Quando il genere fa la differenza

Nonostante negli ultimi anni abbiamo assistito a un netto miglioramento, le disuguaglianze tra maschi e femmine sul posto di lavoro continuano a rappresentare un problema reale. Tra le principali cause il divario salariale, le mansioni con profili medio-bassi e le difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare.

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di Francesca Praga |

L’attuale mercato del lavoro è regolato, come tutto in effetti, dalla legge della domanda e dell’offerta. Se vi fosse un equilibrio tra offerte di lavoro e professionisti in cerca di lavoro, e tra i settori in cui vogliono lavorare e le aree funzionali per le quali sono specializzati, il mercato del lavoro sarebbe perfetto. In questo scenario ideale, le aziende troverebbero sempre il profilo professionale necessario per la loro offerta di lavoro e ogni professionista lavorerebbe nel posto e nel luogo desiderato. Tuttavia, la logica dell’incontro tra offerta e domanda tende al disordine e la realtà non è mai così. Il professionista vorrebbe incontrare un’azienda che richieda i suoi servizi in un dato momento e con condizioni contrattuali specifiche, mentre l’azienda ha necessità di trovare il professionista di cui ha bisogno tra le diverse modalità di intermediazione del lavoro e le centinaia di migliaia di specializzazioni che si sono create in questi anni. Ovvio, no?

Apparentemente il mercato del lavoro, se analizziamo il primo trimestre del 2018 come descritto dall’ultimo rapporto dell’Inps, risulta complessivamente in crescita: le assunzioni sono aumentate del 15,2% rispetto allo stesso periodo del 2017, in tutte le sue componenti (contratti a tempo indeterminato +5,0%, contratti a tempo determinato +12,1%, contratti di apprendistato +18,6%, contratti stagionali +31,4%, contratti in somministrazione +18,0% e contratti intermittenti +51,9%). Hanno anche subito un forte incremento le trasformazioni contrattuali da tempo determinato a tempo indeterminato (+73,0%), mentre risultano in contrazione i rapporti di apprendistato confermati alla conclusione del periodo formativo (-19,0%). Se da una parte il mercato del lavoro sembra essere nuovamente in crescita, dall’altra l’Osservatorio sul Precariato conferma che le cessazioni di rapporti lavorativi sono in aumento rispetto all’anno precedente (+14,5%): a crescere sono le cessazioni di tutte le tipologie di rapporti a termine, soprattutto i contratti a tempo determinato e in somministrazione, mentre diminuiscono quelle dei rapporti a tempo indeterminato (-6,6%).

L’uguaglianza di genere è ancora un miraggio

In questo scenario, le disuguaglianze di genere maschile e femminile sul posto di lavoro continuano ad essere un problema reale, nonostante le conquiste femministe degli ultimi 60 anni. Se da una parte i sindacati hanno fatto tantissimo per azzerare le diversità sia a livello di mansioni che salariali, parlare di uguaglianza è ancora un miraggio. Ancora una volta, a dircelo, oltre la percezione soggettiva, sono i dati. Da una parte le donne hanno cercato, anno dopo anno, di occupare le posizioni lavorative tradizionalmente occupate dagli uomini, dall’altra gli uomini, che detengono da sempre le maggiori posizioni di potere, non hanno concesso al gentil sesso un corretto adeguamento salariale, soprattutto nei paesi ricchi e tradizionalmente più avanguardisti: ancora oggi, le donne devono lavorare circa 80 giorni in più di un uomo per guadagnare lo stesso denaro. Pur riconoscendo che questa appare come un’ingiustizia vera e propria, va detto che queste donne oggi sono molto più vicine all’uguaglianza di genere rispetto alle loro madri o nonne.

Dal gap salariale alla conciliazione lavoro-famiglia

Ma quali sono le ragioni principali della disuguaglianza di genere sul posto di lavoro? Nonostante sia aumentata di molto la percentuale di donne occupate, si stima che oggi solo il 49,6% delle donne del mondo in età lavorativa abbia una occupazione, mentre nel caso degli uomini, la percentuale sale al 76,1%. Il gap salariale è probabilmente la causa principale della disuguaglianza di genere sul posto di lavoro. Il divario salariale tra uomini e donne, da tradurre in una maggiore capacità di acquisto da parte dell’uomo, vede anche una importante diversità nel lungo periodo, ad esempio nei momenti di congedo per maternità o con le pensioni. Secondo l’International Business Report del 2017 di Accenture per ogni 140 dollari che un uomo di media guadagna, la donna ne guadagna 100. Questo divario salariale è destinato a crescere quando si distribuisce il dato sulla percentuale di donne in età lavorativa a livello mondiale, mostrando un dato quasi disarmante: per ogni 100 dollari guadagnati da una donna, un uomo percepisce 258 dollari. Il posizionamento delle donne nel mondo del lavoro è principalmente legato a mansioni con profili medio-bassi e non in quelli che invece richiedono una maggiore responsabilità. Sempre l’International Business Report ci dice infatti che solo il 21% delle posizioni manageriali è occupato da donne, di cui solo il 4,6% nella posizione di Ceo e solo il 19,2% fanno parte di consigli di amministrazione. Conciliare lavoro e vita familiare è un altro dei principali problemi che promuovono la disuguaglianza di genere sul posto di lavoro. La maternità, unita al divario salariale, rende impossibile a molte donne lavorare alle stesse condizioni degli uomini, trovandosi quindi a scegliere, in molte occasioni, contratti a tempo parziale, con tutti i limiti e i condizionamenti che questo comunque genera. Oggi, 8 donne su 10 dichiarano di avere costantemente problemi nel conciliare. Anche se a noi sembra quasi follia, in 18 Paesi del mondo al marito è ancora permesso di impedire alla moglie di lavorare. Inutile negare che, nonostante il gran progresso, ci sia ancora molto lavoro da fare per combattere la disuguaglianza di genere sul posto di lavoro e raggiungere così la parità.

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