Comunicazione e formazione

Creare e man(u)tenere le migliori condizioni relazionali sono gli elementi alla base di ogni intervento formativo e di ogni attività collaborativa umana.

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di Paolo Carmassi * |

È sempre lo stesso. Napoli o Bologna, Udine o Catanzaro, arrivo in anticipo e, mentre mi preparo e verifico funzioni tutto, entrano più o meno distratti. Se è la prima volta e non mi conoscono, quasi tutti mi pesano e cercano indizi nella loro esperienza personale per capire che giornata sarà, come a volersi prefigurare la qualità del tempo che passeremo insieme.  Che siano 20 o 200, quando i loro occhi incrociano i miei, un sorriso e un cenno di saluto col capo. Coi più vicini anche una misurata stretta di mano e quelle belle parole che ci dispongono bene verso l’altro: “piacere” oppure “buongiorno”. E poi i nostri nomi, parole chiave in ogni scambio comunicativo. E infine, per farci stare meglio, inondo la sala di un sottofondo musicale. Voglio far sapere loro che sono contento di essere lì: amo il mio lavoro e credo in quello che faccio. 5, 10 o forse 15 minuti e la lezione inizia, ma in realtà è già iniziata, a parte i ritardatari. Considero questa parte del mio intervento fondamentale e imprescindibile. E se per qualche motivo non ho la possibilità di poterlo fare, poi un po’ manca.

La relazione umana al di sopra del contenuto

È tecnica? Sì, è tecnica di buona educazione e soddisfa appieno il secondo assioma della comunicazione che pone la relazione umana al di sopra del contenuto: in ogni atto comunicativo una parte della comunicazione è sul contenuto e una parte è sulla relazione, ed è detta meta-comunicazione, ed è la meta-comunicazione a qualificare il contenuto. Quanta inefficacia nei “musoni” che ci meta-comunicano indisponibilità; vittime inconsapevoli del loro stesso comportamento. E, allo stesso modo, troviamo poco genuino o inefficace o peggio ancora sintetico e irritante chi si limita a recitare.

La scienza della comunicazione è vecchia e giovane al tempo stesso. La sintassi (studio della struttura) e la semantica (studio del significato) sono l’origine e sono antiche come la storia della comunicazione umana. La pragmatica (studio dell’effetto) ha solo pochi decenni di vita ed è condizionata dal contesto sociale e comunicativo, e per questo in continua evoluzione. Ecco, i bravi comunicatori, anche a digiuno di concetti e tecniche, hanno o sviluppano la naturale capacità di essere pragmatici: sanno cosa funziona e cosa no. Osservano e ascoltano, domandano, correggono, ritarano, cercano sintonia. Creano le favorevoli condizioni relazionali per trattare, poi, di contenuto. E nella maggioranza dei casi basta davvero poco: la sincerità dello sguardo, del sorriso, della stretta di mano, del saluto e della presentazione. Che in sala ci siano operai di fonderia, ufficiali, tecnici specializzati, medici o addetti allo sportello il risultato è sempre lo stesso: creare una punteggiatura positiva o quanto meno la migliore. Infatti la natura della comunicazione è condizionata dalla punteggiatura della sequenza degli eventi fra due comunicanti: è il terzo assioma e cosa significa? Che di ogni relazione conserviamo una punteggiatura emotiva. Se abbiamo archiviato nei confronti di qualcuno buone esperienze di comunicazione, è assai probabile che quando incontreremo di nuovo quella persona saremo ben disposti e la nostra comunicazione ne sarà la prova. Purtroppo vale anche il contrario e in questo caso la nostra comunicazione condizionerà in senso negativo la relazione. Magari non si è in grado di rimuovere pregiudizi o convinzioni di chi si siede di fronte a noi: “ancora un corso di formazione”, “un’altra giornata buttata via”, “ma a cosa ci serve?” e così via. Però si possono creare le migliori condizioni attraverso i primi atti comunicativi e punteggiare la relazione sul pilastro che ci dice “sono un essere umano di fronte a un altro essere umano”. E rafforzarla nel corso della giornata. Dopo, solo dopo, viene il contenuto. E quando arriva è bene sia una scoperta per chi ci ascolta e osserva.

Il cambiamento come costante di vita

Se siamo lì è perché qualcuno ci chiede di operare un cambiamento. Sono contrario ai lavaggi del cervello: primo perché non etici e secondo perché non funzionano. Ma sono convinto che il cambiamento è l’unica costante della vita. E per questo motivo qualsiasi miglioramento sui temi che studio e tratto giova in primis a me e poi alle persone e quindi all’organizzazione. È faticoso per tutti uscire dalla propria area di comfort, ma questo è quello che, come formatori, siamo chiamati a fare. È per questo che cerco di partire sempre dall’esperienza personale di chi è di fronte a me: tecnica della ricerca-intervento. Se, per esempio, il tema di apertura sono le resistenze umane, non inizierò certo spiegando cosa sono. Piuttosto chiederò loro qual è la resistenza più complessa da gestire nella quotidianità lavorativa. In questo modo prima di arrivare a una definizione l’avremo scoperto insieme (tecnica della scoperta congiunta), ottenendo quella che lo psicanalista Franz Alexander definisce esperienza emozionale correttiva. E solo ora, con un bell’elenco di comportamenti familiari, classifico e categorizzo. E li conduco con il dialogo verso nuove competenze tecniche.

Le tecniche dell’approccio strategico

A questo proposito l’approccio strategico, nato  in ambito clinico (ndr: Mental Research Institute o Scuola di Palo Alto; in Italia Centro di Terapia Strategica di Arezzo) e poi esportato con successo a quello organizzativo e manageriale, ha messo a punto, fra la fine degli anni ’90 e i primi del nuovo millennio, tutta una serie di tecniche specifiche per il riconoscimento prima e il superamento dopo delle specifiche tipologie di resistenza: abilità persuasorie che permettono di gestire e superare tali resistenze. Dedicheremo un prossimo articolo al loro approfondimento e alla loro utilità in ambito organizzativo, ma ora voglio sottolineare il valore tecnico di partire dall’esperienza dei partecipanti. Infatti sappiamo bene che i due ordini della realtà (primo ordine: realtà in sé; secondo ordine: realtà percepita) condizionano non solo la comunicazione in generale, ma anche, nello specifico, la capacità di apprendimento. Sorridere, salutare e poi ascoltare vengono prima dei temi che tratteremo: creare e man(u)tenere le migliori condizioni relazionali sono la base di un intervento formativo, ma credo di ogni attività collaborativa umana. E quei primi minuti, ancor prima dell’inizio della lezione, giocano un ruolo decisivo: neutralizzano gran parte delle resistenze umane e il risultato è sempre lo stesso.


* Paolo Carmassi è formatore e coach sui temi legati al cambiamento con Palestra della scrittura, Centro di Terapia Strategica e Istituto di Scienze Militari Aeronautiche.


 

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