Assegno temporaneo: mossa vincente o fallimento preannunciato?

Come previsto dalla legge delega n. 46/2021 questa misura avrebbe dovuto vedere la luce il 1° luglio 2021, salvo poi essere rinviata a gennaio 2022. L’avvio era la prima delle novità attese del Family Act, ma i ritardi per l’adozione dei provvedimenti attuativi, accanto al nodo delle risorse disponibili hanno reso necessario adottare una soluzione temporanea.

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Il decreto-legge in esame (D.L. n. 79/2021) recante “Misure urgenti in materia di assegno temporaneo per figli minori” rappresenta una misura “ponte” che temporaneamente accompagnerà le famiglie alla vera e propria entrata a regime dell’Assegno universale e unico per ogni figlio, che avverrà a gennaio 2022.

Come previsto dalla legge delega n. 46/2021 questa misura avrebbe dovuto vedere la luce il 1° luglio 2021, salvo poi essere rinviata a gennaio 2022. L’avvio era la prima delle novità attese del Family Act, ma i ritardi per l’adozione dei provvedimenti attuativi, accanto al nodo delle risorse disponibili hanno reso necessario adottare una soluzione temporanea.

Se nel cronoprogramma iniziale si parlava di una partenza generalizzata dal 1° luglio 2021, il Governo disegna un percorso per tappe, che inizialmente aprirà le porte del nuovo strumento di sostegno di carattere universalistico solo per chi attualmente non percepisce gli assegni al nucleo familiare. Questi ultimi, invece, continueranno ad essere corrisposti alle famiglie di lavoratori dipendenti e assimilati ma saranno incrementati per il periodo da luglio a dicembre 2021.

Aiuti insufficienti

La misura va nella direzione più volte indicata ed auspicata dallo scrivente Consiglio nazionale perseguendo la finalità, almeno per ciò che attiene al supporto ai bisogni familiari, di limitare le diseguaglianze, nel sistema di protezione sociale del nostro Paese, esistenti tra differenti tipologie di lavoratori, acuite dall’emergenza epidemiologica da Covid-19.

L’esperienza di quest’ultimo periodo, ha fatto emergere con chiarezza l’inaccettabilità di politiche di sostegno al reddito indirizzate esclusivamente ai lavoratori subordinati.

I dati che emergono dall’Indagine Straordinaria sulle famiglie italiane, condotta dalla Banca d’Italia (Principali risultati della seconda edizione dell’indagine straordinaria sulle famiglie italiane nel 2020, novembre 2020), evidenziano che i lavoratori autonomi hanno registrato la diminuzione più consistente dei redditi famigliari dall’inizio della crisi: ben il 51,7% ha, infatti, registrato un calo del reddito e, nell’8,8% dei casi, la perdita è stata ad un livello superiore al 50%.

Nel campo del lavoro autonomo, sostanziali sono state le differenze nei livelli di copertura fornita dalle misure di sostegno messe in campo dal Governo, nonché le differenti modalità di accesso alle stesse, che hanno visto sistematicamente penalizzati i professionisti rispetto ai titolari di impresa.

Le misure di sostegno rivolte ai liberi professionisti, oltre alla loro assoluta insufficienza, hanno registrato una ingiustificata discontinuità nel periodo emergenziale, tanto da assicurare un sostegno nel solo periodo marzo-maggio 2020, per poi essere reinserite recentemente, grazie alle misure previste dai decreti “Sostegni” e “Sostegni BIS”.

Come richiedere l’assegno “ponte”

Per accedere all’assegno “ponte”, il nucleo familiare del richiedente deve essere in possesso di un Isee inferiore a 50mila euro annui. E’ una previsione apprezzabile sia per l’aspetto quantitativo, in quanto in tale situazione economica vi rientra un’ampia platea di famiglie, si tratta di una platea di oltre due milioni di persone che finora potevano usufruire solo di detrazioni nella dichiarazione dei redditi per i figli a carico, ma anche e soprattutto per l’aspetto qualitativo, in quanto non discrimina nessuna fonte di reddito, cosa che invece caratterizza l’assegno per il nucleo familiare, in cui il reddito deve essere necessariamente composto almeno il 70% dal reddito da lavoro dipendente o assimilato.

