Non i soliti comportamenti

Uno sguardo alle capacità emergenti, diverse dalle abilità del passato, che si traducono in quei comportamenti che saranno necessari per le professioni del futuro.

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di Marina Fabiano |

Mentre eravamo chiusi in casa, chi più chi meno, il mondo ci è cambiato intorno. Sì, lo so, l’hanno già detto in tutte le salse. Però. Tornare al mondo lavorativo che praticavamo potrebbe essere molto diverso da ciò che conosciamo, da ciò che ci aspettiamo o persino da ciò che potremmo immaginare.

È in arrivo un gioco completamente nuovo, per il quale probabilmente avremmo bisogno di abilità diverse, alcune delle quali ci potrebbero sorprendere. Per fortuna, sembrerebbe proprio che buone percentuali di aziende – grandi, medie o piccole – stiano pianificando nuove assunzioni e investimenti per riprendersi dalle enormi perdite subite durante l’indispensabile stallo pandemico.

Ottime notizie per chi si addentra ora nel mondo del lavoro, per chi è molto provato (e pure annoiato) dallo stiracchiarsi della propria carriera, o per chi è costretto a fare di necessità virtù, essendo magari incappato in alcune delle numerose ristrutturazioni aziendali dell’ultimo periodo.

Una delle maggiori società di ricerca e selezione di personale, Monster, ha appena pubblicato un report piuttosto interessante. Dalla lettura di questo report emergono parecchie utili informazioni, ma soprattutto salta all’occhio che le nuove assunzioni richiederanno abilità un filo – o parecchio – diverse da quelle a cui ci siamo assuefatti durante il nostro poco squillante passato professionale. Come si suol dire: “ciò che ti ha portato qui, non ti porterà laggiù”.

Sarebbe bene, dunque, dare un’occhiata priva di pregiudizi a queste capacità emergenti. Capacità che si traducono in comportamenti, esercitati e allenati in modo consapevole. Non che prima fossero sconosciuti o poco praticati, ma ora acquisiscono una rilevanza maggiore; perciò sarà bene capire, riflettere, assimilare: cioè cambiare posto alle priorità.

Ambiguità

Saper dialogare con l’ambiguità, piuttosto che essere in grado di esercitarla. Non guardiamo all’ambiguità come termine negativo, cioè essere falso, tenere il piede in due scarpe.

Vediamolo invece come espressione di allineamento al cambiamento vorticoso e rapido che diventerà la nuova normalità. Noi che siamo abituati ad agire riflettendo accuratamente, analizzare le diverse opzioni disponibili, raccogliere molte informazioni prima di decidere, dovremo invece muoverci in velocità, assumendoci dei rischi (calcolati? forse, se ne avremo il tempo), cambiando idea se lo riterremo opportuno. La capacità di cambiare idea o direzione, in base a nuove informazioni sopraggiunte, è forse la miglior interpretazione del concetto di ambiguità: non solo per quello che riguarda il nostro agire, ma anche per ciò che concerne i gruppi di lavoro nei quali opereremo. Ad esempio, contrastare un cambiamento perché ormai si era deciso così, senza considerare le nuove varianti che potrebbero portare a svolte repentine, non risponde all’abilità di cui stiamo parlando. L’ambiguità non conosce noia, né assuefazione, né rassicurazioni.

Curiosità

Instancabile curiosità è compagna del cambiamento continuo. La nuova descrizione di curiosità è stata definita “capacità di hackering”. Al di là della vecchia traduzione (l’hacker come esperto di informatica in grado di penetrare nei sistemi operativi più blindati e fare danni), oggi scopro da una collega professionista di comunicazione digitale, Mafe De Baggis, che ci ha pure scritto più libri, che il termine descrive perfettamente il curioso intelligente, quello che non si dà pace finché non capisce il funzionamento delle cose e dei sistemi, cerca di migliorarli senza farsi condizionare da regole e convenzioni. Più che una semplice abilità, essere curiosi in questo senso diventa una propensione, un modo di apprendere senza accontentarsi delle prime risposte, uno scavare alla ricerca del diverso che può fare la differenza tra il solito e l’innovativo. Nel primo capitolo del libro che parla degli hacker, Mafe De Baggis spiega come ha fatto l’autrice a identificare la sua definizione, in un modo insolito, ma esemplare, dell’abilità che racconta la nuova curiosità che stiamo descrivendo.

Apertura

La dichiariamo parecchio, la nostra presunta apertura – al cambiamento, alle novità, alle opinioni ed idee altrui – ma poi facciamo di tutto per mantenere lo status quo, buttandoci nella mischia soltanto quando ne siamo costretti, rimanendo in ogni caso poco convinti fino a prova contraria. Per di più, ci circondiamo di persone che la pensano come noi, di informazioni che rispecchiano il nostro pensiero, creando una bolla di similarità che ci convince che siamo nel giusto. Esercitare una vera apertura significa saper ascoltare pareri discordi sospendendone il giudizio, accettare compromessi sensati, mixare con ambiguità ciò che la curiosità ci avrà portato a scoprire. Il cerchio comincia a prendere forma?

