornate.

In base a questo, il 43% dei dipendenti ritiene che la grande quantità di informazioni abbia ripercussioni dal punto di vista del benessere fisico e mentale. Mentre il 35% afferma che le conseguenze riguardano principalmente le prestazioni lavorative. Da non sottovalutare anche il fatto che 1 italiano su 3 (34%) possa vedere compromesso l’equilibrio vita-lavoro. Il trend è confermato anche a livello globale, con il benessere psico-fisico influenzato negativamente dal sovraccarico cognitivo per quasi la metà degli intervistati (42%).

Che applicazioni usiamo?

La mancanza di strumenti adatti alla gestione delle informazioni sta iniziando a rappresentare un problema per molte aziende. Indipendentemente dal fatto che sia consentito o meno, oltre la metà dei professionisti italiani utilizza sistemi di condivisione file personali (OneDrive, Google Drive, WhatsApp e Dropbox) per l’invio di documenti di lavoro, poiché risulta più semplice e veloce. Tuttavia, tre quarti dei dipendenti (72%) lo fanno perché ritengono che la propria azienda non abbia policy che lo impediscano, nonostante i rischi elevati in termini di sicurezza dei dati e delle informazioni.

Non è tutto. Il 30% degli italiani afferma che una delle più grandi sfide è non avere lo stesso set-up in ufficio e a casa. Il 24%, poi, lamenta di non poter accedere facilmente ai documenti quando lavora da remoto e il 21% di non poter condividere file e informazioni con facilità quando lavora da casa. Rispetto alla media globale (12%), però, l’Italia rivela una delle percentuali più alte di lavoratori da remoto soddisfatti (21%), superata solo dal Giappone (26%).


Per ulteriori dettagli consultare il blog post sull’indagine.

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