Autonomi? Sì, ma che fatica

Un’indagine previsionale condotta da Inapp sulla condizione e le prospettive del lavoro indipendente ha evidenziato le questioni aperte che interessano l’ampia e articolata platea di lavoratori autonomi nel nostro Paese

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Lavoratori autonomi: indagine e webinar Inapp

di Virna Bottarelli |

L’Italia non sembra essere un Paese per lavoratori autonomi. Non perché ve ne siano pochi, anzi. Piuttosto, perché la vasta platea di lavoratori che non rientrano nella categoria dei “dipendenti” si muove in uno scenario denso di criticità.

È quanto emerge dall’indagine Delphi che Inapp e Censis hanno condotto nel 2021 sulla “galassia” degli oltre 5 milioni di lavoratori autonomi operanti in Italia. Coinvolgendo un panel di 11 esperti in tema di lavoro e impresa, l’indagine si è focalizzata su diversi punti di interesse per il mondo del lavoro autonomo. L’evoluzione del suo ruolo, l’impatto dell’emergenza Covid 19 su di esso, il quadro normativo di riferimento, il problema della rappresentanza, la portata dell’innovazione tecnologica e la formazione, intesa come elemento propedeutico allo sviluppo delle prospettive professionali del lavoratore autonomo.

Sostenere i lavoratori autonomi

Come spiega Domenico Barricelli, ricercatore Inapp, sociologo del lavoro e curatore dello studio: “Dall’indagine è emerso uno scenario che vede nel lavoro autonomo un asset importante per l’economia del Paese, nonostante l‘eterogeneità che lo contraddistingue. Come tale, la sua capacità di creare valore va tutelata e sostenuta. Soprattutto in considerazione dell’evoluzione che società e lavoro stanno vivendo nell’era digitale”. È infatti indubbio che sul lavoro autonomo influiranno sempre più “derive socioeconomiche e processi di innovazione”.

E che va tenuta alta l’attenzione su quelle situazioni di sfruttamento che nell’era delle piattaforme e della GIG economy sono un rischio più che concreto. L’indagine è stata presentata a dicembre, in occasione di un webinar che ha visto la partecipazione dei diversi esperti facenti parte del panel.

Polarizzazione, effetto covid e regole inadeguate

Il mondo del lavoro autonomo sarà interessato da una polarizzazione tra categorie più qualificate, già impegnate ad acquisire le nuove competenze digitali, e professioni più tradizionali e più lontane dal flusso ormai dirompente della digitalizzazione. Il rischio, per queste categorie, che si possono individuare, ad esempio, nel settore agricolo o nell’artigianato, è di ridurre la propria capacità di creare valore e di vedere una contrazione del proprio peso. Peraltro già indebolito da fattori come la scarsa propensione dei giovani a intraprendere determinati “mestieri”. “La trasformazione digitale creerà pressioni e divari settoriali e territoriali e sarà determinante intervenire per recuperare il ritardo digitale che contraddistingue le tante nostre piccole e medie imprese”, dice ancora Barricelli.

Lavoratori Autonomi: indagine Indapp sullo status al 2020

Cosa dire poi dell’effetto detonatore che la pandemia ha avuto sui lavoratori autonomi? La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha stimato che su 841 mila posti di lavoro persi tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo dell’anno precedente, ben 219 mila hanno riguardato il lavoro indipendente. Che è passato da 5,4 a 5,1 milioni di occupati, con un calo del 4,1%. Il panel di esperti ha un’opinione pressoché unanime: “Il Covid ha fatto emergere fragilità strutturali pre-esistenti, come l’inadeguatezza delle politiche di welfare a sostegno di questa categoria di lavoratori e, in generale, del quadro normativo di riferimento”.

I problemi dal punto di vista giuridico sono diversi e concatenati. Serve un sistema di welfare più ampio, che non discrimini tra lavoratore dipendente e indipendente. Ma al contempo è necessaria una semplificazione delle norme che regolano il lavoro autonomo. Ancora, occorre agire sul lato dei committenti, offrendo incentivi fiscali per i soggetti che attivano collaborazioni biennali o triennali con i lavoratori autonomi, ma è altrettanto fondamentale garantire a questi ultimi un equo compenso, elemento imprescindibile per stimolare una sana concorrenza.

Più valore al lavoro autonomo

“Una quota rilevante del lavoro italiano è rappresentata dal lavoro autonomo, ma a ciò non corrisponde una altrettanto importante attenzione nei confronti di questo mondo da parte delle istituzioni e delle forze sociali”, evidenzia Federico Butera, Professore Emerito di Scienze dell’Organizzazione e presidente della Fondazione Irso (Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi), membro del panel di esperti che ha lavorato all’indagine.