Imprenditorialità ed empatia

Due capacità in una. L’imprenditorialità, adattabile a situazioni di autogestione lavorativa e pure da dipendenti d’azienda, significa saper individuare i cambiamenti dei mercati in cui operiamo, comprendendoli. L’empatia è necessaria per accogliere e capire le necessità, i desideri dei clienti, senza farsene sopraffare, ma anche senza ignorarli. Messe insieme, queste abilità permettono – alla grande – di scoprire nuove opportunità e di beneficiarne. Da qui in poi si tratta di prendersi dei rischi, se sarà il caso, per offrire al mercato le novità che produrranno nuovo valore per il futuro, che in troppe situazioni si spegne da solo all’insegna della cecità. Applicabile in micro e macro scenari.

Resilienza

Da parola sconosciuta a competenza sovra stimata, il passo è stato breve. Alla fine, l’essere umano è adattabile al cambiamento obbligato, anzi, se costretto lo abbraccia e se ne lascia travolgere, scoprendo poi di aver fatto un grandioso balzo in avanti. L’esperienza dell’uso della tecnologia nel tempo della pandemia è un ottimo esempio. Che sia piaciuto o no, moltissime persone si sono date da fare per accogliere il digitale come compagno di quotidianità, imparandone rapidamente – non senza fatica – utilizzi e vantaggi, evitando di tornare indietro. Per acquisire resilienza, spendibile in occasioni ben più disastrose dell’innovazione tecnologica, occorre saper riconoscere le nuove informazioni utili, comprenderle, reinventare, risolvere momenti di stallo o di caduta.

Ottimismo e inventiva

È chiaro che il pensare positivo aiuta. Se ci fermiamo a cercare le colpe di ogni problema non ne usciamo più e rendiamo la vita infelice a noi e agli altri. L’ottimismo aiuta a focalizzarci sulle potenziali soluzioni degli inciampi; la capacità di immagine orienta le decisioni in base alle conseguenze che saremo in grado di vedere.

Relazioni

Quant’è importante circondarsi di persone che abbiano da insegnarci è presto detto. Se abbiamo intorno gente che sa poco, daremo molto ma non impareremo granché. Probabilmente saremo pure dei leader osannati, ma che ce ne faremmo dell’ammirazione altrui se non potremo accrescere il nostro sapere? Diventa proficuo per tutti, invece, creare gruppi relazionali in grado di confrontarsi e scambiare idee e informazioni alla pari, persone di cui ci fidiamo, da cui apprendere, a cui insegnare. Anche a distanza, naturalmente, in modo rapido e incisivo, direi virtuale. Dimentichiamo le antiche relazioni di lenta costruzione, qui siamo nell’epoca dell’immediato, della generosità intellettuale in cambio di nuovi apprendimenti.

Capacità di azione

Il futuro non appartiene a chi si lamenta e critica. Non so dove l’ho letto, ma mi appare in testa ogni volta che vedo affrontare un problema con la formula del “bisognerebbe”. Problema, soluzione, azione (chi fa cosa, come, quando): facile, no? D’altronde, vedere persone che agiscono provoca emulazione.

Quindi

Le competenze studiate in passato servono sempre, ma costituiscono la base su cui costruire le nuove abilità del futuro. Probabilmente ne scopriremo di nuove, se agiremo sforzandoci di migliorare continuamente. Per mantenerci mentalmente allenati, se non altro.

UN VERO LIBRO SUL COACHING

“Perché devo provare sempre questo terribile bisogno di far sì che gli altri vedano le cose come le vedo io?” C’è sempre una frase, nei libri dei coach che cercano di regalare un po’ del loro sapere, che è capace di attirare l’attenzione, di creare relazione e riconoscimento. Da lì in poi, il viaggio è un unico spunto di riflessione, un riconoscimento continuo.

Perché “La Mappa e la Via”, manuale di Mario Maresca e Paolo Palazzo edito da FrancoAngeli, è pieno di esempi, casi, elementi visti o vissuti o di cui abbiamo sentito dire. Trovo qui un concetto inusuale nei libri che parlano alle aziende, o meglio, ai loro manager: la piacevolezza. E subito riconosco l’aggettivo, è quello che dovrebbe, anzi sarebbe bello se accompagnasse le nostre vite lavorative. Quanti sono contenti, tutte le mattine, di iniziare una piacevole giornata, produttiva, fatta di attività ben eseguite, di obiettivi ben chiari, di riunioni con buoni risultati? Quanto è vero che molto del lavoro fatto bene passa dalle relazioni ben costruite e alimentate? Maresca e Palazzo raccontano, approfondiscono, rendono chiari i pensieri e le azioni che potrebbero aiutare a relazionarsi meglio, più proficuamente, con capi, colleghi, collaboratori.

Alla fine, oltre a trarre ognuno i propri vantaggi emozionali e pratici, le aziende stesse conseguirebbero risultati ben interessanti, in ambiti diversi, contigui e conseguenti. Oltre alle molte storie e ai molti esempi, il libro offre una mappa preziosa – la “Working Relationship Map” – uno strumento utilissimo, applicabile anche alle relazioni personali, mi vien da dire, ma con cautela. Tutto sommato, le relazioni che allacciamo professionalmente possono interferire fino a un certo punto nella nostra vita; le relazioni personali, invece, talvolta sono inestricabili, vanno valutate più profondamente, e magari con supporti esterni.

Oltre a offrire uno strumento eclettico, sottolineo la validità del manuale anche per le mille domande e i molti esercizi suggeriti. Una lettura adatta a chi di Coaching ne ha almeno un’infarinatura, ma interessante anche per coach di una certa esperienza: nuovi spunti non fanno mai male. Un libro pratico, con i piedi per terra, che si fa leggere con piacevolezza.

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