Il “bello” di fare impresa

Renato Ancorotti è uno dei pionieri della cosmetica italiana ed è considerato il re del make up. La sua storia e le sue strategie: «È finito il tempo del terzismo come mera esecuzione, ora è la conoscenza il vero valore aggiunto. E devi possederla se non vuoi soccombere. Il segreto è industrializzare. Ma il profitto non basta. Welfare, rapporto con il territorio e formazione di qualità. È così che nasce l’Impresa 4.0».

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di Roberto Bettinelli |

Di una cosa va particolarmente fiero. E non certo dei 100 milioni di fatturato della sua azienda, la Ancorotti Cosmetics. Un traguardo che ha raggiunto in pochi anni dopo aver venduto la sua prima impresa ed essersi rimesso in gioco. Nella vita Renato Ancorotti, considerato il re del make up, ha sempre e voluto essere solamente un imprenditore: “Fin da ragazzo sognavo la mia azienda. E non per fare soldi. Ma perché credevo nelle mie idee e volevo realizzarle. Volevo essere libero. Ma ci ho messo poco a capire che un’impresa è un progetto comune. E’ importante che al timone ci sia una persona lungimirante e tenace, ma è molto importante anche la squadra. E per squadra intendo tutti: dirigenti, quadri, tecnici e operai. Si vince insieme”. Un imprenditore di successo, ispiratore del distretto cremasco della cosmesi e ora presidente di Cosmetica Italia, un estimatore di Adriano Olivetti al punto da insediare la sede della Ancorotti Cosmetics negli edifici che la casa madre di Ivrea aveva realizzato a Crema all’inizio degli anni ’60. Un maestro, Adriano Olivetti, che per Ancorotti rappresenta il vero artefice del miracolo del made in Italy. Un industriale che ha saputo unire la genialità con la consapevolezza della responsabilità sociale dell’azienda. Un mix, appunto, tutto italiano. E che è funzionale alla creazione di qualità, la meta che nell’era della globalizzazione va assicurata se si vuole emergere nei mercati internazionali.

La qualità è tutto per lei. Ma come si raggiunge?

La cosmetica è giunta nella fase del terzismo evoluto e ciò significa che il livello artigianale della produzione non è più sufficiente. A lungo andare diventa diseconomico. La battaglia sul prezzo è una battaglia sterile. E noi imprenditori italiani, con i costi fissi che siamo costretti a sostenere in assenza di una vera politica industriale, non siamo in grado di condurla. A noi spetta una missione differente. Più alta, più nobile e più difficile. Il made in Italy nasce da questo grande sforzo che investe una realtà produttiva sul piano operativo, morale e spirituale. Qualità del prodotto, cura estrema dei materiali e intima confidenza con le leggi della bellezza: è la grande lezione di Adriano Olivetti, l’antesignano di un modello in cui l’industria è totalmente al servizio dell’uomo. Un modello che pone la valorizzazione della persona al centro di tutte le transazioni che avvengono dentro e fuori la fabbrica.

Come si traduce nella realtà aziendale il “modello Olivetti”?

La strada dell’industrializzazione è inevitabile. Con tutto ciò che ne consegue in termini di organizzazione. I reparti di ricerca e sviluppo fanno da traino nella consapevolezza che il cliente ormai cerca un “risolutore di problemi” più che un semplice fornitore. La partnership nasce a monte, in sede ideativa, e prosegue negli step successivi dove vanno implementati i meccanismi della ripetizione su grande scala e della standardizzazione. Sono i meccanismi propri di un processo industriale ma che, per generare il valore aggiunto del made in Italy, devono congiungersi con la flessibilità, la creatività e una forte propensione a innovare. Nel make up, per esempio, lavoriamo su scala globale e i nostri clienti ci chiedono di essere aiutati non solo a produrre ma ad anticipare le richieste del mercato. È una dimensione temporale ben descritta dalla moderna sociologia in cui presente e futuro tendono a sovrapporsi. In una situazione di questo tipo il terzista non è più tale, o meglio non è più un mero esecutore, ma si abitua a collaborare in termini paritari con il cliente per aiutarlo a condurre a termine il proprio progetto industriale. Per riuscire a non deludere le attese bisogna essere molto strutturati. L’industrializzazione è la risposta per garantire questo processo di immedesimazione. Il che sta a significare che nel processo produttivo il sapere tradizionale deve accogliere la spinta verso l’automazione e la digitalizzazione, e che nell’organigramma delle funzioni va avviata una fase di managerializzazione per collocare le competenze specializzate nei ruoli strategici. I collaboratori diventano importantissimi. E le stesse maestranze vanno accompagnate verso un cammino di orientamento o riorientamento delle abilità. È la dimensione dell’Impresa 4.0, in cui il fattore della conoscenza diventa nevralgico a ogni livello. L’azienda cresce solo se le persone che la animano con il proprio lavoro crescono a loro volta, dimostrandosi aperte e flessibili verso le nuove sfide.

Ci racconti di quando ha iniziato.

