Un alleato prezioso per il welfare statale

Il Quinto Rapporto del Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare approfondisce gli impatti che il Covid-19 ha avuto sul nostro sistema di welfare e il ruolo che attori privati, terzo settore, corpi intermedi e gruppi informali di cittadini hanno assunto per affrontare la crisi

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Secondo welfare e alleanza tra pubblico e privato

di Giorgia Andrei |

Si definisce secondo welfare quell’insieme di interventi che si affiancano a quelli garantiti dal settore pubblico per offrire risposte a rischi e bisogni sociali che interessano le persone e le comunità.

Dal 2011 questo ambito è studiato dal Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare dell’Università degli Studi di Milano, che svolge attività di ricerca, informazione, formazione e accompagnamento. Ogni due anni il Laboratorio pubblica un rapporto sullo stato di salute del sistema sociale italiano e sulle esperienze e dinamiche di secondo welfare sviluppate nel nostro Paese. Il Quinto Rapporto, intitolato “Il ritorno dello Stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia” è stato presentato a gennaio.

Un supporto in tempo di pandemia

Così si legge nella prefazione del Rapporto di Maurizio Ferrera, professore dell’Università degli Studi di Milano e Scientific Supervisor di Percorsi di Secondo Welfare. “La pandemia da Covid-19 ha provocato danni sociali enormi e creato un clima di allarme che le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale non avevano mai sperimentato. Questo Quinto Rapporto ben documenta il ruolo importante che il secondo welfare ha svolto in Italia durante la pandemia nei principali comparti che lo compongono. Il welfare aziendale territoriale, il welfare filantropico e il welfare di prossimità”.

Ferrara evidenzia come il secondo welfare abbia consentito e promosso un riposizionamento dei confini del welfare tra pubblico e privato, da una parte, e nazionale-locale, dall’altra. “Sul primo fronte, rilevanti sono stati l’attività dei fondi sanitari integrativi e le nuove opportunità di sviluppo del welfare aziendale promosse dai contratti collettivi nazionali. A livello decentrato, ciascuno dei tre comparti ha mobilitato risorse e competenze su un ampio ventaglio di settori. Il welfare aziendale ha contribuito a contenere i contagi tra i lavoratori, a mantenerne il reddito, a favorire la conciliazione tramite permessi e congedi ‘su misura’ e lo smart working. Le fondazioni filantropiche hanno messo a disposizione risorse finanziarie e know how, sostenendo iniziative di ‘cerniera’ fra attori pubblici e privati. Le associazioni intermedie e il Terzo Settore si sono mobilitati per espandere l’offerta di servizi sociali locali, nello sforzo di allinearla alla struttura dei bisogni. Più in generale, il secondo welfare ha contribuito ad attutire le conseguenze di quelle lacune che ancora caratterizzano il primo welfare italiano. Che riguardano il lavoro indipendente, i lavori atipici, i disoccupati di lungo periodo, gli inattivi senza sussidi, i non autosufficienti, gli immigrati”.

Un’opportunità per il welfare

La crisi pandemica in Italia ha portato il numero dei poveri assoluti a oltre 5,6 milioni, con una crescita di oltre 2 punti percentuali rispetto al 2019. Ha provocato la perdita di circa 1 milione di posti di lavoro e ha fatto crescere in modo significativo il numero dei lavoratori poveri. I sistemi sanitari e socioassistenziali sono stati messi sotto pressione e si sono acuite criticità già emerse con la crisi del 2008. In questa fase delicata, il secondo welfare ha avuto il merito di fornire aiuti tempestivi ai soggetti più in difficoltà, ma ha anche messo in evidenza alcune lacune strutturali. Tra queste, il rapporto evidenzia la frammentazione funzionale e organizzativa e la difficoltà a superare gli steccati, a lavorare in ottica sistemica.

Se confrontato con altre realtà europee, il nostro secondo welfare si caratterizza per una scarsa offerta di schemi di assicurazione sociale contributiva per i nuovi rischi emersi durante la pandemia e il lockdown, che ha costretto diverse realtà a sospendere l’attività. Come spiega ancora Ferrara: “In molti Paesi esistono già vari tipi di polizze assicurative che coprono il rischio di interruzione forzosa dell’attività. In Germania è coperto l’80% delle imprese, in Italia solo il 20%. Si tratta di assicurazioni private, dove non sono infrequenti pratiche di scrematura dei rischi. Anche qui si potrebbero fare dei passi avanti, passando a forme di assicurazione sociale collettiva, capaci di mutualizzare i rischi ‘catastrofici’ spalmandoli sull’intero bacino di imprese”.

Cogliere la sfida con il Pnrr

Mai come ora, tuttavia, possiamo cogliere l’occasione per recuperare terreno. Il Pnrr è infatti un’opportunità unica per rinnovare il sistema di welfare italiano. In particolare, la missione 5 del piano, con 20 miliardi da spendere entro il 2026 in ambito di Inclusione e Coesione, prevede sia l’accelerazione della riforma del Terzo settore, sia la valorizzazione funzionale dei Comuni e delle aree metropolitane. Sapremo coglierla? Risponde Franca Maino, professoressa associata dell’Università degli Studi di Milano e direttrice del Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare. “Nonostante i tentativi di riforma del welfare che si sono susseguiti negli ultimi anni, e che in alcuni ambiti hanno raggiunto importanti traguardi, dall’introduzione del Reddito di Cittadinanza all’Assegno Unico e Universale per i Figli, passando per la riforma del Terzo Settore, sono necessari ulteriori interventi per tutelare le aree di bisogno più scoperte e generare un reale cambiamento”.

Un’alleanza tra pubblico e privato

“Molti osservatori ritengono che la pandemia stia riportando in auge uno Stato sociale preponderante. Capace di mettere in campo risorse e competenze tali da tirare le fila di ambiti di intervento che per anni sono rimasti ai margini. La nostra impressione è, invece, che la crisi abbia dato ulteriore centralità ad attori non pubblici nei sistemi di governance multistakeholder. Chiamandoli ad agire secondo logiche d’azione responsabili, sostenibili e integrative rispetto al Pubblico”, dice ancora Maino. Se vogliamo parlare di ritorno allo stato sociale, lo dobbiamo quindi fare cambiando modello di riferimento e dando al Terzo settore il rilievo che merita.

Maino individua sei direttrici per realizzare il welfare del futuro:

  • migliorare il sistema della conoscenza e favorire la condivisione dei dati per intercettare bisogni e ridefinire scelte di policy;
  • rafforzare il sostegno ai gruppi vulnerabili per limitare le disuguaglianze e rafforzare l’inclusività;
  • introdurre o potenziare logiche e strumenti che favoriscano il coordinamento multilivello;
  • facilitare forme di cooperazione tra contesti territoriali, definendo linee guida coerenti con l’investimento sociale e le transizioni demografica, ambientale e digitale;
  • bilanciare gli obiettivi di breve periodo con le priorità a lungo termine;
  • coinvolgere i governi regionali e locali nell’attuazione territoriale delle strategie di investimento nazionali.

Come si legge nelle conclusioni del Rapporto, il modello da costruire, quindi, si dovrà basare “su un duplice equilibrio tra pubblico e privato, da una parte, e tra nazionale e locale, dall’altro. All’interno di una cornice in cui le interdipendenze tra Paesi e tra livelli di governo e di governance siano riconosciute come una leva strategica e siano rafforzate”.

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