E questa la vogliamo chiamare ripresa?

Nel 2018 l’occupazione recupera i livelli pre-crisi crescendo di circa 125mila unità, ma si perdono in 10 anni 1,8 miliardi di ore lavorate, pari a oltre un milione di posti a tempo pieno.

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ripresa occupazione

di Laura Reggiani |

Il mercato del lavoro in Italia ha un elevato potenziale di sviluppo, ma anche molte criticità che la ripresa economica degli ultimi anni ha solo in parte attenuato.

Se emergono evidenze di un miglioramento permane comunque un’ampia area di inoccupazione e di sottoccupazione, di disallineamenti formativi e di basso livello delle qualifiche, che si intrecciano con l’acuirsi degli squilibri territoriali.

Questo in estrema sintesi ciò che emerge dall’analisi del rapporto “Il mercato del lavoro 2018” elaborato da Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal. Di seguito qualche dato utile a comprendere meglio l’evoluzione del mercato del lavoro.

La bassa intensità lavorativa

In Italia, dopo il rilevante incremento registrato nel 2017, l’occupazione ha continuato a crescere, raggiungendo nel secondo trimestre 2018 il record di 23,3 milioni di unità; dopo una lieve diminuzione nel terzo trimestre 2018, è aumentata lievemente nel quarto (+0,1%).

Nella media del 2018 il numero di occupati ha quindi superato il livello del 2008 di circa 125mila unità, con un tasso di occupazione che sfiora il record di 58,5%. Si tratta di una crescita occupazionale che sembra positiva, ma che in realtà evidenzia alcune criticità, in quanto si caratterizza per la “bassa intensità lavorativa”: se il numero di persone occupate recupera infatti il livello del 2008, la quantità di lavoro utilizzato è invece ancora inferiore.

Nella media dei primi tre trimestri del 2018 rispetto ai corrispondenti del 2008, le ore lavorate sono infatti sotto ai livelli pre-crisi del 5,1% e per colmare il gap mancano ancora circa 1,8 miliardi di ore, pari a oltre un milione di unità di lavoro a tempo pieno.

La trasformazione del lavoro

L’ultimo decennio ha anche vissuto una profonda trasformazione del tessuto produttivo che ha comportato una ricomposizione dell’occupazione verso il lavoro dipendente, con una crescita dei rapporti a tempo determinato (+735mila) a cui però si accompagna, purtroppo, una notevole espansione degli impieghi a tempo parziale (spesso involontari).

Questi trend sono connessi allo sviluppo di molte attività nel terziario e di professioni a bassa qualifica. Nei dieci anni è aumentata la presenza femminile, dei lavoratori “anziani”, di quelli più istruiti e degli stranieri (soprattutto nei settori alberghi e ristorazione, agricoltura e servizi alle famiglie). Si è inoltre accentuato il dualismo territoriale a sfavore del Sud (-262mila occupati a fronte di +376mila nel Centro-Nord).

Il sottoutilizzo del lavoro

Tema interessante trattato dal rapporto anche quello relativo al sottoutilizzo del lavoro. Per quanto riguarda la sottoccupazione, nel 2017 hanno lavorato meno ore di quelle che sarebbero stati disponibili a lavorare circa un milione di occupati (4,4%).

In media un sottoccupato sarebbe stato disponibile a lavorare circa 19 ore in più a settimana. Complessivamente, in termini di unità di lavoro equivalenti, ciò corrisponde a 473mila occupati a tempo pieno. Il tasso di sottoccupazione è più elevato al Sud, tra le donne, tra i giovani e, soprattutto, tra gli stranieri.

Parlando invece di sovraistruzione, gli occupati sovraistruiti sono 5 milioni 569mila, il 24,2% del totale e il 35% degli occupati diplomati e laureati. Negli anni il fenomeno è in continua crescita, sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata all’innalzamento del livello di istruzione, sia per la mancata corrispondenza tra le competenze richieste e quelle possedute.