Appartengo alla fase pioneristica. Era l’84. Non ho mai svolto incarichi alle dipendenze di altri. Ho sempre voluto mettermi in proprio. È stata dura. Ma allora la situazione era completamente diversa rispetto ad oggi. Il rischio era più misurato. Gli investimenti non rappresentavano una barriera insormontabile come avviene oggi. Certo, bisognava essere prudenti e molto determinati. Ricordo ancora il fatturato del primo anno: 700 milioni di lire. Ma a quei tempi c’erano poche realtà nel settore e l’Italia non era certamente la nazione più all’avanguardia. Oggi le nostre aziende cosmetiche sono le migliori al mondo. Rappresentiamo i vertici della qualità e della serietà. Il made in Italy della cosmetica vale 11 miliardi di euro con un aumento tra il 2017 e il 2018 di quasi il 10% delle esportazioni salendo al terzo posto nella classifica dei saldi commerciali maturati dai vari comparti. Un asset prioritario della nostra economia all’interno del quale il make up ha il peso più rilevante.

Come vive e come concepisce il lavoro in azienda?

Nella fabbrica ciò che conta davvero è il fattore umano. L’imprenditore italiano che ha fatto scuola nel mondo, affermando l’importanza delle pratiche di welfare e della formazione, è stato Adriano Olivetti. Ha sempre voluto realizzare prodotti che fossero in grado di migliorare la vita delle persone. Prodotti utili, come le macchine da ascrivere, ma anche belli. E perché il benessere non fosse illusorio pretendeva che fosse esteso alle maestranze. La fabbrica stessa doveva essere un luogo di benessere. Così è stata immaginata la sede dell’Olivetti a Crema progettata negli anni ’60 da Marco Zanuso con l’assistenza di Renzo Piano dove entro la fine dell’anno si stabilirà la Ancorotti Cosmetics. Sono consapevole del fatto che tutti i miei collaboratori non possono dare il massimo sul luogo di lavoro se non lo ritengono ospitale e in linea con le loro esigenze. Amo relazionarmi con persone capaci, motivate, intraprendenti. E non sono un uomo che ricorre agli alibi. L’azienda, sotto questo punto di vista, deve farsi avanti con proposte adeguate. E puntare al meglio. A partire dai locali dove i dipendenti trascorrono la gran parte della loro giornata.

Quali sono i vantaggi per i dipendenti?

La nostra forza lavoro è costituita da 370 persone. Di queste, 290 sono inquadrate direttamente, mentre le altre provengono da agenzie di somministrazione che svolgono un ruolo rilevante, anche se nel tempo tendiamo a stabilizzare i nostri addetti. Il 64% è costituito da donne. L’età media è 35 anni. Appartengono a 21 nazionalità diverse. In azienda proponiamo una sistema di turni che possa agevolare le madri con figli. Al momento dell’inquadramento forniamo una comunicazione dettagliata in merito ai nostri piani di assistenza sanitaria e previdenza integrativa. Stiamo raggiungendo percentuali di adesione altissima. Anche la tempistica delle ferie è organizzata per venire incontro ai bisogni dei dipendenti. Ci mostriamo attenti, ricettivi e il risultato è stato più che incoraggiante: il tasso di assenteismo è largamente inferiore alla media nazionale. Un segnale che ci spinge a incentivare ulteriormente i progetti di welfare aziendale: se un’impresa crede davvero nelle risorse umane e attiva iniziative coerenti con l’obiettivo, i lavoratori sono i primi a riconoscerne la validità e a rispondere positivamente sul piano della produttività.

Quindi il profitto non basta.

Il profitto è l’indicatore che spiega se stai facendo bene il tuo mestiere. È fondamentale. Ma non è sufficiente. Non lo è mai stato. Una fabbrica intesa come luogo dove perseguire il benessere collettivo, dei lavoratori e della comunità che la ospita, ha una missione più ampia e più duratura. È il cuore di un territorio, un legame fra le generazioni, un ponte verso il futuro. Diventa il frutto di uno sforzo collettivo che ha lo scopo di generare il bene del territorio attraverso la distribuzione della ricchezza. L’imprenditore è colui che ha la responsabilità di costruire le condizioni perché tutto ciò sia possibile. È così che ho sempre interpretato il mio lavoro. Oggi c’è mia figlia accanto a me. E in merito al destino dell’azione la pensa esattamente come me. La nostra missione è inventare e produrre bellezza. Ma la bellezza, per essere tale, non può mai essere disgiunta da una solida convinzione etica.

 

Il nuovo presidente di Cosmetica Italia

Renato Ancorotti, fondatore di Ancorotti Cosmetics e nuovo presidente di Cosmetica Italia

Renato Ancorotti  è il nuovo presidente di Cosmetica Italia per il triennio 2018-2021. L’elezione formale si è svolta giovedì 21 giugno a Palazzo Visconti in occasione dell’Assemblea annuale di Cosmetica Italia. L’imprenditore cremasco, presidente dell’azienda specializzata nella produzione di cosmetici conto terzi ha raccolto il testimone da Fabio Rossello. Il comparto cosmetico nazionale nel 2017 ha registrato un fatturato globale di 11 miliardi di euro che diventano 15,7 miliardi di euro se si considera l’intera filiera: ingredienti, macchinari, imballaggio, prodotto finito. L’export, con un incremento di 8 punti percentuali, tocca i 4,7 miliardi di euro.

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