Neuromanagement: prospettive inedite e sorprendenti

Le neuroscienze ci permettono oggi di lavorare meglio sulle nostre performance, sullo stile di direzione manageriale e sull’engagement dei nostri collaboratori

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Neuromanagement: perché ci può aiutare

di Luca Erba |

Perché parlare di neuromanagement? Chi lavora come manager in azienda sa che esistono dei meccanismi, praticamente automatici, funzionanti sia a livello del singolo sia di team, che possono facilitare o meno l’organizzazione e la gestione delle persone e del business in generale.

Pensiamo, ad esempio, ai bias e alle “scorciatoie” che il nostro cervello adotta per essere più veloce ed efficiente. Sono utili percorsi che, generalmente, ci fanno risparmiare tempo ma, a volte, potrebbero anche portarci lontano dai nostri obiettivi. Questi bias, in effetti, influiscono continuamente sull’idea che ci facciamo di cose e persone. Interagiscono con i nostri giudizi e impattano sulle decisioni che prendiamo e sul livello e qualità delle nostre relazioni personali e professionali.

Consapevoli di tutto questo, la domanda che è doveroso porsi è, quindi: come possiamo cogliere le opportunità e i benefici di questi meccanismi evitandone le criticità? Le neuroscienze, ad esempio, ci offrono un valido aiuto e ci consentono di lavorare meglio sulle nostre performance, sullo stile di direzione manageriale e sull’engagement dei nostri collaboratori. Questo, nella pratica, permette di ottenere benefici in ogni area aziendale e, soprattutto, nell’ambito delle partnership con gli stakeholder e nel livello di soddisfazione del consumatore.

Il neuromanagement

L’applicazione delle neuroscienze ai contesti aziendali ci permette, dunque, di migliorare le performance aziendali, il clima e il benessere sul luogo di lavoro e la produttività delle relazioni. Si ottengono, in questo modo, performance superiori alla media e un eco-sistema aziendale propositivo, centrato sui talenti, sulle qualità, sul valore aggiunto e sul cambiamento organizzativo.

Per garantire questa evoluzione, abbiamo però necessità di riconsiderare e rivedere molti degli strumenti che attualmente utilizziamo. Serve “creare spazio”, abbandonando convinzioni e credenze limitanti per abbracciare in maniera scientifica nuove prospettive di lavoro, “misurando” i risultati ottenuti e il cambiamento delle nostre abitudini organizzative. Atteggiamenti e comportamenti consapevoli, supportati da strumenti neuro manageriali, generano così performance e conoscenze utili per sostenere e motivare processi di eccellenza operativa e organizzativa.

Il neuromanagement aiuta quindi le organizzazioni ad analizzare l’approccio del sistema di competenze e dei modelli di performance utilizzati, al fine di concentrarsi sulle potenzialità e sull’importanza di tutte le competenze soft che spesso sono difficili da “valutare” con sistemi standard. A solo titolo di esempio: capacità di leadership, di gestione dei rapporti con gli altri, di lavoro di gruppo e di risoluzione di conflitti. L’adozione del paradigma neuroscientifico del neuromanagement contribuisce, quindi, all’individuazione dei talenti, alla comprensione delle dinamiche che generano valore all’interno delle organizzazioni e allo sviluppo organico delle pratiche per ottenere i risultati desiderati.

Negli ultimi anni, la pratica neuroscientifica ci ha fornito numerose evidenze sia in ambito di management sia nell’ambito dei rapporti con il mercato. Grazie a queste analisi, possiamo incrementare l’efficacia delle dinamiche relazionali e commerciali. L’obiettivo ultimo che ogni organizzazione vuole conseguire, quindi, l’aumento della produttività, dell’efficienza e dell’efficacia delle proprie attività. Proprio per questa ragione, un’applicazione pratica e misurabile delle neuroscienze si è rivelata utilissima nei contesti commerciali. Stiamo parlando del neuroselling.

Dal neuromanagement al neuroselling

Recentemente, insieme a Margherita Minazio, Marketing and Sales assistant in TDK, società giapponese che si occupa di produzione e commercializzazione di componenti elettronici, abbiamo avuto l’occasione di riflettere su questa disciplina. Un tema che sta guadagnando sempre più visibilità grazie ai risultati e agli output che, concretamente, ci permette di ottenere.

Il neuroselling permette l’applicazione pratica delle neuroscienze alle relazioni aziendali, allargando la prospettiva e la stessa definizione di “cliente”, termine che non rappresenta più i consumatori finali del prodotto, ma piuttosto tutti gli stakeholder aziendali. Grazie all’applicazione degli strumenti di neuroselling, è possibile garantire una maggiore inclinazione del target rispetto a un prodotto o servizio. E, soprattutto, è possibile evidenziare le caratteristiche e la bontà dello stesso, anche nel momento in cui non sia direttamente desiderato dal cliente finale.

Il neuroseller, quindi, guida l’acquirente verso ciò che è maggiormente conveniente per lui. L’obiettivo è instaurare un rapporto di fiducia duraturo, che va oltre la conclusione di un singolo accordo/contratto. L’applicazione del neuroselling rappresenta un investimento a lungo termine. Per sfruttare al massimo le sue potenzialità, è fondamentale attivare l’ascolto del cliente, l’analisi delle sue parole e della comunicazione non verbale. Non si tratta però di manipolazione. Anzi, al contrario, permette di conoscere i reali problemi nel merito, e la percezione che di essi ne hanno i nostri target. Facilita, quindi, il design di soluzioni che sanno coniugare aspetti funzionali con l’estetica e l’ecologia delle scelte del consumatore.

Osservazione e ascolto

Il vero asset del neuroseller, quindi, è l’allenamento all’osservazione e all’ascolto profondo. Le informazioni ricavate sono poi unite alle conoscenze del funzionamento del nostro cervello per confezionare la giusta offerta, calibrata sui “needs” del potenziale compratore. La sua vera mission è quindi plasmare approcci innovativi e ad hoc per ogni cliente.

Il miglioramento ottenuto nella soddisfazione dei clienti, ovviamente, incide poi positivamente sul numero di vendite realizzate e sulla durata dei rapporti di business. Per essere molto concreti, attraverso l’utilizzo di strumenti di rilevazione e osservazione come il facial coding e il tracking del movimento del mouse dei clienti, è possibile ottimizzare il sito della propria azienda rispetto ai desideri degli utenti. L’esperienza positiva e attraente del target sul sito permette il raggiungimento di un importante aumento delle vendite, pari ad esempio al 24% nel caso di un sito di un’agenzia turistica.

Dalle considerazioni presentate, risulta sempre più evidente e necessario conoscere e utilizzare gli strumenti, le informazioni e gli apprendimenti che il neuromanagement e le neuroscienze ci offrono affinché ci si possa focalizzare sulla comprensione delle relazioni autentiche tra persone, team, organizzazioni, prodotti, servizi, scelte e decisioni. I risultati ottenuti, ad oggi, sono davvero incoraggianti: siamo a un passo dal poter abbracciare e diffondere una cultura organizzativa aperta all’ascolto, tollerante, efficace, orientata a una dimensione di cura e di coinvolgimento attivo. Quale sarà il vostro prossimo passo per poter realizzare tutto questo?


L’autore

Luca Erba è Co-founder e Head of Research and Development di Disclose srl. Una start-up che si occupa di formazione e che ha sviluppato un nuovo concept che aiuta le organizzazioni ad agire sui talenti.

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