Marco Biagi: una capacità di visione che oggi manca

Il 19 marzo ricorre il ventesimo anniversario dell’assassinio del giuslavorista. Adapt lo ha ricordato con un incontro dal titolo “Marco Biagi, vent’anni dopo”. Il ministro Orlando: “La sua ambizione riformista, la sua capacità di guardare ai cambiamenti di fondo della società sono l’eredità che oggi dobbiamo raccogliere con energia e coraggio”

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Orlando - Biagi

di Virna Bottarelli | Si è tenuto presso il Cnel l’incontro “Marco Biagi, vent’anni dopo”, organizzato da Adapt in memoria del giuslavorista assassinato dalle Brigate Rosse il 19 marzo 2002. Moderato da Alberto Orioli de Il Sole 24ORE, l’evento ha visto la partecipazione dei ministri Andrea Orlando e Renato Brunetta, di Maurizio Sacconi, Debora Serracchiani e Tiziano Treu.

Marco Biagi: convegno Adapt a 20 anni dalla scomparsa

A tracciare il profilo di Biagi come di un giuslavorista che ha avuto il merito di “andare ai confini del diritto del lavoro, sondando anche quei territori nei quali le leggi non arrivavano”, è stato Michele Tiraboschi, professore di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, coordinatore scientifico della Scuola di alta formazione in Relazioni Industriali e di lavoro di Adapt. Citando gli scritti più significativi del professore bolognese, il primo dei quali datato 1978, Tiraboschi ne ha ricordato l’impegno per una nuova cultura del lavoro e sindacale. “Marco era convinto della centralità dei corpi intermedi, di una rappresentanza viva, capace di leggere il cambiamento sociale”, ha detto Tiraboschi. “Voleva un nuovo diritto del lavoro, un diritto che fosse anche progetto di trasformazione sociale”.

La portata innovativa del suo pensiero è stata ribadita anche da Tiziano Treu, presidente del Cnel, che negli anni Novanta ha lavorato a stretto contatto con Marco Biagi. “Il suo metodo comparativo e la sua vocazione a misurare il diritto sulla base di risultati reali, la sua fiducia nel dialogo e nella partecipazione sono caratteristiche che si adatterebbero perfettamente al mondo del lavoro di oggi, così lontano dalla fissità alla quale ci aveva abituati il XX secolo”, ha detto Treu. “I giuristi sono sempre stati ‘ossessionati’ dal rapporto tra datore di lavoro e dipendente, mentre Biagi aveva compreso che il diritto del lavoro si gioca anche sul piano del mercato del lavoro e che questo stesso mercato stava cambiando. È nostro compito fare tesoro del metodo, della visione e della tecnica di Biagi e guardare la realtà con i suoi occhiali, volgendo lo sguardo in avanti come aveva saputo fare lui”.

Maurizio Sacconi, che preside l’Associazione Amici di Marco Biagi, ha aggiunto: “Marco Biagi è stato tra i primi a intuire la fine di un certo tipo di organizzazione del lavoro e a puntare l’attenzione sulla necessità di passare da una tutela difensiva del posto di lavoro a una tutela del lavoratore basata sull’apprendimento continuo e pensata per proteggerlo nel momento in cui una competenza viene meno”.

Debora Serracchiani, deputata del Partito Democratico e membro della Commissione Lavoro alla Camera, ha suggerito di riprendere l’esperienza del Libro Bianco di Biagi nel campo delle politiche attive del lavoro: “Per anni abbiamo dovuto fare riforme a costo zero, mentre oggi abbiamo la grande opportunità, con il Pnrr, di avere delle risorse a disposizione. Potrebbe essere il momento di un Libro Bianco per le politiche attive, che affronti la sfida delle nuove competenze richieste dal mercato del lavoro”. 

Dopo il commosso ricordo del ministro Brunetta, che ha detto quanto oggi Biagi, con la sua capacità di pensiero, sarebbe prezioso per affrontare una realtà di “fatti mai visti prima”, è stato il ministro Orlando a fissare tre ragioni per le quali la lezione impartita dal promotore della Legge 30 è ancora attuale: “La prima ragione riguarda una consapevolezza del limite del giurista quando si occupa di lavoro. Per Biagi il diritto del lavoro non è un diritto qualunque calato nella realtà: lui stesso diceva che ‘non si può studiare il profilo giuridico del mondo lavoro senza avere riguardo dei contributi offerti dalle altre materie’. Il secondo aspetto è la sua capacità di allargare gli orizzonti, grazie a un’esperienza scientifica che si è nutrita della comparazione con l’esperienza di altri Paesi. La terza considerazione riguarda l’ambizione di legiferare non solo per regolare la situazione in essere, ma per normare anche quello che verrà. Di questa visione prospettica, che si sforzi di capire come il lavoro cambierà in un tempo più lungo, abbiamo oggi un grande bisogno, se è vero che nel prossimo ventennio assisteremo a un cambiamento maggiore di quello avvenuto negli ultimi 150 anni. Ecco perché dobbiamo chiederci quanto una normativa di dettaglio, rispetto a una normativa di principio, possa ancora reggere. Purtroppo, si rischia di essere travolti dalle emergenze, come effettivamente è successo negli ultimi tempi, e di aggrapparsi a ciò che ci rende più sicuri, mentre dovremmo lavorare su ciò che è più utile”.

Secondo Orlando, infine, è importante tenere vive l’ambizione riformista e la capacità di guardare ai cambiamenti di fondo che hanno contraddistinto il lavoro di Biagi: “Dobbiamo farlo con quell’energia e quel coraggio che ebbero Biagi e gli altri giuslavoristi colpiti dal terrorismo per aver provato a introdurre una visione, un processo di umanizzazione del lavoro. E ne saremo all’altezza solo se il dibattito politico e istituzionale sapranno avere uno sguardo lungo sul futuro”.


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