Decreto Dignità: le perplessità dei Consulenti del Lavoro

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Il Decreto Dignità (Decreto Legge 12 luglio 2018 n. 87), entrato in vigore il 14 luglio 2018, esplica da sabato scorso i suoi effetti. Tutte le modifiche in esso contenute devono essere applicate immediatamente, non solo ai nuovi contratti a tempo determinato, ma anche a quelli già in essere, che dovranno essere rinnovati o prorogati seguendo le novellate disposizioni in materia di causalità e durata. Appare oggettivamente difficile, se non impossibile،, dire se questo decreto centrerà l’obiettivo per cui è stato adottato. Di certo creerà disguidi e confusione giuridica per la mancanza di una disposizione transitoria che comporta diverse criticità sia di sistema che di effetti. Ma crea anche problematiche di coordinamento tra la normativa modificata e quella nuova. Desta peraltro perplessità l’estensione al contratto di somministrazione a termine della nuova disciplina sui rapporti a tempo determinato, atteso che sino ad oggi tale formula contrattuale ha rappresentato una efficace lotta al precariato, anche perché istituto particolarmente costoso e tutelato. Così come la reintroduzione della causale potrebbe sfociare in un aumento del contenzioso giudiziario giuslavoristico, provocato dalla ricerca discrezionale di un concetto astratto di causalità. Sono questi gli aspetti su cui si sofferma la circolare n.14/2018 della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, proponendo anche soluzioni migliorative del testo in discussione in Parlamento.

Di maggiore interesse risulta la normativa in materia di contrasto alla delocalizzazione delle imprese e di salvaguardia dei livelli occupazionali. In effetti, la nuova regolamentazione viene a riempire un vuoto legislativo, che risponde ad esigenze di giustizia sostanziale e che contrasta il fenomeno del dumping contrattuale e sociale. Tuttavia, non si comprende il motivo per cui il legislatore abbia voluto prevedere la decadenza del beneficio (derivante da aiuti di Stato) in presenza di una riduzione dei livelli occupazionali in misura superiore al 10%, escludendo solo le ipotesi riconducibili a giustificato motivo oggettivo e non anche quelle derivanti da legittimi licenziamenti disciplinari.

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