La verità sulle Grandi Dimissioni

Stiamo parlando di gente che si dimette per andare a stare meglio, per tentare una carriera, magari lasciando un settore che sa di stantio per curiosare in un mercato che sa di innovazione. Niente di grave, forse solo un “Gran Rimescolamento”, che ci invita però a riflettere e a moltiplicare gli sforzi per dialogare con dipendenti e collaboratori

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Grandi dimissioni: riflessioni e possibili azioni

di Marina Fabiano |

Parliamo di Grandi Dimissioni. Come tutti i megatrend che arrivano dagli Stati Uniti (dicesi “megatrend” il mix di eventi che portano al cambiamento sociale, demografico, ambientale e tecnologico – di solito li riconosciamo quando sono già talmente avviati che non li si possono più modificare, spesso ne veniamo travolti), da qualche tempo non stiamo solo assistendo alla fuga di giovani cervelli che scappano da un’Italia inospitale.

Un pò ci stiamo abituando. Figli che prima studiano all’estero, poi lì si collocano nel lavoro trovando soluzioni di grande soddisfazione, poi mettono su famiglia, e allora non tornano più. Ora il megatrend più chiacchierato pare quello dei giovani (ma anche meno giovani) che fuggono dal lavoro forzato. Dicono che la storia racconterà questo periodo intra-pandemico come l’epoca delle Grandi Dimissioni di chi il lavoro ce l’aveva ma l’ha buttato alle ortiche. Di chi ha mollato lavori soffocanti e mal pagati e di chi è fuggito da capi esasperanti e inetti; ma anche  di chi ha capito che si vive una volta sola (Yolo Economy – You Only Live Once), quindi basta sacrifici sotto forma di riunioni inutili e serate sprecate. Di chi si è detto ora o mai più ed ha spolverato passioni mai dimenticate.

Dicevamo: ecco una nuova tendenza che arriva da oltre oceano e sbarca sulle nostre già travagliate coste. In un Paese ormai anziano, dove i lavori manuali e faticosi sono già ampiamente snobbati (qui accenniamo al megatrend precedente: i nostri figli li mandiamo tutti a studiare perciò non si accontentano – diventano “choosy” – e credono di poter fare tutti i manager mentre abbiamo bisogno di operativi).

Grandi dimissioni per cercare fortuna

Sembra dunque che, nonostante parecchie aziende non riescano a stare in piedi e siano costrette a rinunciare a parte dei dipendenti (sì, è un eufemismo), nonostante diverse organizzazioni millantino centinaia di prossime assunzioni che poi non concretizzano, parecchie persone fuggano dal lavoro cercando fortuna, soddisfazione e serenità altrove.

L’altrove non è ben specificato. Sì certo, qualcuno lo farà, qualcuno che ha carte in regola, competenze indiscusse e capacità riconosciute per poterselo permettere. Qualcuno che ha spalle coperte, finanziariamente parlando, per sopravvivere dignitosamente intanto che getta le basi per rendere solido il proprio sogno nel cassetto: ma saranno poi così tanti da creare un trend? Certo, parliamo di percentuali rilevanti, se paragoniamo il 2021 al 2020. Però mi sembra evidente che le costrizioni dovute al lockdown, le conseguenti riflessioni durante un faticoso smart working in troppa solitudine o in faticosa compagnia, con altri fattori più o meno esterni, abbiano fortemente contribuito a muovere alcune persone verso un voluto quanto deciso cambiamento.

Vedo in posizioni opposte tanti liberi professionisti non per scelta che darebbero un braccio per avere un lavoro da dipendente. Così come tanti dipendenti che approfittano del pregiato smart working per lavorare seriamente il meno possibile. E per fortuna tantissime persone che lavorano con intensità, dedizione e soddisfazione. È ovvio che per ogni Gran Dimissionario l’azienda ha due opzioni: o brinda alla propria buona sorte perché stava proprio pensando di dover ridurre i costi, o si mette alla ricerca di un sostituto. Ed è altrettanto ovvio che un sostituto costerà in formazione e adeguamento dell’operatività. Ma spesso porterà un risparmio salariale, specialmente se chi cede il posto era di livello senior.

Riflessioni personali

È pur vero che le riflessioni personali e i buoni propositi di questo difficile periodo hanno portato a rivedere le proprie necessità. Forse vivo bene lo stesso senza tutti quei vestiti, sicuramente pranzando a casa mi nutro meglio e risparmio, probabilmente gestisco meglio il mio tempo e le mie priorità. Evito i costi dei trasporti e altri non trascurabili risparmi dovuti alla vita da reclusi. Il connubio meno stress-migliori finanze ha fatto il resto. Siamo consapevoli che in generale molti dipendenti rimangono dove sono solo perché i costi di lasciare sono più alti di quelli di restare, ma nell’ultimo anno questa situazione è cambiata.

I costi del rimanere, anche quelli inespressi, sono aumentati a causa del burn out, della depressione da incertezza. Mentre si sono abbassati i costi del lasciare perché la pandemia ha consentito a molti di ridurre le proprie spese, ripagare i debiti e risparmiare denaro. La combinazione di un livello di stress più alto e di una maggiore stabilità finanziaria è la ricetta perfetta per un maggior numero di dimissioni. E allora forse sarebbe meglio parlare di “Gran Rimescolamento”. Gente che si dimette per andare a stare meglio, per tentare una carriera, per inseguire una nuova avventura. Magari lasciando un settore che sa di stantio per curiosare in un mercato che profuma di innovazione.