Nelle more dell’entrata in vigore dal 2022 in maniera strutturale ed universale, la misura riguarda quindi una platea circoscritta: parliamo di lavoratori autonomi e disoccupati che hanno finito la NASpI, incapienti e inattivi. In questa norma “ponte” rientrano anche i lavoratori dipendenti attualmente esclusi dagli assegni al nucleo per ragioni di reddito familiare e i beneficiari del reddito di cittadinanza che non percepiscono l’assegno familiare.

L’assegno “ponte” è compatibile, dunque, con il Reddito di Cittadinanza e con la fruizione di eventuali altre misure in denaro a favore dei figli a carico erogate dalle Regioni e dai Comuni. Pertanto, già dal mese prossimo, i nuclei composti da 5 componenti di cui 3 figli minori, che già percepiscono il reddito di cittadinanza e possiedono un Isee che si attesta intorno ai 7mila euro potranno arrivare complessivamente a ricevere 1.653 euro mensili, cifra destinata a elevarsi ulteriormente qualora la famiglia risieda all’interno di una casa in affitto e abbia diritto al contributo di 280 euro previsto.

Ciò è sicuramente positivo in una logica assistenzialista nel mentre potrebbe costituire un deterrente ad un comportamento proattivo nella ricerca di una occupazione, in assenza di misure di condizionalità concretamente funzionanti.

Una riforma già in crisi?

L’attuazione compiuta della riforma dei sostegni pubblici rivolti alle famiglie viene, di fatto, rinviata al prossimo anno per via della limitatezza delle risorse disponibili (3 miliardi di euro per il 2021 e 5 miliardi per il 2022) e dell’esigenza di portare a compimento la razionalizzazione delle varie prestazioni messe in campo negli anni, per rimediare con provvedimenti una tantum alla carenza di una politica complessiva a sostegno delle famiglie.

Le risorse a disposizione, alle quali vanno aggiunti i 14 miliardi di euro attualmente erogati per le detrazioni e gli assegni familiari ai lavoratori dipendenti, non consentono di fatto di ottenere l’obiettivo di un assegno medio mensile prossimo ai 250 euro per ogni figlio, fino ai 21 anni di età. Serviranno almeno ulteriori 6 miliardi per dare un’attuazione, soddisfacente per le famiglie, del Family Act. Senza dimenticare le risorse necessarie per riformare le aliquote Irpef per le persone fisiche, visto l’assorbimento delle detrazioni per figli a carico previsto dalla riforma in oggetto.

L’inizio dell’attuazione del Family Act deve essere accolto con favore anche se tardiva rispetto alla grave contrazione della natalità, arrivata al record negativo mondiale di 1,24 figli per ogni donna fertile nel 2020. Basti considerare che la spesa dello Stato per le famiglie è di circa l’1,1% del Pil, che ora passerà all’1,5%, contro una media europea pari al 2,2%. Ma in Europa non c’è la drammatica situazione della natalità italiana che richiederebbe cifre ben superiori.

Inoltre, l’introduzione di un valore Isee, benché come detto con valori quantitativamente apprezzabili, per i beneficiari riduce in modo significativo l’impatto della riforma e la sua pretesa universalità. In quasi tutti i Paesi europei che hanno avanzate politiche di sostegno alla natalità, dove “avere figli” è considerato un interesse collettivo, queste misure non vengono proporzionate in relazione al reddito familiare. L’utilizzo dell’indicatore Isee per delimitare il numero dei beneficiari dell’assegno unico produce di fatto l’effetto di penalizzare i redditi familiari rispetto a quelli individuali. In Francia, per esempio, è stato introdotto il quoziente familiare che suddivide una parte del reddito tassabile, e le relative aliquote di prelievo, in rapporto ai carichi familiari, ottenendo esattamente l’effetto opposto dell’Isee.


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