“Il nostro è ancora un Paese dominato dal lavoro dipendente. Le relazioni industriali sono centrate sul lavoro dipendente, la cultura è centrata sul lavoro dipendente, come se il lavoro autonomo fosse residuale e rappresenti qualcosa di incomprensibile e ingovernabile. È invece necessario sostenere il ruolo del lavoro autonomo lavorando sia sulla tutela degli individui sia sulla valorizzazione del comparto, tenendo presente che quella attuale è una società di servizi e che il lavoro autonomo è protagonista di questa economia. Mentre il mondo produttivo, industriale, ha conosciuto modelli rigorosi di organizzazione del lavoro, quello dei servizi non ha una corrispondente forza normativa, rappresentativa e regolativa. Ai servizi va però dato il peso che meritano, considerando che il lavoro autonomo è una componente strutturale di essi”.

Pietro Luigi Giacomon, past president di Cfmt (Centro di Formazione Management del Terziario), anch’egli membro del panel di esperti che hanno contribuito allo studio, commenta: “Per valorizzare il lavoro autonomo, per lo meno nell’ambito dei liberi professionisti, è necessaria una qualche forma di aggregazione. Per il lavoratore indipendente, aggregarsi significa aumentare la capacità di offrire dei servizi, valorizzare la propria identità e avere maggiori opportunità di professionalizzazione”.

Garantire il giusto compenso

Secondo Anna Soru, presidente di Acta, l’Associazione dei freelance, la svalutazione del lavoro autonomo parte da lontano e sta mettendo in grande difficoltà soprattutto quei professionisti operanti nell’area culturale e umanistica. “Un tempo le imprese esternalizzavano per avere una maggiore flessibilità di gestione, oggi esternalizzano quasi esclusivamente per risparmiare sui costi”. È quindi paradossale che si parli di una domanda in crescita di professionalità altamente qualificate quando, però, a professionisti di alto livello si offrono compensi di gran lunga inferiori a quelli riconosciuti all’estero.

Dice ancora Soru: “Nel nostro Paese tra alta qualifica e compenso dignitoso non c’è più una relazione diretta, soprattutto guardando ai profili professionali dell’area culturale e umanistica, che hanno in molti casi redditi irrisori. Credo sia necessario porre maggiore attenzione alla questione dei compensi e a quella della gestione delle casse previdenziali. Un altro elemento che concorre alle iniquità che contraddistinguono il mondo del lavoro autonomo rispetto a quello dei lavoratori dipendenti”.

Formazione a tutela della professionalità

C’è comunque un elemento trasversale anche in un panorama così articolato come quello emerso dall’indagine ed è quello della formazione continua. Riprendendo ancora le parole di Barricelli, “la professionalità è l’unico antidoto per contrastare il rischio di svalutazione del lavoro autonomo”. Per tutelare il proprio potere contrattuale nei confronti del committente, i lavoratori indipendenti devono investire in conoscenza e competenze, a prescindere dal settore particolare in cui operano o dal profilo che possiedono.

Se per alcuni professionisti già vige l’obbligo formativo, per altri occorre intervenire, rendendoli consapevoli dell’importanza della formazione e dell’investimento in conoscenza nell’arco della vita professionale. Come dice Fabio Massimo, presidente di Cna Professioni: “Oggi non esiste un lavoro per il quale la qualifica acquisita con un determinato titolo di studio rimane inalterata per tutta la vita. Il bisogno di formazione è continuo. Come Cna, con le nostre attività di supporto formativo e organizzativo, ci rendiamo conto della segmentazione all’interno del mondo del lavoro autonomo. Ci sono settori ad alta qualifica che se la cavano molto bene, altri a qualifica media che fanno più fatica e altri ancora, a bassa qualifica, che vanno protetti e guidati”.

Quali percorsi formativi

Diventa quindi prioritario trovare strumenti in grado di identificare il fabbisogno formativo dei lavoratori autonomi e promuovere la funzione strategica della formazione continua. Come? Lo studio Inapp individua due strade principali: azioni di awareness finalizzate ad accrescere la propensione individuale alla formazione, in un Paese dove i tassi di partecipazione degli adulti sono solitamente inferiori a quelli di altri Stati europei, e creazione di condizioni economiche e sociali che rendano la formazione agibile da parte dei lavoratori autonomi.

Non solo attraverso incentivi ma anche “organizzando il sistema di offerta in modo da governarne l’erogazione, certificarne svolgimento ed esiti, raggrupparla in favore della pluralità di lavoratori singoli e isolati che, diversamente da quanto accade per gli autonomi che esercitano professioni ordinistiche, confluiscono nella domanda aggregata di formazione senza alcun tipo di intermediazione”.


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