Questo è un punto di lettura interessante: le persone sanno identificare i mercati in decrescita, quelli che si stanno inesorabilmente spegnendo e sono attratte dal nuovo, dalle scommesse, dai settori in prossima esplosione. Prima si arriva, meglio si alloggia, soprattutto se il cambiamento viene annoverato in ulteriore esperienza da inserire nel curriculum. In sintesi, dopo un lungo periodo di immobilismo, in cui chi aveva un lavoro da dipendente se lo teneva stretto anche a costo di ingoiare qualche rospo, molte persone stanno trovando il coraggio di cambiare, più o meno rischiando. Da qui il Gran Rimescolamento.

Quindi? Che ci facciamo con questa notizia?

Se io fossi un’azienda e subodorassi insoddisfazioni e irrequietezze, moltiplicherei gli sforzi per ascoltare e dialogare con i miei dipendenti. Tiro l’acqua al mio mulino se dico “facendo buon uso delle competenze del coaching”? Dico però una vera verità. Le persone di talento, quelle a cui le aziende tengono particolarmente perché hanno mentalità da imprenditori pur stando all’interno, potrebbero essere le prime a voler cambiare aria. Mettendosi in proprio o mettendo le proprie capacità al servizio di organizzazioni più interessanti. È dunque consigliabile che i manager sappiano di coaching per essere capi accoglienti (non respingenti, o troppo decisionisti o semplicemente poco attenti).

I cosiddetti gregari (persone che lavorano bene in secondo piano) avranno necessità di essere ancor più motivati a contribuire a tutta forza, senza lasciarsi irretire da facili sirene del mondo esterno. Sarà estremamente utile comprendere le ragioni che potrebbero invogliare i collaboratori a lasciare l’azienda per intraprendere altre carriere, nello stesso mercato o in settori diversi. Non certo per denigrare la concorrenza, qualunque essa sia, bensì per cogliere i segnali di ripensamento. (“Questo è il mio sogno nel cassetto, penso di averne le capacità o di sapere come/ dove acquisirle, ho il coraggio di lasciare la vecchia comoda vita per una nuova sconosciuta avventura, o forse è meglio che ci rifletta ancora un pò, che raccolga più informazioni/idee prima del salto nel vuoto”).

Se poi il cambiamento riguarda soltanto un’altra azienda con mansioni probabilmente migliorative, creare il senso di appartenenza, l’ambiente confortevole e coinvolgente, non sarà poi così complicato, per un manager- allenatore che sappia il fatto suo.

Generazioni in crescita

Un recente rapporto di Microsoft, che ovviamente rispecchia una realtà prettamente americana, ma che non dobbiamo assolutamente sottovalutare, si concentra sulle generazioni più giovani. Quelle che sono entrate nel mondo del lavoro prive di relazioni umane, relegate nel loro smart working, spesso con formazione contenuta. Questi lavoratori non sono educati al posto fisso, non sentono certo l’attaccamento all’azienda né sono già orientati al costruirsi un futuro. Fanno esperienze, imparano, vivono, pronti a slanciarsi su nuove opportunità. Del manager di riferimento che ricopre un ruolo primario, abbiamo già detto. Non dimentichiamo che nell’ottica del risparmio, spesso le aziende tendono ad occupare meno dipendenti del necessario, sobbarcando così i lavoratori di momenti, talvolta infiniti, di superlavoro.

L’invasione degli strumenti tecnologici, delle scrivanie digitali, costringe inoltre ad avere tempi di azione/reazione molto stretti, quasi senza soste, tra riunioni online estremamente impegnative e controlli della produttività che rasentano la schiavitù. Davanti al computer come alla catena di montaggio, lo stress si moltiplica e innesca domande (Che ci faccio qui? Ma davvero voglio passare il resto della mia vita lavorativa in queste condizioni affaticanti? Dove sono i caffè alla macchinetta per relazionarsi e farsi due risate? E l’aperitivo a fine giornata? E i momenti di formazione, scambio, colloquio con capi e colleghi?).

La pandemia ha lasciato un aumento della complessità relazionale e produttiva. Le persone prima sono state costrette all’isolamento, poi hanno scoperto che anche in questa condizione ci sono dei vantaggi, ora vorrebbero trovare un equilibrio sano che permetta loro di avere – anche – una normale vita personale. Il famoso work-life balance, tanto raccontato, mai seriamente applicato, ora agognato.

Libertà emotiva nelle grandi dimissioni

Siamo diventati più umani, in questo complicato periodo, vogliamo poter esprimere liberamente le nostre emozioni, vogliamo essere più autentici senza andare a sbattere contro le solite realtà prosaiche. Sembra che ci si diverta a fare della dietrologia, vogliamo trovare spiegazioni tecnico-scientifiche in ogni accadimento, perché mai? Per imparare dagli errori e non ripeterli, direte voi. Sì certo, nelle favole succede così, nella realtà molto meno. Alla fine, misurando tra un pò, i Grandi Rimescolamenti saranno più o meno in linea con alcuni tempi passati, qualcuno si inventerà la vita che vorrà (“Uno su mille ce la fa” – cantava qualcuno), molti cambieranno settore/azienda/mercato perché avranno trovato condizioni migliori o si saranno fatti incantare da sirene ingannatrici.

Sta a noi guardare i fenomeni emergenti, soppesarli per quello che sono, magarli usarli per uscire dal torpore provocato da elementi esterni in cui non vogliamo restare intrappolati.

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