Da segnalare, come motivo di preoccupazione, che un investimento in istruzione che non trova adeguato sbocco lavorativo spesso comporta la decisione di migrare all’estero. Lo dimostra il fatto che tra i dottori di ricerca occupati, il 18,8% vive e lavora all’estero a 4 anni dal conseguimento del titolo; per essi si riscontra una maggiore conformità tra la professione svolta e gli studi e più soddisfazione per il lavoro.

Il disallineamento formativo

Sulla base dei flussi di assunzioni delle imprese italiane nel triennio 2014-2016 è stato calcolato il grado di disallineamento tra il titolo di studio conseguito e quello più richiesto dalle imprese.

Il fenomeno ha interessato più della metà (53,5%) delle assunzioni nelle imprese italiane: la diffusione della sovraistruzione (31,6%) è maggiore di quella della sottoistruzione (21,8%), soprattutto per gli under 29; per gli over 49 prevalgono invece i sottoistruiti. Nei settori manifatturiero, delle costruzioni e dei servizi alla persona vi è un’alta concentrazione di sovraistruzione e una bassa incidenza della sottoistruzione.

Le agevolazioni contributive

Nel periodo 2015-2017 oltre un terzo delle aziende con dipendenti a tempo indeterminato risulta interessato da almeno un rapporto di lavoro agevolato. Le agevolazioni hanno permesso una riduzione media annua attorno al 5% dei contributi totali che le imprese avrebbero dovuto versare. L’importo medio su base annua per ogni dipendente incentivato si attesta intorno ai 4mila euro.

A livello territoriale le agevolazioni sono fortemente utilizzate nel Mezzogiorno (25% sul totale delle agevolazioni), mentre a livello settoriale le ritroviamo nelle costruzioni e nel commercio.

Se la quota di aziende incentivate è più elevata tra le aziende di grandi dimensioni, il ricorso alle agevolazioni è complessivamente più significativo nelle piccole imprese. Quelle sotto i dieci dipendenti assorbono il 40% delle agevolazioni complessive.

L’ingresso dei giovani

Nel 2017 vi sono stati 773mila primi ingressi di giovani di 15-29 anni nel lavoro dipendente, parasubordinato e in somministrazione. L’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini.

Su 100 primi ingressi, oltre 50 sono al Nord, 20 al Centro e 30 al Sud; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri. Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione. Le professioni più frequenti sono camerieri e assimilati (12%), commessi delle vendite al minuto (8,5%), braccianti agricoli (7,4%), lavori esecutivi di ufficio (2,8%).

Infortuni e malattie

Il rapporto chiude con uno sguardo agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. Nel 2017 gli infortuni sul lavoro sono stati 561mila, in media 1.536 al giorno, in stabilità rispetto al 2016. Dai primi anni 2000, quando erano oltre un milione, le denunce di infortunio si sono quindi ridotte di quasi la metà. Le denunce con esito mortale sono state 1.135, poco più di 3 al giorno, confermando il dato del 2016; in questo caso la riduzione rispetto al 2008 è stata del 29,7%.

Va detto però che i primi dati provvisori per il 2018 registrano rispetto all’anno precedente un aumento delle denunce di casi mortali (+10,1%), a cui hanno contribuito diversi incidenti “plurimi” come il crollo del ponte Morandi a Genova (15 casi mortali) e gli incidenti stradali a Lesina e Foggia (16 braccianti morti).

Nel 2017, dopo un decennio di crescita, si assiste a un calo delle denunce di malattia professionale: (-3,7%); tuttavia, i dati provvisori del 2018 indicano una ripresa del fenomeno (+2,5). Le malattie riconosciute sono poco meno di 25mila l’anno e in oltre il 60% dei casi interessano il sistema osteomuscolare, il 15% il sistema nervoso, il 5% i tumori.


L’andamento del mercato del lavoro in Italia nell’ultimo decennio in termini di ore lavorate e di occupati (fonte Istat)

Anno

Ore lavorate

Occupati

unità lavorative anno

Ore lavorate

per occupato

2008

34,4 miliardi

25.388.000

25.074.000

1.354

2013

31,3 miliardi

24.340.000

23.245.000

1.286

2018

32,6 miliardi

25.263.000

24.037.000

1.291

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