0,30%: contributo pubblico o privato?

I Fondi Interprofessionali non sono aiuti finanziari per le imprese. Questa l’opinione del presidente di Fondimpresa, da noi condivisa.

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Contributo

di Giovanni Galvan |

Dopo 19 anni di dibattito sul tema della natura pubblica o privata dello 0,30%, in cui continua a brillare la totale assenza dei Governi e del Parlamento, non ci resta che prendere una posizione decisamente contraria a chi considera i Fondi Interprofessionali come gestori di Aiuti di Stato, associandoci all’appello di importanti stakeholder del settore.

Il rilancio del dibattito

Partiamo da quanto affermato da Bruno Scuotto, presidente di Fondimpresa, a chiusura delle celebrazioni per i 15 anni del Fondo e di fronte ai Segretari di Cgil, Cisl e Uil: “In riferimento alla formazione finanziata riteniamo che non sia corretto parlare di un vantaggio offerto a beneficio della singola azienda che ottiene il sostegno alla formazione. Il sostegno incide sì, come ovvio, sull’azienda beneficiaria, ma incide in misura ancora maggiore sui lavoratore che viene formato e vede accrescere le proprie competenze professionali.

Il lavoratore, in definitiva, accresce il proprio patrimonio di competenze e con esso accresce anche la propria capacita di collocarsi e muoversi all’interno del mercato del lavoro. Una volta formato, sarà in grado di utilizzare le competenze acquisite anche in realtà aziendali diverse da quella in cui e stato formato, cosicché il vantaggio, se vantaggio lo si vuole chiamare, sarà per l’intero sistema e non per la singola realtà aziendale”.

Certamente quanto detto dal presidente di Fondimpresa, che peraltro è il Fondo con la percentuale più bassa di contributi erogati come Aiuto di Stato alle Pmi (non dimentichiamo che Fondimpresa gestisce Conti Formativi Aziendali di imprese grandi e multinazionali), è quello che chiedono, inascoltati, da molti anni molti altri Fondi, che invece rappresentano principalmente Pmi ed erogano le risorse tramite Avvisi assoggettati agli Aiuti di Stato.

La visione distorta del ruolo delle aziende

Non bisogna farsi ingannare dal fatto che molti aspetti del funzionamento dei Fondi mettono l’azienda al centro del processo di finanziamento. Infatti il contributo versato è totalmente a carico del datore di lavoro, è obbligatorio (il che lo accomuna per molti a delle tasse) e la scelta del Fondo è totalmente responsabilità dell’impresa. Difficile convincere quindi i burocrati di Stato e i magistrati che non siano soldi pubblici se non gli si fa capire che queste risorse non sono ad esclusivo vantaggio “finanziario” delle aziende.

La politica deve dare risposte

Dunque è necessario quadro normativo chiaro, anche in accordo con la UE, altrimenti sarà difficile uscire dall’impasse. Il livello politico è l’unico in grado di governare un cambiamento “copernicano” di questo genere. È importante in questa fase anche un coinvolgimento dei Sindacati che, in questa partita, dovrebbero essere i primi a incentrare le politiche della formazione professionale sui lavoratori e sul loro bagaglio di conoscenze e competenze.

La disparità di trattamento

Non dimentichiamo, inoltre, che esiste ormai da molti anni lo strumento del Cfa, che resta fuori dagli Aiuti di Stato, ma solo perché si tratta di “mera restituzione” di quanto versato dall’impresa. Nell’attuale contesto legislativo, specie europeo, è questa l’anomalia, un unicum tutto italiano, frutto di un compromesso tra la visione politica delle Associazioni di rappresentanza delle imprese e burocrazia ministeriale.

Riteniamo che questo compromesso crei però un notevole squilibrio tra le possibilità formative offerte ai dipendenti delle grandi imprese (il Cfa principalmente riguarda quelle) e quelle offerte a quelli delle microimprese e Pmi (cioè il 95% delle imprese italiane).

Una delle assurdità di questo sistema è che le Pmi si ritrovano i contributi ottenuti per la formazione (ma incassati fisicamente dai loro fornitori, cioè gli enti attuatori) nel “de minimis”, ovvero somma degli Aiuti di Stato percepiti, assieme a quelli per gli investimenti e le ristrutturazioni.

Meno burocrazia e più politica

Non dimentichiamo, inoltre, che la lettera dell’Autorità Anticorruzione del 2016, che tentava di ricondurre i Fondi Interprofessionali a mere “stazioni appaltanti” della PA, si basava proprio sul presupposto che le risorse dei Fondi siano pubbliche. Da allora quindi abbiamo assistito a un accanimento della burocrazia statale nel rendere sempre più pesante e farraginoso il funzionamento dei Fondi.

Questo ha aumentato i costi di accesso al contributo, proprio a carico delle Pmi che devono passare per forza per gli Avvisi e soprattutto dei tempi di erogazione, vista l’enorme mole di controlli che ogni Fondo è oggi obbligato a fare. Uno per tutti, i ripetuti controlli e caricamenti sul Registro Nazionale degli Aiuti di Stato che hanno richiesto l’assunzione di apposito personale.

Ci auguriamo quindi che il nuovo Governo, che ha promesso un maggiore ascolto delle Parti Sociali, possa mettere mano a una riforma integrale del sistema della formazione professionale che preveda, tra le altre cose, di ripristinare lo spirito innovativo (soprattutto in termini di efficacia ed efficienza) con cui sono nati i Fondi Interprofessionali nell’ormai lontano 2000.

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